La doppia resistenza cui è chiamata la sinistra ucraina

Da Kiev la storia dei militanti di Solidarity Collectives, anarchici e internazionalisti, che non si riconoscono nel patriottismo e nel nazionalismo propugnati dallo stato ucraino, e tantomeno in quelli promossi dal governo russo, ma si identificano con la lotta popolare genuina che l’invasione ha scatenato nella società ucraina.

Davide Grasso

A Kiev ho incontrato diversi militanti dei Solidarity Collectives, noti per il loro supporto alla resistenza e all’internazionalismo. Sono stati fondati da anarchici e raggruppano oggi persone di diverso background politico, anche se con il minimo comune denominatore di quello che definiscono “anti-autoritarismo”. Per questo non si riconoscono nel patriottismo e nel nazionalismo propugnati dallo stato ucraino, e tantomeno in quelli promossi dal governo russo, ma si identificano con la lotta popolare genuina che l’invasione ha scatenato nella società ucraina.
Assieme a un’amica dei Municipi sociali di Bologna aiuto due di loro, Sergey e Alex, a raccogliere per la città beni da inviare al fronte, questa volta nella località di Limov, dove molte famiglie hanno bisogno di generi di prima necessità. Immagazziniamo coperte, cuscini, cellulari, bollitori. Sergey e Alex tengono a sottolineare che quando possono cercano anche di portare a chi è sulla prima linea anche film, libri e musica, così che questi mesi non siano spesi soltanto nella mera speranza di sopravvivere, ma anche, nei limiti del possibile, per vivere.

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Oltrepassiamo il grande ponte sul fiume Dnipro e Sergey ci mostra la grande e celebre statua della Madrepatria, dedicata alla vittoria sovietica sui nazisti a Kiev. Il governo legato a Poroshenko ha bandito nel 2015 i simboli comunisti da paese equiparandoli assurdamente a quelli nazisti. Già nel 2018 funzionari del dipartimento ucraino delle belle arti chiedevano che la falce e martello posta sullo scudo della statua venisse sostituita con il tridente ucraino. L’invasione russa del 2022 ha portato un numero ancora maggiore di persone ad appoggiare queste politiche, e proprio pochi giorni fa, il 6 agosto, il simbolo sullo scudo è stato modificato.
Questo intervento non soltanto è irrispettoso dell’eredità urbana sul piano filologico e storico, ma anche delle cadute e dei caduti dell’Armata rossa. Quest’ultima riuniva soldati di 15 repubbliche, Ucraina compresa, e non soltanto della Russia. È vero invece che le politiche iconografiche staliniane successive alla guerra hanno cercato di ridurre la memoria sovietica e antifascista a una magnificazione imperiale della Russia che nulla aveva a che fare con le politiche nazionali e antimperialiste proposte da Marx, Engels e Lenin. Se la statua di Kiev fu intitolata alla Madrepatria, come quella di Volgograd o le steli di Treptow a Berlino, fu per un neanche troppo velato riferimento alla tradizionale espressione “Madre Russia”.

Sergey, anarchico, non ha simpatie per Stalin né per l’Unione Sovietica. Conosce la storia della degenerazione imperialista del socialismo staliniano e non si riconosce nella falce e martello. Tuttavia non esita a denunciare il carattere pericoloso e problematico di quella che vede come una generale volgarizzazione della memoria e una concezione sempre più superficiale della storia ucraine, simboleggiata da questi attacchi alle tracce del socialismo.
L’azione di Sergey e dei Solidarity Collectives consiste oggi nel proteggere il nucleo critico della resistenza ucraina, che dovrà e potrà avere voce nel paese comunque rinnovato che uscirà dalla guerra, evitando all’Ucraina di cadere nel baratro del nazionalismo esclusivo ed integrale.
Si tratta in primo luogo di dare dignità all’azione politica. In questo paese, ci spiega, il termine “politica” fatica almeno dal 1991 ad acquistare un senso. Da un sistema a partito unico prima della fase finale della Perestroijka l’Ucraina è diventata, dice, un sistema apparentemente multipartitico, ma in realtà privo di partiti. L’elezione di Zelensky nel 2019 è espressione di questo: il suo gruppo altro non è che la creazione di una infrastruttura politica per accompagnare la sua personale campagna elettorale ed esperienza politica.
Lungi dall’essere un fenomeno che riguarda soltanto la sua figura, questa personalizzazione della democrazia rappresentativa (ben nota anche all’Italia al resto dell’Europa, per non parlare della Russia) è presente in Ucraina con un sempre più intenso processo di svuotamento e di distacco delle organizzazioni politiche elettorali dalla popolazione. “I partiti nel parlamento ucraino sono un nulla, sono involucri spettacolari, e si dividono in parlamento in fazioni sempre nuove”.

Quello che resta sono le leadership, da quelle iper-liberiste o nazionaliste fino a quella populista incarnata da Zelensky. Vale a maggior ragione per i partiti contrari a Maidan e all’adesione all’UE, considerati vicini a Putin, sciolti subito dopo l’invasione: i loro parlamentari, espressione di carriere fondate sull’impresa semi-legale e lo sfruttamento selvaggio della forza lavoro, restano al loro posto, e adesso sostengono Zelensky dietro minacce o ricatti. Non a caso, come ci aveva detto a Leopoli Olenka, giovane sociologa legata alla rivista ucraina Commons e attivista di Sozialnyi Rukh (Movimento sociale), l’affezione degli ucraini per i loro politici è dimostrata dal fatto che nessun presidente è stato rieletto negli ultimi vent’anni.

Alex racconta del sorprendente panorama sociale che si trova lungo il fronte. Nelle città bombardate emergono figure picaresche, figli di ex sindaci o rinomati politici con legami con il sottobosco dell’illegalità, che dispongono dei mezzi e dei contatti per tenere insieme la comunità nei momenti di crisi. Paradossalmente sono figure analoghe, per certi versi, a quelle che hanno condotto all’istituzione delle “repubbliche popolari” di Donesk e Luhansk nel 2014: era un ceto politico-economico, spiega Sergey, che vedeva minacciato il proprio potere decennale senza Yanukovych. Oggi, come allora, sembra prendere parte principalmente in base alle convenienze.
Alex e Sergey sono stati di recente in una grande città industriale del sud non lontana dal fronte, Kryvyi Rih, il cui elettorato tende a sinistra più che altrove. Alex racconta anche delle particolari abitudini della gioventù di Kryvyi Rih e dell’est, dedita dagli anni Novanta anche a formare gang. A Kryvyi Rih una serie di bande si erano formate sotto il nome inglese di Runners (con evidente riferimento al film culto degli anni Ottanta ‘Midnight Runners’). Quando dovevano dichiararsi guerra l’una all’altra, si radunavano intorno a un monumento sovietico alla guerra in centro città, raffigurante un’enorme pistola, e lo “spostavano”, racconta Alex, in direzione del quartiere contro la cui gang la “guerra” era stata dichiarata.

Il tessuto sociale dell’Ucraina orientale e del Donbass, area industriale già sotto Alessandro III e legata al complesso militare per tutta la storia dell’Urss, è coriaceo e complesso. Sergey racconta di come, dopo l’attacco russo contro Karkhiv e l’iniziale arretramento dell’esercito ucraino, gli abitanti dei quartieri arruolatisi volontari nelle Unità di difesa territoriale abbiano sfidato i carri armati con i kalashnikov in uno dei parchi della città, finendo per essere uccisi tutti. A Kherson, racconta Nelia, un’attivista di lungo corso nella sinistra marxista di Kiev, migliaia di persone sono scese in piazza posizionandosi davanti ai carri armati a mani nude. L’esercito russo è stato così bloccato per giorni, fino a quando ha fatto fuoco sulla folla, uccidendo diverse persone, e si è fatto strada. La rabbia e l’amarezza degli abitanti di Kherson, le cui strade sono state riconquistate dall’Ucraina nel corso della controffensiva, fu aumentata da quello che si ritiene fu il tradimento di un alto ufficiale ucraino che oggi vive in Russia, e che in quei giorni fornì agli invasori informazioni strategiche.

Alex, Sergey e Nelia sono concordi nell’affermare che l’invasione del 2022 ha cambiato tutto: l’enorme ventaglio di opinioni e sfumature che le persone, di sinistra e non, avevano su Maidan e anti-Maidan, o sulle “pubbliche popolari monarchiche” come chiamano ironicamente le istituzioni di Donesk e Luhansk, sono svanite. L’invasione ha compattato tutt* nel sostegno a una resistenza che non ha più a che fare con le divisioni interne all’Ucraina, ma con la sua stessa esistenza come entità politica.
Alex, Sergey e Nelia sanno molto meglio di chiunque altro che continuerà ad essere difficile, in questa entità, portare avanti battaglie sociali e culturali alternative a quelle dei neo-liberali e dei nazionalisti. Impressiona la loro determinazione nell’affrontare questa sfida. Naturalmente non riconoscono alle frammentate e neutrali sinistre occidentali un ruolo di ispirazione, né una spiccata capacità di comprendere la loro situazione o quella del loro paese. Sanno che ogni spazio di pensiero critico sarà costruito e difeso in Ucraina assieme alle persone in carne ed ossa. Quale che sarà la direzione politica che queste persone sceglieranno, sarà comunque decisa nella lotta contro l’invasione militare e l’imperialismo russo.

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