Storicizzare sempre! A proposito di Fredric Jameson

In "Fredric Jameson" (Futura, Roma 2022), dedicata a uno dei più importanti teorici statunitensi della cultura, Marco Gatto restituisce le movenze fondamentali del pensiero di Fredric Jameson.

Mimmo Cangiano

Impreziosita da una prefazione dello stesso Jameson, la nuova monografia di Marco Gatto fornisce una dettagliata mappatura della traiettoria culturale del critico americano. Gatto, che aveva già  dedicato a Jameson il primo studio critico in lingua italiana (2008), sceglie qui la strada più difficile: fornire al lettore una visione complessiva della Jamesonian mind, sottolineando come l’ormai più che cinquantennale lavoro del docente della Duke University sia caratterizzato da una profonda coerenza interna, ancorata ai concetti fondanti della totalità e della sussunzione, vale a dire alla capacità, da un lato, di intendere la storia culturale sul piano del rapporto in divenire con la sfera materiale e con le modificazioni della percezione; dall’altro alla capacità del materialismo storico, a cui Jameson si è sempre mantenuto fedele, di far proprie le suggestioni e le metodologie che provenivano e provengono da altri sistemi di indagine, riportandole però alla loro natura (anche) di sintomo, cioè alla loro connessione dialettica col piano materiale.

Chiarito che Jameson rappresenta il punto d’arrivo (e in qualche modo il raccordo) delle tre principali linee del marxismo novecentesco (Lukács, i Francofortesi, Gramsci), il suo metodo dialettico viene giustamente colto nella tensione costante fra tre diversi livelli di analisi: quello critico-stilistico, quello pragmatico-economico, quello ermeneutico-filosofico. I tre livelli, sin dagli studi giovanili su Sartre e dal fondamentale volume Marxismo e forma (1971), caratterizzano quell’unificazione dei campi del sapere che, quando intesa in relazione dialettica con la sfera economico-materiale, si presenta come cartografia critica. Scopo di quest’ultima è evitare ogni rapporto “passivo” con la medesima sfera materiale, intendendo lo spazio della cultura quale possibile fonte di una contraddizione propulsiva (sintomo dunque, ma anche possibile superamento dialettico) che del piano materiale vuole appunto mostrare le antinomie, proprie della “società divisa”. I testi, i metodi, le filosofie, ecc., divengono così le sedimentazioni delle contraddizioni storico-materiali per come sono espresse in “ideologemi”, in una forma storico-ideologica che sta appunto al critico (“always historicize!”) rivelare. L’ermeneutica materialistica si fa così (in particolar modo all’altezza de L’inconscio politico, 1981) azione tesa a sottolineare la storicità tanto del materiale culturale quanto degli stessi sistemi di indagine (metodo jamesoniano incluso) volti, comparativamente, ad analizzarlo. La prospettiva di Jameson ci trascina in questo modo su un piano dove tanto l’elemento culturale (un testo letterario ad esempio) quanto il medesimo sistema di indagine sono messi in rapporto dialettico con la sfera delle relazioni materiali (modi di produzione, funzionamento del mercato, sistema delle relazioni sociali, dei rapporti di forza, ecc.). Queste caratterizzano non soltanto il momento storico di produzione del “testo”, ma anche il rapporto fra le caratteristiche (materiali e culturali) di quel momento storico e quelle che segnano il momento storico in cui il critico opera. Lo stesso concetto di totalità in qualche modo si raddoppia. Essa è sì lo spazio delle relazioni dialettiche fra materiale, culturale e ideologico che ha un “testo” al suo centro, ma è anche la totalità consequenziale degli accadimenti storici (ancora: materiali, culturali e ideologici) per come si correlano nella longue durée che intercorre fra il “testo” stesso, il suo critico e i sistemi di indagine che questi utilizza. La storia, dunque, non è semplicemente lo spazio dell’ermeneutica romantico-storicista, ma è il “blocco” che spiega un “testo”, spiegando al contempo (è il concetto jamesoniano di “metacommentario”) le ragioni materiali che presiedono alla sua analisi. Si tratta di ragioni iscritte nelle trasformazioni storico-sociali dal momento di produzione del “testo” stesso fino alle sue future letture, sempre in divenire.

È chiaro che in tale visione ogni analisi impressionistica viene rigettata in quanto vi è implicita la logica di un’autonomia dello spazio culturale. Ma, nuovamente, non si tratta di un rifiuto di tipo etico-formale, bensì di una riconduzione delle stesse analisi non-materialiste alle loro componenti ideologiche, “spiegandole” come manifestazioni di un modo particolare dell’operare del sistema materiale. Ogni metodo ha dunque una sorta di logica ideologica interna e compito del metacommentario è appunto quello (qui si innesta il principio della sussunzione) di comprendere sul piano sintomatico – cioè sul piano della relazione dialettica fra materiale e culturale – le stesse analisi anti-materialiste, contraddittorie perché al contempo distoniche e armoniche rispetto al funzionamento del piano materiale. Distoniche perché ne “tradiscono” appunto la materialità; armoniche perché ne occultano la dimensione, così proteggendola da possibili interventi della prassi, cioè di prospettive politiche tese a superare il piano della lotta ideologico-culturale. L’autonomia della cultura (che per Jameson si esprime anche nei tanti fenomeni dello specialismo metodologico e accademico) è infatti lo spazio privilegiato nel quale si esprimono i metodi di indagine anti-materialistici. Esso corrisponde a una precisa funzione dello stesso piano materiale per come sarà indagato da Jameson, in particolare al tempo del libro sul Postmodernismo (1991): presentare i rivolgimenti e le trasformazioni materiali come rivolgimenti e trasformazioni di tipo culturale. Questo presupposto permette a sua volta di presentare i fenomeni culturali (“testi” inclusi) come estranei al piano della totalità ideologico-materiale, al piano cioè dove la critica materialistica emerge riportando la cultura alla sua natura (anche) di sintomo e, come tale, alla sua natura di elemento relazionale interno a una realtà che, scrive Gatto, “diventa un tutto processuale”.

Si tratta dunque di interrogare le condizioni di esistenza dei fenomeni culturali, rendendo dialettica ogni ermeneutica e compiendo un’operazione di tipo genealogico che investa gli stessi piani delle analisi. E ciò, d’altro canto, corrisponde appunto alla riattivazione della componente storico-materiale che è il motore delle analisi stesse; motore che però, in accordo al modo di funzionamento della struttura, le stesse analisi vogliono occultare, in un processo che si accentua nel passaggio alla de-materializzazione della struttura capitalistica postmoderna.

Processo di materializzazione e processo di storicizzazione sono dunque per Jameson parte del medesimo movimento, finalizzato a far emergere la natura non-autonoma (e inserita nel lavoro della totalità, cioè del reale) di ogni prodotto culturale. Qui il materialismo storico si caratterizza come strumento di indagine privilegiato proprio nella sua capacità di riportare le altre analisi (e se stesso!) alla coscienza della propria natura storico-materiale, quella che gli permette di “riscrivere”, cioè di intendere, gli stessi sistemi di analisi che vi si oppongono. Il piano materiale e il piano storico diventano così la dimensione ineliminabile di ogni prodotto culturale, perché lo riportano (tanto mediante l’atto ermeneutico quanto mediante il metacommentario) alla propria relazione con la totalità material-percettiva. All’interno di ciò convergono poi, come nella tradizione marxista, i vari piani del farsi storico: la dimensione politica, la lotta di classe, la trasformazione dei modi di produzione. Per Jameson, d’altro canto, ognuno di questi piani corrisponde a precise concrezioni tematico-formali che spetta al critico rinvenire nel testo, facendone uno strumento sul piano della lotta per l’egemonia. Naturalmente, ciò deve accadere secondo il medesimo principio osservato in precedenza sul piano metodologico, legando le concrezioni ideologico-materiali operanti nel “testo” non a un singolo momento, ma alla più ampia totalità storica.



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