La didattica della storia a confronto con l’Intelligenza Artificiale

Alcune riflessioni in merito allo studio della storia oggi a partire dall'introduzione di Giovanni De Luna al libro "I linguaggi della contemporaneità".

Carlo Scognamiglio

Cinque anni fa lo storico Giovanni De Luna, dopo aver coordinato un gruppo di insegnanti per un progetto finanziato dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, nel 2012, intitolato “I linguaggi della contemporaneità”, scrisse un’introduzione al volume che ne raccoglieva i frutti[1].
De Luna metteva sul tappeto alcune questioni importanti, che oggi – alla luce dei comunque prevedibili sviluppi delle intelligenze artificiali – risultano particolarmente interessanti. Nel suo saggio introduttivo, dunque, si faceva notare in modo particolare un’istanza che, espressa con linguaggio suggestivo, evocava una “bonifica cognitiva dell’ambiente digitale degli studenti”.
Rimanendo entro i confini della metafora, chi si adopera in azioni di bonifica presume di saper e poter rendere coltivabile un terreno ostile o paludoso, entro il quale sarebbe elevato il rischio di smarrirsi e non trarre fuori più nulla, neanche sé stessi. Si dà il caso, tuttavia, che quell’espressione non sia del tutto priva di qualche ambiguità, perché non si comprende bene se il terreno da sanare e rendere fertile sarebbe la Rete o il sistema cognitivo degli studenti che si muovono in Rete. Proviamo a interpretarlo come una sintesi di entrambe: un contesto Web meno caotico e/o un sistema cognitivo capace di destreggiarsi in esso costruendo e decifrando strutture.

L’intervento di bonifica dovrebbe dunque consistere nell’imparare a fare ordine nell’ondivaga e dispersiva quantità di informazioni e notizie storiche disponibili in Rete. Al di là di ogni buona intenzione, un tale obiettivo didattico contiene una pretesa in parte inverosimile. Nella Rete, come in fondo in una biblioteca, c’è un po’ di tutto. Chi ha studiato nel secolo scorso, e si è ritrovato a iniziare una ricerca bibliografica per scrivere su un argomento a lui ignoto, avrà provato l’esperienza di tirare fuori dai magazzini di una biblioteca decine di volumi, per poi scartarli quasi tutti, perché risolvibili in pubblicazioni d’occasione, inutili compilazioni o testi indicizzati male. Certamente il fenomeno con la Rete diventa più ampio e complesso, perché la quantità di materiale inservibile è assai più cospicua. Ma è anche vero che la Rete offre indicazioni e strumenti per orientarsi, e facilita la possibilità di entrare in contatto con studiosi seri, per farsi guidare nelle proprie ricerche. A volte basta inviare un’e-mail per evitare di girare a vuoto parecchi mesi. Al di là di qualche errore qua e là, ho provato a chiedere a ChatGBT quattro i titoli fondamentali su questioni a me note, e già approfondite, e quasi sempre l’orientamento ricevuto dalla macchina era serio e fondato, con qualche suggerimento di lettura a sorpresa nient’affatto superfluo, per il quale ho garbatamente ringraziato.

Resta il problema dell’eccesso di pseudo-storiografia improvvisata e spesso distorsiva che circola sul Web, con la quale il rischio di confondersi o arrivare a conclusioni affrettate è effettivo. Tuttavia, pur ammettendo che si possa bonificare quel territorio, diventa interessante ragionare sul come, per poi verificarne la fruibilità nella didattica scolastica quotidiana delle scienze storiche. De Luna suggeriva di ricorrere a “strumenti di validazione e contenuti di qualità, spendibili all’interno di una didattica digitalmente potenziata dagli ampi margini di sviluppo” (p. 38). Più facile a dirsi che a farsi.

Come De Luna metteva in evidenza cinque anni fa, sebbene il problema del riconoscimento dell’affidabilità di un documento storico non sia affatto nuovo al dibattito storiografico, oggi la proliferazione e la riproducibilità di notizie fasulle, foto e video manipolati, o dichiarazioni mai pronunciate, è palesemente fuori controllo. Abbiamo assistito di recente alla produzione estemporanea di immagini del Pontefice generate dall’intelligenza artificiale, in situazioni e abbigliamento del tutto inventate. Diciamo che siamo di fronte a una Donazione di Costantino quotidiana e moltiplicata per mille, che in qualche modo disorienta i contemporanei e probabilmente confonderà i posteri. Nel suo saggio del 2018 De Luna insisteva sullo sforzo critico di storicizzare anche il falso, studiando le ragioni storiche per le quali un documento viene prodotto in modo manipolatorio in un determinato momento e con quali finalità. Ma anche qui si tratta di un’operazione nient’affatto facile, per il vero, da trasferire nella scolastica d’ogni giorno.

I curatori del volume introdotto da De Luna, a loro volta protagonisti di esperienze didattiche interessanti, insistono sulla necessità di un costante arricchimento dell’insegnamento della storia con esperienze di produzione storiografica più vicine ai linguaggi della contemporaneità, dimostrando buona lungimiranza e proponendo azioni innovative (come la produzione di graphic novel o videogiochi) con qualche anno di anticipo rispetto alla piena diffusione dei compiti di realtà nella scuola secondaria. E qui si apre un nuovo dilemma per gli insegnanti di storia rispetto alle nuove tecnologie digitali.

Al netto dei progetti, occorre una messa a fuoco di tutte le criticità implicite nella programmazione curricolare. Nel triennio del Liceo Scientifico, ad esempio, sono previste soltanto due ore settimanali da destinare allo studio della storia, in parte da far convergere in percorsi per l’educazione civica (da oggi anche finanziaria), e in parte dedicate a comunque valide iniziative studentesche o di istituto. Il vero tema è: cosa è prioritario nell’insegnamento della storia? Trasferire le competenze tipiche dello storico di professione? Far maturare capacità generative di prodotti culturali (magari digitalizzati) ad ambientazione storica? Oppure, banalmente, far maturare una capacità d’orientamento nel tempo e nello spazio della storia sapendo – anche approssimativamente – come si sono formate culture, civiltà e istituzioni sociali? L’ideale naturalmente sarebbe poter fare tutto e bene, ma non è quasi mai possibile, e allora gli elementi chiave di una didattica della storia devono essere messi a terra, e riordinati. Alcuni studenti che frequentano il quarto anno della secondaria superiore all’estero, in mobilità internazionale, tornano poi in Italia con un racconto degli insegnamenti storici ricevuti in altri Paesi che spesso, se va bene, sono limitati a stralci di storia nazionale (in molte scuole degli Stati Uniti, ad esempio) oppure fortemente intrecciati con tematiche afferenti alle scienze sociali. L’ideale della completezza (nello spazio e nel tempo) non è poi universalmente riconosciuto, e non è realmente perseguibile.

Tuttavia, con un po’ di buon senso, e rimanendo entro la nostra tradizione culturale, che pure va valorizzata, non si può prescindere da un “tappeto” conoscitivo definito da quadro cronologico chiaro – entro cui sapersi orientare – e a partire dal quale poter costruire analisi e approfondimenti. Il punto è che neanche la stesura e l’appropriazione di questa base di conoscenza condivisa è di facile realizzazione, e allora ben vengano le metodologie innovative per sollecitare un’attenzione diversa allo studio della storia. Un esempio importante può essere dato dal lavoro sulle immagini, nell’ottica del visual learning, che è didatticamente proficuo e interessante. Ma con la consapevolezza che si tratta per lo più di un cambio di linguaggio e di approccio, fondato sull’idea di scegliere driver motivazionali nuovi e in linea con gli scambi culturali dominanti nella società contemporanea. Non si deve e non si può smettere di storicizzare.

All’interno di tale tessitura, utilissimi possono essere anche episodi ed eventi didattici produttivi, come la predisposizione di compiti di realtà di impronta storiografica, per abituare gli studenti alla ricerca e alla produzione culturale, oltre che alla fruizione di ricostruzioni storiche testuali o multimediali. Sarà poi l’intelligenza del docente in fase di programmazione a capire in che modo combinare il tutto, in base al contesto e alle proprie attitudini.

Residua tuttavia il passaggio più ostico, quello relativo alla “bonifica” evocata da De Luna. Tendenzialmente direi di no: questa cosa non si può fare in modo serio, se non limitandosi a indicazioni di massima per discriminare siti web e archivi più o meno attendibili di altri, perché la discriminazione della notizia falsa dalla vera non può mai essere improvvisata dal singolo (fatte salve palesi e clamorose cialtronerie). Il critical thinking è una favola, se lo ancoriamo a un sistema culturale individualistico.

Il sistema accademico è un intellettuale collettivo: va ricondotta alla comunità scientifica la responsabilità di preservare la ricerca di qualità, e fornire alle scuole strumenti di lavoro fondati e redatti con la massima attenzione. Agli insegnanti il compito di trasmettere ai propri studenti la fiducia nella ricerca. Agli storici di professione – invece – l’onere di meritarsi quella fiducia, magari facendosi aiutare proprio dall’intelligenza artificiale, che potrebbe apprendere a sua volta a riconoscere tracce e intenzioni manipolatorie nei documenti diffusi in Rete, rivelandosi un buon assistente per lo storico di professione.

[1] V. Colombi, C. Greppi. E. Manera, G. Olmoti, R. Roda, I linguaggi della contemporaneità. Una didattica digitale, per la storia, Il Mulino, Bologna 2018.



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