La sinistra e la democrazia senza popolo

Di fronte all’abdicazione della politica verso la tecnica, il Pd intende reagire o appiattirsi sull’“Agenda Draghi”? L’adesione a questo governo è obbligata e contingente o rivela una collocazione strategica?

Giorgio Pagano

Dopo decenni di neoliberismo senza freni la società italiana è assai malata. L’economia marginalista ha reso tutti o quasi precari, il Covid-19 ha fatto il resto: in Italia ci sono 5 milioni di poveri assoluti, 7 milioni di poveri relativi. Persone insicure, fragili, senza un punto di riferimento e una rappresentanza.

Il profilo neoliberista assunto dalla sinistra per portare al governo gli eredi del Pci ha contribuito a portarci fin qui. Per una serie lunghissima di errori non abbiamo né una sinistra socialdemocratica, né una sinistra radicale, né una forza ecologista. Fa parte di questa storia anche la sconfitta che la sinistra ha subito con le vicende che hanno portato all’avvento del governo Draghi.

Il fatto che il Pd sia uscito relativamente vincitore dalle recenti elezioni amministrative non facilita, al suo interno, il necessario — non sappiamo quanto possibile — ripensamento radicale.

Di fronte all’abdicazione della politica verso la tecnica, il Pd intende reagire o appiattirsi sull’”Agenda Draghi”? L’adesione a questo governo è obbligata e contingente o rivela una collocazione strategica? Draghi è una parentesi o un investimento per il futuro? O il Pd scioglie questo nodo o continua a non sciogliere nodi, come fa da quando è nato, passando da un segretario all’altro.

Ma torniamo al “sondaggio reale” delle elezioni amministrative. Il Pd ha vinto non tanto per i consensi ottenuti dalle sue liste, quanto per la capacità di guidare, come amano dire i suoi dirigenti, un “campo largo”. Ha agito da magnete, verso forze civiche e verso forze politiche alla sua sinistra e alla sua destra. Anche quando non ha fatto alleanze con il M5S, ha saputo intercettare buona parte dei suoi voti (sia pure di molto diminuiti) al secondo turno. Il ruolo di difesa che il Pd ha assunto verso la destra in qualche modo ha funzionato ancora. Ma è una funzione che maschera un’esilità di fondo. I problemi aperti sono enormi.

Il primo riguarda la competizione con il centrodestra, che sarebbe meglio definire — dati i suoi connotati — destra tout court.  Nei 118 Comuni sopra i 15 mila abitanti il Pd ha guadagnato 18 Sindaci, ma la destra ne ha persi solo due. Il successo del centrosinistra è avvenuto quindi a spese del M5S o di coalizioni di vario genere. La destra ha completamente sbagliato l’impostazione della campagna elettorale e la scelta dei candidati, ma è presto per dire che la sconfitta segna l’inizio del suo declino. Anche da noi, come in tutta Europa e nel mondo, il liberismo — anche nella variante sovranista — mostra segni di difficoltà, ma non di cedimento. Compatta ancora gran parte del mondo imprenditoriale e non smette di attrarre parte dell’elettorato popolare e di ceto medio.

Il secondo enorme problema, per il centrosinistra ma soprattutto per la democrazia, è l’astensionismo. Rischiamo una democrazia senza popolo: una democrazia vuota o, meglio, occupata da un potere senza più legame con la società, incapace di dare voce al pluralismo e ai conflitti che la attraversano. Alle amministrative ha votato il 54,6% degli elettori. Così tante assenze fanno venire in mente la mossa della plebe di Roma per marcare la propria essenzialità. Certo è che quando tanti atti individuali convergono c’è da pensare a un “clima” collettivo: di indifferenza se non di fastidio verso la politica e il potere. Questa società che non vota non scompare, anzi: proprio perché non vota è un “mondo di sotto”, abitato da classi popolari e ceti medi impoveriti, che esprime stanchezza e rabbia e che è in cerca di una rappresentanza credibile. Potranno offrirla il centrodestra o il centrosinistra, se ricalibreranno radicalmente la propria politica, o una nuova offerta politica che oggi non immaginiamo neppure. Lo scenario è aperto a ogni soluzione, perché il voto “fedele” è stato rimpiazzato dal voto “liquido”.

Circa il centrosinistra, sia il “nuovo” Pd di Letta che il “nuovo” M5S di Conte sono ancora ben lontani da rappresentare queste forze, oggi al di fuori dal loro radar. Conte non vuole essere un moderato, ma è lontano dall’aver dato al M5S un’ideologia compiuta. Compito che del resto non può stare sulle spalle di una persona sola. La bandiera del nuovo partito potrebbe essere l’ecologia, anche in coerenza con il movimento degli inizi. Ma la questione ambientale va connessa alla questione sociale. Scavando alla radice, dietro questo distacco c’è infatti l’abbandono di un progetto di società fondato sulla democrazia sociale. La sinistra non può adattarsi all’idea che basta il sostegno di chi vota, e se qualcuno resta escluso, pazienza. No, la sinistra non esiste se non sa fare degli esclusi i “protagonisti della storia”.

In Europa e nel mondo non mancano segnali di cambio di prospettiva. La Spd si è riposizionata a sinistra, a difesa dei gruppi sociali più deboli. Anche il “social liberalism” di Joe Biden, non a caso sotto attacco delle grandi lobby, va in questa direzione. Pur tra molte incertezze sia sta aprendo un campo di azione per le politiche pubbliche e per il perseguimento di interessi pubblici non serviti dal mercato.

Da noi è tutto più esile ancora. Non è un’impresa facile, del resto, recuperare i propri sostenitori dopo averli traditi. Servono, certamente, i programmi, ma prima ancora serve una cultura alternativa forte, un’idea del mondo e del senso della vita, senza le quali le singole proposte restano sul piano della comunicazione mediatica contingente (la tassa di successione lanciata da Letta) e non si va da nessuna parte.

Circa il Pd, ho già detto del nodo da sciogliere: sposare o no l’“Agenda Draghi”. Ma forse la questione è più profonda ancora: il Pd vuole diventare una socialdemocrazia, adeguata a un mondo diverso da quello fordista, e allearsi con il M5S, l’ecologismo e il civismo, oppure la sua funzione principale è la garanzia dell’equilibrio di sistema, della continuità istituzionale, dei vincoli internazionali dell’Italia, della stabilizzazione dell’establishment, come se il partito fosse “una parte dello Stato”?

Ma non ci sono solamente Pd e M5S. C’è anche una sinistra plurale, non identificata con alcun partito. Una forte passione civica, una energia politica che surroga il vuoto lasciato dai partiti. Senza dubbio la principale sorgente della vita democratica. Certo, sappiamo che alle iniziative di cittadinanza attiva in difesa dei beni comuni, se ne affiancano altre assai meno apprezzabili, all’insegna dell’inimicizia sociale. E sappiamo anche che non possiamo fare a meno della rappresentanza politica e istituzionale, perché l’alternativa è l’autocrazia, che oggi è ben visibile.

Dobbiamo quindi, come ha scritto Gaetano Azzariti su “il manifesto”, «attrezzarci per una doppia battaglia: dentro la società per dare coscienza alle persone, dentro le istituzioni per riuscire a tradurre i “fatti” (sociali) in “norme” (politiche)». La prima battaglia è quella fondamentale: perché solo da una spinta sociale e culturale possono rinascere forze politiche con un pensiero e un’azione radicali, che rimettano finalmente in circolo parole come classe, conflitto, ideologia, giustizia sociale e giustizia ambientale, fratellanza come sintesi di libertà ed eguaglianza.

 

(credit foto ANSA/MATTEO CORNER)



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