Stipendi differenziati: la destra delle disuguaglianze

La proposta di questi giorni del ministro Valditara di stipendi differenziati su base territoriale apre uno scenario inquietante sul futuro della scuola. Alcune dichiarazioni della destra tradiscono un’idea di scuola che non va nella direzione di una scuola libera e indipendente, attenta a superare disuguaglianze e ingiustizie. Soprattutto unitaria. È lo Stato a dover investire nell’istruzione, non le aziende private.

Teresa Simeone

La proposta di questi giorni del ministro Valditara di stipendi differenziati su base territoriale apre uno scenario inquietante sul futuro della scuola, anche se, sorprendentemente, raccoglie le adesioni di molti dirigenti dell’ANP e di una parte degli operatori del settore.

Per il carico di disuguaglianza che porta con sé, si configura, a mio avviso, come inammissibile dal punto di vista civico ed educativo. È stata accompagnata dalla necessità di “trovare nuove strade, anche sperimentali, di sinergia tra il sistema produttivo, la società civile e la scuola, per finanziare l’istruzione, oltre allo sforzo del governo”, il che, come hanno fatto notare i sindacati, porterebbe lentamente allo smantellamento della scuola pubblica, già insidiata dalla concorrenza di quella privata e fortemente depotenziata, nella sua funzione educativa, dall’aziendalizzazione che ha agganciato l’apprendimento a logiche ragionieristiche. La domanda che suscita è inevitabile: la nostra è ancora una scuola pubblica? Legarla a finanziamenti esterni, infatti, le farebbe perdere indipendenza e autonomia. È lo Stato a dover investire nell’istruzione, non le aziende private. Diversa è la natura costitutiva, diverse sono le finalità. Diversi rischierebbero di essere gli effetti sulla formazione dei cittadini.

Per quanto riguarda l’aumento degli stipendi ai docenti del Nord, la proposta contiene elementi pericolosi, benché venga presentata come logica conseguenza a un costo della vita più alto: bisognerebbe piuttosto adeguarli a quelli europei. È vero che poi Valditara ha rettificato, ma alcune dichiarazioni della destra tradiscono, comunque, un’idea di scuola che non va nella direzione di una scuola libera e indipendente, solida nel suo impianto pubblico, attenta a superare disuguaglianze e ingiustizie. Soprattutto unitaria.

Agganciare alla residenza lo stipendio, infatti, significa introdurre un elemento di esclusione, spostando le lancette dei diritti di 50 anni e riportandole a quelle gabbie salariali il cui fallimento è un fatto storico. Abolite definitivamente nel 1972, dopo anni di lotte dei lavoratori, dimostrarono la profonda ingiustizia e logica discriminatoria che ne era alla base: lo stesso lavoro pagato in maniera differente. Piuttosto che ritornarvi, bisognerebbe avviare, invece, un serio piano per superare le disparità di condizioni e opportunità che ci sono nel nostro Paese tra i diversi territori. Il fatto che la proposta venga sempre da esponenti politici del Nord dovrebbe dare un elemento in più di riflessione. Che poi sia presentata quasi esclusivamente come la volontà di migliorare la condizione di quei meridionali che si spostano, mentre favorisce tutti i settentrionali che al Nord ci vivono è qualcosa che dovrebbe essere chiaro a tutti ma che, nel dibattito nazionale, è abilmente focalizzato solo sul trasferimento Nord-Sud.

Riassumendo le perplessità:

differenziare stipendi del Nord e stipendi del Sud significherebbe creare una divisione che spaccherebbe il Paese mentre l’Italia di tutto ha bisogno tranne che di elementi ulteriori che riacutizzino quello spirito antimeridionalista che invece deve essere sanato;

è una norma discriminatoria: i docenti non sarebbero tutti uguali; gli studenti non sarebbero tutti uguali;

se è vero che al Nord la vita è più cara, è altrettanto vero che al Sud è molto più difficoltosa, che il tasso di disoccupazione è più alto, a fronte di servizi minori e meno efficienti, soprattutto in termini di welfare sociale e di assistenza alle donne lavoratrici;

al Sud sono presenti aree di disagio sociale ed economico in cui gli insegnanti lavorano in condizioni gravose, svolgendo anche funzioni di assistenza;

incentivare con stipendi più alti la docenza del Nord potrebbe aumentare il fenomeno migratorio, spopolando ancora di più un Sud in cui sempre maggiore è la desertificazione sociale e più alto il numero di paesi fantasmi. In un Paese in cui si studiano soluzioni per far restare, si incoraggia a lasciare;

infine, non è chiaro perché questa misura sia pensata solo per gli insegnanti quando il costo della vita riguarda tutte le categorie di lavoratori.

Il principio, però, più importante da considerare è che, nello stesso Stato, non si può retribuire un lavoro in base al luogo di servizio: un docente se è bravo, appassionato, se continua a studiare per dare il meglio di sé ai propri allievi, se cerca di contribuire alla loro crescita come cittadini e come esseri umani, rispetta i tempi di apprendimento, consente di vivere serenamente la loro condizione, li stimola a riflettere criticamente, ad esprimere la loro creatività, lo è in qualsiasi aula scolastica, perché egli “è” nella didattica quotidiana, nell’attività giornaliera di incontro, di dialogo, di relazione. Indipendentemente dalla città in cui vive o dalla regione in cui lavora.

 

Foto Ansa



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