Suicidio assistito, Gallo: “Serve una legge per evitare discriminazioni”

Grazie alla sentenza Cappato questo diritto è riconosciuto ma per renderlo effettivo per tutti serve una buona legge, diversa da quella in discussione in parlamento.

Cinzia Sciuto

Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, da avvocata ha seguito diverse vicende giudiziarie legate alla battaglia dei malati per vedersi riconosciuto il diritto al suicidio assistito. Con lei facciamo il punto dell’attuale situazione in Italia in materia di fine vita.
Alla luce della sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato e dell’ordinanza del Tribunale di Ancona sulla vicenda di Federico Carboni, qual è l’attuale quadro normativo italiano sul fine vita?
La sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato ha consentito a Federico Carboni di vedere rispettata la propria libertà di scelta perché sulla base di quella sentenza, che ha immediato effetto di legge, Federico ha chiesto all’azienda sanitaria regionale, l’Asur Marche, di essere sottoposto alla verifica delle proprie condizioni. Poi però si è scontrato con i ritardi burocratici e con l’intenzione tutta politica di disapplicare la sentenza. Per questo siamo dovuti ricorrere al Tribunale di Ancona che è stato secco ingiungendo all’Asur, con l’ordinanza del giugno 2021, di effettuare tutto quello che era previsto dalla sentenza della Corte, cioè verificare le condizioni di salute del malato e le modalità con cui esercitare il proprio diritto di mettere fine alla propria vita. Quindi attualmente in Italia la sentenza Cappato garantisce al malato che si trovi in precise condizioni di veder rispettata la propria libertà di scelta.

Quali sono queste condizioni?
Il malato deve essere nella piena capacità di autodeterminarsi, deve avere una patologia irreversibile che produce una sofferenza che egli reputa insopportabile ed essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Tutte queste condizioni devono essere verificate dal Servizio Sanitario Nazionale. Federico Carboni le possedeva tutte, solo che l’Asur ha impiegato quasi due anni per poterlo accertare. In più il Servizio sanitario nazionale deve verificare le modalità con cui esercitare questo diritto, modalità che devono essere rispettose della dignità di quella persona, veloci e indolori.

Per cui possiamo dire con chiarezza che in Italia oggi il suicidio assistito è legale?
Assolutamente sì: in questo momento in Italia chi vuole il suicidio medicalmente assistito e si trova nelle condizioni stabilite dalla Corte costituzionale può ricorrervi legalmente. È importante sottolineare che quelle condizioni devono essere verificate dal Servizio sanitario nazionale, per cui in assenza di questa verifica, il reato di aiuto al suicidio sussiste ancora.

Allora perché abbiamo bisogno di una legge? La sentenza Cappato lascia forse un vuoto normativo?
No, la sentenza non lascia nessun vuoto normativo. La Corte costituzionale ha fatto quello che poteva, stabilendo un principio fondamentale e le condizioni per accedere a quel diritto. Non poteva però entrare nel merito delle tempistiche e delle modalità, per quello ci vuole una legge che stabilisca tempi vincolanti per il SSN nelle risposte alle persone malate, procedure e modalità certe.Il Sistema sanitario nazionale si deve fare carico di tutto quello che accade dopo che sono stati espressi i pareri. Attualmente, infatti, dopo aver espresso i pareri sulle condizioni e le modalità, il Servizio sanitario nazionale esce di scena e sono i malati che devono cercarsi un medico che prescriva loro il farmaco e l’eventuale strumentazione per la somministrazione. Una buona legge invece dovrebbe stabilire che sia tutto a carico del Servizio sanitario nazionale che deve fornire il farmaco, la strumentazione, il medico, indicare la struttura – se il malato vuole procedere in una struttura – oppure fornire l’assistenza necessaria se il malato vuole procedere in casa. Federico Carboni, dopo l’ultimo parere ricevuto a febbraio, ha dovuto farsi carico di tutti i passaggi successivi: dalla ricerca del medico disponibile ad assisterlo, al reperimento del  farmaco e del macchinario per l’auto-somministrazione. Con l’Associazione Luca Coscioni abbiamo fatto una raccolta fondi pubblica per aiutare Federico. Tempi certi e assistenza successiva ai pareri: questo è quello di cui oggi i malati hanno assoluta urgenza.

La proposta di legge attualmente in discussione in parlamento va nella direzione giusta?
Assolutamente no, quel disegno di legge è inadeguato e anzi dannoso.

Andiamo con ordine: inadeguato perché?
Perché non risolve i problemi sui tempi di risposta del SSN alla persona che chiede le verifiche ai sensi della sentenza Cappato. Anche se questa legge fosse stata in vigore, infatti, non avrebbe aiutato di un millimetro Federico Carboni, il cui problema principale è stata la insostenibile lentezza delle risposte dell’Asur, al punto che siamo stati costretti a ricorrere a un Tribunale che ingiungesse all’amministrazione pubblica un riscontro in tempi certi. Così come questa legge non avrebbe aiutato Fabio Ridolfi che, come Federico Carboni, aveva chiesto di essere sottoposto agli accertamenti previsti dalla sentenza Cappato. Fabio ha ottenuto l’ok sulle condizioni però l’Asur non aveva inviato il parere sulle modalità. Alla fine, Fabio non ce l’ha fatta più ad aspettare e ha scelto di ricorrere alla sedazione profonda, una scelta che inizialmente aveva escluso perché voleva evitare alla propria famiglia lo strazio di stare accanto a un corpo che muore lentamente. Ma poiché era allo stremo e temendo che sarebbero passati altri mesi per avere il parere sulla modalità, si è trovato costretto a compiere una scelta che non era la sua.

Diceva però che questo ddl è addirittura dannoso: perché?
Innanzitutto, perché aggiunge ulteriori requisiti oltre a quelli previsti dalla sentenza della Corte. Per esempio, mentre quest’ultima parla di “sofferenza fisica o psicologica”, il disegno di legge trasforma quella “o” in una “e”, prevedendo dunque che il malato debba trovarsi in una condizione di sofferenza sia fisica sia psicologica, il che significa aggiungere perizie e complicare le procedure. Per questa restrizione Federico Carboni avrebbe rischiato di non essere ammesso al suicidio assistito dal momento che, nell’ambito delle verifiche, i medici avevano constato l’assenza di stati depressivi o di psicopatologie. Inoltre, ci sono malati che hanno tutti i requisiti previsti dalla Consulta, ma non sono ancora sottoposti a trattamenti di sostegno vitale. Io ricorderò sempre il caso di Daniela, 37 anni, con un tumore al pancreas in stato talmente avanzato che i medici hanno ritenuto che non fosse nemmeno più opportuno operarla né sottoporla a chemioterapia. A lei è stata negata persino la verifica delle condizioni per il suicidio medicalmente assistito perché, paradossalmente proprio a causa delle sue condizioni estreme, non era sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. Daniela è morta nel giro di pochi mesi e non ha fatto neppure in tempo a comparire all’udienza in opposizione a quel diniego ricevuto. Aveva ricevuto luce verde per andare in Svizzera e accedere al sucidio assistito lì, ma doveva affrontare tutto da sola, senza la sua famiglia, per evitare che altre persone fossero perseguite per il reato di istigazione e aiuto al suicidio. Ha scelto poi di fare richiesta in Italia con la sua mamma e le sorelle vicine ma è morta in un modo che non avrebbe voluto e non è riuscita neppure a difendersi da quel diniego ricevuto dall’ASL di Roma.

Però quella di essere sottoposti a trattamenti di sostegno vitale è una delle condizioni previste anche dalla sentenza della Corte, no? 
Sì, e però il Comitato nazionale di bioetica si era già espresso su questo punto prima di quella sentenza, sottolineando nel parere di maggioranza (pag. 23) che il sostegno vitale deve essere considerato una condizione aggiuntiva solo eventuale, perché ritenerla necessaria creerebbe una discriminazione irragionevole e incostituzionale (ai sensi dell’art. 3 della Costituzione) fra quanti sono mantenuti in vita artificialmente e quanti, pur affetti da patologia anche gravissima e con forti sofferenze, non lo sono o non lo sono ancora. Si imporrebbe, inoltre, a questi ultimi di accettare un trattamento anche molto invasivo, come nutrizione e idratazione artificiali o ventilazione meccanica, al solo scopo di poter richiedere l’assistenza al suicidio, prospettando in questo modo un trattamento sanitario obbligatorio senza alcun motivo ragionevole.

Ci sono altre criticità in questo ddl?
La criticità in assoluto più grave è che questo ddl discrimina fra malati. Sia per la parte del sostegno vitale di cui abbiamo già parlato e sia perché secondo questa proposta di legge, un malato che ha tutte le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale ma è completamente immobile e non può dunque autosomministrarsi il farmaco, non può chiedere di porre fine alle proprie sofferenze in modo immediato e indolore. Questa è una discriminazione. E una legge buona legge le discriminazioni deve eliminarle non generarle. Il referendum per l’abrogazione parziale del reato di omicidio del consenziente mirava proprio a rimuovere questa discriminazione in vigore tramite il nostro Codice penale. Il referendum però non è stato ammesso dalla Consulta, perché la Corte ha anticipato in sede di ammissibilità un giudizio astratto di legittimità costituzionale della normativa non previsto dalla procedura costituzionale referendaria. Oggi un malato immobile, con patologia irreversibile, con sofferenze, ma capace di esprimere la sua volontà, che chiede di porre fine alle sue sofferenze non è libero di scegliere la morte assistita, perché l’intervento di un terzo che somministra il farmaco su richiesta del malato è eutanasia attiva e si configura il reato di “Omicidio del consenziente” art. 579 cp. Il legislatore deve rimuovere questa discriminazione.

Ma appunto, sosterebbero i suoi detrattori, così si passerebbe dal suicidio assistito all’eutanasia…
Questa distinzione fra suicidio assistito ed eutanasia è avvolta nell’ipocrisia. Dal punto di vista del malato che soffre si tratta solo di modalità diverse di ottenere lo stesso obiettivo. E a condizioni diverse corrispondono per forza modalità diverse: il malato che può autosomministrarsi il farmaco lo farà da solo, e con quello che non può cosa facciamo? Lo abbandoniamo alle sue sofferenze? Si dice: può ricorrere alla sospensione dei trattamenti vitali previa sedazione profonda prevista dalla legge 219/2017, quella sulle Disposizioni anticipate di trattamento. E cos’è questa se non una forma di eutanasia “dilazionata”? Quella legge è intervenuta a regolare una situazione per la quale si poteva essere accusati di omicidio del consenziente, come era accaduto a Mario Riccio, il medico che aiutò Piergiorgio Welby. Nei confronti di Riccio ci fu il non luogo a procedere perché l’autopsia confermò che Welby morì perché per il distacco dai macchinari che lo mantenevano in vita (e ricordo che il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari è stabilito dalla nostra Costituzione) e non a causa dei farmaci che il dottor Riccio gli somministrò per evitargli grandi sofferenze. Quella che praticò Riccio fu di fatto la sedazione profonda prevista dal 2018 dalla legge 219/2017. Quello che noi chiediamo con la campagna “eutanasia legale” è che venga riconosciuto a tutti i malati lo stesso diritto a una morte veloce e indolore, senza discriminazioni fra chi può autosomministrarsi un farmaco e chi no. Con una buona legge eviteremmo l’illegalità e l’emigrazione in altri Paesi, in solitudine, per affermare i propri diritti.

 

 



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