Diritto al suicidio assistito: il tribunale condanna l’Azienda Sanitaria delle Marche

Dopo il caso “Mario” una nuova decisione, legata questa volta ad Antonio: il Tribunale ordina all’ASUR Marche di verificare le condizioni del malato che abbia fatto richiesta di accedere all’aiuto al suicidio, come indicato dalla Corte Costituzionale.

Redazione

Il tribunale di Fermo ha ordinato all’Azienda sanitaria unica Marche di procedere alla verifica delle condizioni di Antonio, tetraplegico da otto anni, per stabilire se il suo stato di salute prevede l’accesso al suicidio assistito, così come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza sul caso di Dj Fabo nel 2019.

I medici devono stabilire la sussistenza delle quattro condizioni richieste dalla Corte costituzionale per poter accedere al suicidio assistito in Italia, vale a dire se Antonio è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili; se sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; se le modalità, la metodica e il farmaco prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile. Secondo l’ordinanza del tribunale di Fermo «diversamente opinando, si arriverebbe a una abrogazione tacita della pronuncia della Corte costituzionale e al mantenimento dello status quo ante rispetto alla pronuncia». Abrogazione, osserva l’Associazione Luca Coscioni, «che per legge non è possibile perché una sentenza della Corte costituzionale non può essere riformata o cancellata dal Parlamento o da un Tribunale ordinario».

La richiesta di Antonio era bloccata da 17 mesi, in attesa di una risposta da parte dell’Azienda sanitaria unica della sua regione.
Antonio aveva inviato la richiesta all’azienda sanitaria a settembre 2020, ricevendo un diniego privo di qualsiasi motivazione legata alle sue condizioni, che non sono mai state verificate dall’Asur Marche. Per questo, ad aprile 2021, l’uomo aveva diffidato prima l’azienda sanitaria, chiedendo che il suo diritto sancito dalla Corte costituzionale fosse rispettato, e poi, a ottobre 2021, il governo affinché questo attivasse tutti i suoi poteri per dare attuazione al diritto di accedere al suicidio medicalmente assistito nella legalità (la diffida inviata al Ministero della Salute e della Giustizia e per conoscenza al presidente del Consiglio dei ministri, invocava proprio l’articolo 120 della Costituzione, in forza del quale il governo può ripristinare la legalità attivando i cosiddetti poteri sostitutivi).



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