Cambiamento climatico: quali rischi per la disponibilità e la qualità del cibo?

La presa di coscienza dell'impatto umano sul clima ha prodotto la rivalutazione del concetto di sostenibilità. Ancora oggi, tuttavia, questa consapevolezza non si è tradotta in azioni concrete da parte dei decisori politici. Tra i molteplici aspetti della sostenibilità, la sicurezza alimentare ha una correlazione diretta con i fattori climatici.

Giuseppe Lai

Il mutamento del clima è una delle sfide cruciali del nostro tempo. La comunità scientifica è concorde nel sostenere che la maggior frequenza di eventi metereologici estremi come trombe d’aria, inondazioni e siccità prolungata sono conseguenze di azioni umane che hanno ignorato la vulnerabilità del nostro ecosistema globale. Stando ai dati disponibili, tali fenomeni non hanno un’origine lontana nel tempo: la fase post-industriale, con l’uso massiccio dei combustibili fossili e il conseguente riscaldamento atmosferico, è stata determinante nella genesi della situazione attuale.

La presa di coscienza dell’impatto umano sul clima ha prodotto, quale effetto positivo, la rivalutazione del concetto di sostenibilità, che negli ultimi decenni ha assunto un’importanza crescente nella popolazione; ancora oggi, tuttavia, questa consapevolezza non si è tradotta in azioni concrete da parte dei decisori politici. Tra i molteplici aspetti della sostenibilità, la sicurezza alimentare ha una correlazione diretta con i fattori climatici. Gli eventi anomali incidono infatti sulla produzione, trasformazione e distribuzione alimentare, rendendo sempre più difficile la disponibilità di cibo e acqua per ampie fasce di popolazione. Secondo l’ultimo report IPCC (Intergovernmental Panel On Climate Change) pubblicato nel 2022, l’area mediterranea si è riscaldata e continuerà a riscaldarsi più della media globale.

L’effetto combinato di incremento termico e diminuzione delle piogge causerà maggiore aridità del suolo in alcune regioni mentre in altre aumenterà la frequenza di precipitazioni estreme. La gravità di tali fenomeni è direttamente correlata al global warming: più aumenta la temperatura media del pianeta, più violenti saranno gli impatti del clima sulle aree del mediterraneo. Al riguardo, gli studiosi dell’IPCC delineano nel XXI secolo due possibili scenari: a) contenimento del riscaldamento globale entro 1.5°C; b) superamento della soglia termica di 3°C rispetto al periodo preindustriale. In entrambi i casi, dai dati disponibili, emerge un incremento significativo del rischio di siccità estrema che colpirebbe una parte consistente della popolazione europea, con 170 milioni di persone esposte in caso di temperature sopra i 3°C.

Gli effetti nefasti della combinazione caldo-siccità si rendono già evidenti nel settore agricolo, con perdite rilevanti nella produzione alimentare e aumento considerevole del fabbisogno idrico in gran parte delle regioni europee. Il risultato? una minor disponibilità di derrate alimentari, peraltro già in atto da tempo su scala globale, come evidenziano numerosi report su autorevoli riviste scientifiche. Tra questi, lo studio “ClimateTrends and Global Crop Production Since 1980” pubblicato nel 2011 su “Science” ha esaminato in modo dettagliato il nesso tra i cambiamenti climatici e le rese di mais, grano, soia e riso, le prime quattro produzioni che forniscono il 75% delle calorie consumate a livello planetario. I risultati della ricerca mostrano che nel periodo 1980- 2008 la resa agricola mondiale è calata del 3,6% per il mais, del 5,5% per il grano e in misura inferiore per la soia.

Per il riso si osservava un aumento di resa produttiva nelle aree coltivate non tropicali compensato da un decremento dei valori nelle aree tropicali. Altri studi evidenziano il rischio che il riscaldamento globale possa favorire la proliferazione di parassiti e di organismi produttori di tossine, nocivi per le colture agricole e potenzialmente pericolosi per la salute umana. Secondo stime della FAO, ogni anno fino al 40% della produzione agricola mondiale va perduta a causa dei parassiti e le micotossine già oggi costituiscono una minaccia per circa un quarto dei raccolti di mais a livello globale. Il riscaldamento atmosferico ha ripercussioni negative anche sui sistemi di allevamento, con conseguenze dirette e indirette. Le prime riguardano il benessere degli animali, che subiscono uno stress termico e modificano il proprio comportamento alimentare riducendo l’assunzione di cibo e incrementando l’ingestione di acqua.

Gli effetti indiretti agiscono sul terreno, le piante e le risorse idriche, sottraendo agli animali principi nutritivi preziosi e rendendoli meno produttivi. La disponibilità di cibo per gli esseri umani e gli animali non è il solo motivo di preoccupazione; il surriscaldamento incide anche sull’apporto nutrizionale degli alimenti, un componente essenziale della qualità. Elevate concentrazioni di CO2 nell’atmosfera riducono infatti la quantità di proteine, zinco e ferro delle colture agricole, mettendo a rischio il fabbisogno nutritivo di milioni di persone che dipendono prevalentemente da fonti vegetali. Secondo uno studio australiano pubblicato dal Melbourne Sustainable Society Institute, l’aumento dei gas-serra, oltre a ridurre i principi nutritivi, cambierà anche il gusto e il sapore di alcune varietà di frutta e verdura consumati abitualmente.

Qualche esempio? I cavoli saranno più amari, le carote avranno meno sapore e consistenza e i pomodori potrebbero deformarsi. E l’olio d’oliva perderà un quarto del suo tenore in nutrienti. Un’altra indagine condotta nel 2018 dall’Università di Tokyo, ha esaminato i contenuti nutrizionali del riso, l’alimento base della dieta in Oriente. I risultati confermano i dati citati in precedenza: percentuali eccessive di anidride carbonica (da 568 a 590 parti per milione) intaccano le proprietà nutrizionali, in particolare il contenuto di ferro, zinco, proteine e vitamine B1, B2, B5 e B9. La conclusione più importante e al tempo stesso allarmante condivisa dalla comunità scientifica internazionale è che gli effetti del climate change sulla sicurezza alimentare saranno particolarmente accentuati nei Paesi poveri e in via di sviluppo, dove fame e malnutrizione già mietono milioni di vittime. In primis l’Africa, un continente che ospita circa il 17% della popolazione mondiale e dove quasi la metà degli abitanti vive in condizioni di povertà. In base ai dati dello State of the Global Climate 2020, la temperatura media del pianeta nel 2020 è stata di 14,9 gradi, tra le più alte mai registrate, e il tasso di aumento medio della temperatura in Africa ha superato questo valore. Se si considera che l’intero continente africano produce meno del 4% delle emissioni complessive di gas serra, si comprende quanto sia urgente, ineludibile ed etico affrontare questa sfida a livello globale.

Foto Canva | pyaset



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