Senza laicità solo sopruso

Maria Mantello

«Li ho resi da infanti quali erano razionali e padroni della propria mente» fa dire Eschilo a Prometeo (Prometeo incatenato, vv. 433-445).

 

La grande sfida laica è tutta già in questo mito che scatena la forza dell’autonomia del pensiero e dell’azione consapevole grazie al possesso della téche (τέχνη), ovvero l’arte di saper operare nella realtà e sulla realtà con metodo e strategie adeguate. Téche: capacità di conoscere – prevedere – progettare nella necessaria autonomia intellettuale. È questa infatti l’arte delle arti: presupposto e mezzo per uscire dall’indifferenziato e poter caratterizzare e definire l’esistente.

È il saper ragionare con la propria testa, insomma, a fare la differenza! E Platone nel Cratilo (41, 4b-c), fa derivare la parola tèchne, da hèxis noû (ἕξις νου), che significa sono il padrone della mia mente. È l’uscita dalla minorità per conquistare autonomia e autodeterminazione contro chi ci vorrebbe eternamente sudditi. Una strada non facile, che in Occidente è passata per le grandi Rivoluzioni liberal-democratiche.

Noi oggi stiamo assistendo a un regresso notevole rispetto alle conquiste di quelle rivoluzioni, che non a caso si sono affermate con la destituzione del potere clericale, che ancora oggi sta cercando la rivincita per la sua restaurazione teocratica.

In Italia ha gioco facile, grazie all’allegra connivenza col Vaticano di una classe politica sempre più diventata strutturale avanguardia nel non lesinargli potere. Così, mentre i comportamenti degli italiani (cattolici compresi) sono molto più laicizzati e secolarizzati di quanto si vorrebbe far credere, politici privi del minimo senso dello Stato ma attenti a durare, fanno a gara a mettersi sotto la protezione curiale.

A lanciare il bando di crociata nella riconquista della res pubblica fu un determinatissimo papa Wojtyla che tuonava: «La legge stabilita dall’uomo, dai Parlamenti da ogni altra istanza legislativa umana, – citiamo da Memoria e identità (2005) – non può essere in contraddizione con la legge di natura, cioè in definitiva con l’eterna legge di Dio». Dopo di lui la palla passava a papa Ratzinger, che sulla scia del suo predecessore definiva le Leggi «norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono a esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tale non ammettono interventi di deroga da parte di nessuno» (Convegno sulla legge morale naturale, 12 febbraio 2007).

Insomma il Catechismo al posto della Costituzione repubblicana, come se la separazione tra «leggi umane» e «leggi divine» non ci fosse mai stata.

E da questa linea che dichiaratamente vuole cassare l’Illuminismo dalla Storia, non si discosta papa Bergoglio, che se da una parte in guanto di velluto accarezza con la parola simpatica e bonaria, dall’altra non deflette sulla dottrina, e neppure molla un euro delle varie prebende (e che prebende!) che lo Stato italiano elargisce alla Chiesa.

La strategia curiale è sempre quella di addomesticare la laicità e con essa la democrazia proprio per cercare di affossare l’inevitabile processo di emancipazione mentale e sociale che rende autonomi da dogmi e padroni.

Ecco allora che bisogna esigere la liberazione dal confessionalismo nel supremo valore della laicità, presupposto e motore della democrazia e della sua tenuta. Laicità significa dimensione della libertà, e quindi diritto di ciascuno di essere il padrone della propria vita. Un diritto che è pubblico riconoscimento di poter gestire in libertà e responsabilità il proprio progetto esistenziale. La laicità è allora primario bene individuale e collettivo per l’emancipazione e l’autodeterminazione di ciascuno. Affrancamento dall’arroganza dogmatica e dai suoi sacramentati rapporti di potere. E quindi essenza della democrazia per concretizzare l’uguaglianza nei diritti umani, nell’impegno politico a produrre benessere sociale, rispetto reciproco, fine dei privilegi.

Fintanto questo non avviene, l’ideologia dei «beati i poveri perché di loro sarà il regno dei cieli» continua ad avere gioco facile, offrendo consolazione ai meno fortunati e sicurezza a potenti e ricchi, che hanno bisogno del fideismo come imbonitore di massa.

E così, anche quel «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», resta ancora nell’indeterminatezza infinita del mancato chiarimento di cosa sia dello Stato e cosa della Chiesa.



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