Solidarietà. Filosofia di un’idea sociale

Il libro di Alessandro Volpe, da poco dato alle stampe da Carocci, riporta al centro del dibattito il tema della solidarietà, ricostruendo la storia del concetto e il suo significato, e sottolineandone l’importanza come valore orientativo dei comportamenti sociali e delle politiche istituzionali, anche in risposta alle crisi contemporanee.

Alfonso Liguori

In questo libro – Solidarietà. Filosofia di un’idea sociale (Carocci, Roma 2023) –  Alessandro Volpe, ricercatore in filosofia morale all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, affronta il tema della solidarietà, anche in relazione a concetti affini, e all’idea di giustizia. L’autore, in primis, sottolinea l’importanza della solidarietà come valore orientativo dei comportamenti sociali e delle politiche istituzionali, anche in risposta alle crisi recentemente determinatesi.
Questo concetto – forse sottovalutato – ritorna dunque nel dibattito e nella letteratura. E nell’Introduzione l’autore richiama una serie di autori – da Steinar Stjernø a Marie-Claude Blais, da Charles Taylor allo stesso Habermas, a Stefano Rodotà – che ne hanno colto la centralità. Volpe ricorda le origini giuridiche del concetto: l’espressione francese solidarité deriva dalla formula di diritto romano obligatio in solidum; e il termine conserva ancora un significato giuridico sia nel Dictionnaire de l’Académie française del 1694 sia nella Encyclopédie d’Alambert e Diderot del 1765. Solo dopo la Rivoluzione francese il lemma acquista un significato etico-politico, sia pure nella forma della fraternité. Nella moderna Francia rivoluzionaria, la fraternité si aggiunge a libertà ed uguaglianza, e designa l’affratellamento nazionale; in particolare, “la fraternité  non era più considerata come l’adempimento del dovere religioso di amare o di donare carità, bensì era intesa in termini sociali come la realizzazione della libertà politica di tutti i cittadini” (p. 23). Tuttavia, il termine non ebbe fortuna politica; come ha sottolineato Stefano Rodotà, citato da Volpe, “della triade rivoluzionaria proprio la fraternità si rivelò precocemente la componente più debole, o quella più difficilmente accettabile, tanto che Napoleone, nel suo proclama del 18 brumaio, si sarebbe presentato ai francesi come il difensore di ‘libertà, eguaglianza e proprietà’”. Il primato della proprietà avrebbe messo fuori gioco gli elementi solidaristici della fraternité, con le retrive conseguenze poi manifestatesi nel capitalismo europeo (cfr. S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 21-22).
Con la rivoluzione industriale si ha il passaggio dalla fraternità alla solidarietà, un concetto connotato in termini più sociali e politici: si pensi alle prime organizzazioni dei lavoratori e ai sindacati, al mutualismo operaio, in cui la solidarietà, non senza riferimenti di classe, precorre il Welfare State. I primi autori socialisti, come Charles Fourier e Pierre Leroux, sono stati determinanti – ricorda Volpe – per l’affermazione del nuovo concetto. La solidarietà si sostituisce alla carità invalsa nell’Ancien Régime: mentre le forme di caritas tradizionale erano paternalistiche e arbitrarie, la solidarietà moderna caratterizza individui potenzialmente liberi e uguali che si danno mutuo supporto. Altresì, la solidarietà svolge un ruolo importante di integrazione sociale: la complessità e l’individualismo implicati dalla “divisione del lavoro” richiedono forme nuove di integrazione. Qui l’autore accenna a Durkheim, il quale discute criticamente le tesi di Ferdinand Tönnies a proposito della distinzione tra “comunità e società” (Gemeinschaft e Gesellschaft). Secondo Tönnies sarebbe distruttivo il passaggio dalla comunità tradizionale, basata su scambi reciproci e intrinsecamente “fraterni”, alla società moderna (Gesellschaft) in cui l’individualismo liberoscambista comporterebbe una sorta di disintegrazione del contesto sociale. Durkheim, invece, è più ottimista: mentre nella Gemeinschaft si verificherebbe una “solidarietà meccanica” garantita dalla tradizione, nella modernità si afferma una “solidarietà organica” voluta da individui più autonomi e specializzati: la divisione del lavoro comporta una interdipendenza che genera un nuovo tipo di solidarietà.
Volpe, quindi, richiama le tradizioni storiche che hanno fondato la solidarietà moderna: il patriottismo, il cristianesimo sociale e il socialismo. In particolare, la tradizione socialista è quella che maggiormente ha fatto valere, in chiave politica, l’idea di solidarietà, a partire dai moti del 1848: un’idea che, in ambito socialdemocratico, portava, attraverso le riforme, alla redistribuzione sociale, mentre, da un punto di vista marxista, era la base anche della “lotta di classe” e di un cambiamento radicale del capitalismo. In Marx ed Engels (ma poi anche in György Lukács) la solidarietà compare soprattutto come sentimento di condivisione della condizione operaia, ma al contempo si proietta in una direzione universalistica: “sebbene, infatti, la solidarietà tra i lavoratori si qualifichi senza dubbio come una solidarietà di gruppo, va comunque ricordato che l’idea stessa di lotta di classe ingaggiata dal proletariato è pensata, da Marx ed Engels come anche da Lukács come il presupposto necessario del raggiungimento di una solidarietà universale, e dunque come precondizione della fine stessa delle classi: la classe operaia come portatrice degli interessi universali dell’umanità” (p. 38).
L’autore, altresì, distingue il concetto in re da figure affini, come la carità (in cui si determina un rapporto unilaterale), la cura (riferita a rapporti familiari o di vicinato) e la lealtà, contrassegnata da una “disponibilità coatta al sacrificio” e dunque da elementi gerarchici. La solidarietà, invece, si caratterizza per la simmetria e la reciprocità, e può essere definita come “una relazione simmetrica di mutuo supporto e condivisione del rischio basata sul riconoscimento di una causa comune” (p. 49). Volpe confronta poi la solidarietà con la giustizia: tema ineludibile, giacché la solidarietà non può assolvere il delicato compito di giustificare le pretese morali dei soggetti solidali (si pensi alle organizzazioni criminali, in cui pure si danno comportamenti solidaristici tra gli affiliati, per i quali l’agire solidale è rivolto, evidentemente, a finalità “negative”: e per valutare codeste finalità è necessario il criterio della “giustizia”). L’autore non condivide le tesi oggi invalse (si pensi a John Rawls) secondo cui il criterio della giustizia, più universale e razionale, supererebbe l’idea stessa di solidarietà; e neppure sembra condividere le tesi dei filosofi comunitaristi, i quali, attraverso il richiamo ad Aristotele e a Hegel, accordano una priorità netta alla solidarietà, ovvero ai legami etici, sulla giustizia universalistica. Piuttosto, l’autore valorizza l’approccio di Habermas, il quale sostiene la tesi della complementarietà tra giustizia e solidarietà: per il filosofo tedesco, la solidarietà va intesa “come principio morale co-originario accanto a quello della giustizia”: “Se la giustizia (…) si presenta come criterio universalistico che stabilisce diritti e libertà a tutti gli attori morali, la solidarietà si occupa di mantenere l’integrità di una forma di vita condivisa” (p. 60). Questa tesi fonda poi il “patriottismo costituzionale”, l’idea di una condivisione politica dei principi universalistici della costituzione: un’idea che, per il suo grado di apertura cosmopolitica, ben si attaglia – nella prospettiva di Habermas – all’Unione europea.
Volpe sottolinea, nondimeno, i limiti della tesi habermasiana, laddove sottovaluta le dinamiche conflittuali della società. L’autore, dunque, accenna alle tesi della studiosa americana Jodi Dean, al pensiero critico e femminista di Nancy Fraser e alle “lotte per il riconoscimento” così come teorizzate dal tardo francofortese Axel Honneth.
Cenni interessanti, da parte dell’autore, al tema del lavoro. A suo avviso, la forma tipica della solidarietà organizzata dei lavoratori appare, in parte, “superata”, come dimostra la crisi del sindacato: e ciò a causa del post-fordismo, della precarizzazione e della digitalizzazione del lavoro, ossia di processi che determinano il superamento dell’ “operaio-massa”. Altresì, “nell’ottica di una società a costante riduzione del lavoro socialmente necessario, sono sempre più frequenti i richiami a misure come il reddito di base universale, che, se vanno senza dubbio giustificate da considerazioni di equità e giustizia, inducono anche a una riflessione sul futuro del welfare e dunque su strumenti innovativi e nuove infrastrutture solidali” (p. 107).
Discutendo di Europa, Volpe afferma che la solidarietà “è senza dubbio un concetto europeo”, nel senso che in ambito europeo si sono sviluppate importanti pratiche solidaristiche, poi tradottesi in valori politici e costituzionali (il “modello sociale europeo”).  Al contempo, nonostante i riferimenti giuridici alla solidarietà dei vari Trattati e, in modo particolare, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, si registra una crisi politica della solidarietà europea: si pensi agli “egoismi nazionali” (per esempio del “Gruppo di Visegrád”) in relazione al tema dei migranti, o alle vicende degli Stati più deboli come la Grecia, penalizzata ingiustamente dalle politiche di austerità, o, più in generale, alla mancata realizzazione di un’Europa federale. Secondo l’autore, la solidarietà europea fatica dunque ad affermarsi, sia nella variante habermasiana del “patriottismo costituzionale” (a cui si contrappone classicamente la tesi no demos di Dieter Grimm, secondo cui non può esserci una democrazia sovranazionale senza un preesistente “popolo europeo”), sia in quella post-marxista, legata alle rivendicazioni no-global dei primi anni Duemila e vicina “all’idea di una costituzione pienamente democratica di tipo transnazionale”. Altresì, per l’autore, c’è il rischio di far valere un’idea meramente pragmatica e funzionalistica dell’Unione Europea, vista come una sorta di necessità istituzionale: con il corollario “di appiattire il discorso solidale al vocabolario tecnocratico e contabile di un certo europeismo” (p. 88). Volpe discute poi di una possibile proiezione universale e “cosmopolitica” della solidarietà – in qualche modo implicata dall’infittirsi delle relazioni entro i processi di globalizzazione; e prefigura altresì una sorta di “teoria critica dei rapporti di solidarietà”, che “metta a nudo e critichi narrazioni ideologiche e attitudini volte a giustificare, promuovere o mettere in atto pratiche anti-solidali, forme ‘parassitarie’ di solidarietà e pratiche di free-riding” (p. 106).
In conclusione il libro di Alessandro Volpe illustra bene i temi correlati al concetto di solidarietà, richiamando un’ampia letteratura e sondandone le varie implicazioni teoriche. Le argomentazioni dell’autore sono ampiamente condivisibili, specie laddove ha ben descritto quelle culture politiche – si pensi alla tradizione socialista e a Marx – che hanno motivato il fondamento moderno della solidarietà. Si può aggiungere che in Marx non vi è soltanto un’idea solidaristica – che peraltro si proietta, come ha ben detto Volpe, in una direzione universale – ma anche un’aspirazione libertaria ed emancipativa, riferita sia alla classe operaia sia alla società nel suo insieme. Per molta letteratura, in Marx vi sarebbe un individualismo etico, volto alla liberazione dell’individuo da ogni sfruttamento e legame di dipendenza – ad esempio, Stefano Petrucciani ritiene, con buone ragioni, che Marx sia da considerare come “filosofo della libertà”, di una libertà positiva e relazionale, vista come concreta autodeterminazione dell’individuo[1].
È plausibile la tesi di Volpe sulla diatriba tra liberali e comunitaristi: la sua posizione è assimilabile a quella di Habermas, il quale, pur sminuendo il tema del conflitto, ha saputo mediare tra l’esigenza di autonomia dell’individuo e l’eticità del contesto sociale, tra giustizia e solidarietà.  Tuttavia, pur concedendo ad Habermas i suoi meriti teorici, va notato come il filosofo tedesco non affronti poi, opportunamente, la “questione democratica”: e ciò in quanto non tematizza con forza quelle logiche di potere che sovente surclassano la democrazia. Le tesi di Habermas – normativamente ancorate al modello deliberativo – sembrano collocarsi all’altezza di una democrazia matura, tipica del XX secolo, ma non di un tardo capitalismo che supera, per molti versi, le ragioni democratiche[2].
Condivisibili le valutazioni critiche sull’Unione europea; e si potrebbe essere anche più espliciti, laddove si consideri che le istituzioni europee, come evidenziato da molti autori – da Luciano Gallino ad Alessandro Somma –, oltre a togliere “sovranità democratica”, impongono, sovente, le politiche neoliberiste e  l’austerità.
Interessanti, infine, i cenni dedicati dall’autore alla questione del lavoro, quando ha evidenziato le trasformazioni dovute al post-fordismo, alla precarizzazione e digitalizzazione del lavoro: processi che superano, in parte, il ruolo del sindacato e la figura dell’ “operaio-massa”. Volpe sottolinea l’importanza del tema del reddito di base universale a fronte della riduzione strutturale del “lavoro socialmente necessario”: un tema che si pone, certo, per motivi di giustizia e solidarietà, ma invero – si potrebbe aggiungere – anche per motivazioni più apertamente economico-politiche. Secondo molti autori di orientamento operaista, da Andrea Fumagalli ad Antonio Negri, il reddito universale – nel quadro di un capitalismo biopolitico e finanziario – può assumere anche un significato strutturale: un tale reddito andrebbe a remunerare forme nuove di lavoro, contrastando il capitale parassitario e rentier; svincolerebbe dal lavoro coatto; andrebbe a redistribuire la ricchezza sociale; consentirebbe di recuperare tempo di vita a fronte dalla ratio strumentale (e iper-produttivistica) del capitalismo; e così via.
Il libro di Alessandro Volpe, in ogni caso, rappresenta un contributo notevole al dibattito filosofico-politico. Il concetto di solidarietà, tra l’altro, potrebbe anche utilmente contrapporsi al competitivismo e al neoliberismo. Insomma, un concetto talvolta sottovalutato, ma in realtà centrale, sia per capire le dinamiche dell’oggi, sia per far valere una prospettiva più umanistica, libera e democratica.
[1]
Cfr. Stefano Petrucciani, Temi marxiani e teoria politica normativa, in Sebastiano Maffettone, Salvatore Veca (a cura di), Manuale di filosofia politica, Donzelli Editore, Roma 1996, pp. 97-125.
[2] Si veda Colin Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari 2009. Cfr. anche Danilo Zolo, Il principato democratico. Per una teoria realistica della democrazia, Feltrinelli, Milano 1996, e Wolfgang Streeck, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli, Milano 2013.



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