Senza eutanasia legale ogni anno mille malati terminali si suicidano

L’ISTAT ci dice che ogni anno in Italia oltre mille malati terminali, non potendo avvalersi della eutanasia legale, trovano nel suicidio “l’uscita di sicurezza” dalle loro atroci sofferenze fisiche e morali. E non ci risparmia i dati sulle “modalità di esecuzione”, fra le quali la “precipitazione” (da una finestra o da un ponte) è quella prevalente.

Carlo Troilo

L’ISTAT ci dice che ogni anno in Italia oltre mille malati terminali, non potendo avvalersi della eutanasia legale, trovano nel suicidio “l’uscita di sicurezza” dalle loro atroci sofferenze fisiche e morali. E non ci risparmia i dati sulle “modalità di esecuzione”, fra le quali la “precipitazione” (da una finestra o da un ponte) è quella prevalente.
Nel 2004 ho vissuto questa sconvolgente vicenda con mio fratello Michele, uno scapolo di 72 anni malato terminale di leucemia. Michele – che aveva chiesto invano a due amici medici di aiutarlo a morire, ricorrendo dunque ad una forma di eutanasia – era ormai rassegnato ad attendere la morte, ma un giorno ebbe un episodio di incontinenza. Dovemmo spogliarlo, immergerlo nella vasca e poi, con un pigiama pulito, rimetterlo al letto. Noi familiari vegliammo con lui fino a quando prese sonno e poi tornammo alle nostre case per riposare. Ma all’alba fummo svegliati dalla telefonata della infermiera che assisteva Michele: ci comunicava che mio fratello era riuscito ad alzarsi dal letto, si era trascinato fino al terrazzo e si era gettato nel vuoto dal quarto piano, sfracellandosi sul tetto del garage. Il suo pudore, la sua generosità gli imponevano di “togliere il disturbo”, come lasciò scritto in un biglietto.
Di solito i familiari dei suicidi cercano di non far apparire sulla stampa la notizia della tragedia che li ha colpiti. Io decisi invece di renderla pubblica, come avrebbe voluto Michele per avviare così una battaglia in favore della eutanasia. Lo feci con una lettera a Corrado Augias, già mio collega alla RAI e amico sincero. Pubblicata con risalto, la lettera provocò su “Repubblica” un dibattito che durò giorni. E da allora decisi di dedicarmi alla battaglia per l’eutanasia legale, nell’ambito della Associazione Luca Coscioni, che aveva già dimostrato vivo interesse per questo tema.
Fra l’altro, ottenni due risultati importanti. Il primo fu la collaborazione dei congiunti di due “suicidi illustri”, Mario Monicelli e Carlo Lizzani, che avevo conosciuto e frequentato diversi anni prima, quando dirigevo un cineclub molto popolare soprattutto fra gli studenti universitari (a loro si aggiunse, in una prima fase, Luciana Castellina, compagna per molti anni di Lucio Magri, che era andato in Svizzera per trovare “una morte opportuna”, per riprendere una felice definizione di Piergiorgio Welby, “pioniere” – con la compagna Mina – della battaglia per l’eutanasia). Il secondo fu un messaggio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che in risposta ad una mia lettera aperta promise pubblicamente di sostenere la battaglia per l’eutanasia. E mi autorizzò a dare lettura della sua lettera in occasione di una conferenza stampa sul tema del fine vita.

L’associazione Luca Coscioni ha depositato nel 2013 una proposta di legge di iniziativa popolare con la firma di 67 mila cittadini italiani. La legge è stata approvata dalla Camera dei Deputati ma non al Senato in tempo utile, per cui la legislatura in corso avrebbe dovuto ricominciare da capo il suo cammino, come se nulla fosse accaduto. Ma purtroppo le vicende della salute pubblica (il dramma del COVID), il sostanziale disinteresse di molti parlamentari per il tema, la dura opposizione dei cattolici oltranzisti e più di recente l’inquietante situazione politica e militare in Ucraina hanno fatto passare in secondo piano il tema dell’eutanasia legale. Solo alla fine di questo faticoso e contorto iter anche l’Italia potrà avere – come in altri Paesi in Europa e nel resto del mondo – una legge civile che consenta ai tanti malati terminali di morire con dignità, ponendo fine alle loro atroci sofferenze fisiche e psichiche ed alla vergogna di tanti suicidi, che lasciano un segno indelebile nell’animo dei familiari e degli amici delle vittime di questa vergognosa situazione. E Marco Cappato non dovrà più rischiare i 13 anni di carcere previsti dal codice penale (varato nel 1930 dal ministro della Giustizia del governo fascista, Alfredo Rocco, e per questo noto come “codice Rocco”) per aver accompagnato qualche malato senza speranza a “morire con dignità” in una clinica svizzera.

FOTO: Una ventina di militanti di associazioni ultra-cattoliche hanno organizzato il 9 febbraio 2012 davanti alla clinica ‘La Quiete’ di Udine, dove morì Eluana Englaro, una manifestazione per il terzo anniversario della sua morte, dopo 17 anni di stato vegetativo. Gli associati della lombarda “Ora et labora”, la romana “Militia Christi” e di “Movimento con Cristo per la vita”, con sede a Treviso, sono arrivati nel capoluogo friulano da diverse regioni d’Italia per pregare per Eluana e ribadire “mai più eutanasia”. ANSA/LANCIA



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