Sull’alluvione in Romagna: consumo di suolo e piene fluviali

Fatto salvo il principio che non si devono più impermeabilizzare i terreni agricoli, l’azione di gran lunga più decisiva è irrobustire gli argini e configurarli in forme che impediscano alle future piene fluviali, sempre più pericolose, di superarli e rovinarli.

Pancho Pardi

L’alluvione disastrosa in Romagna ha dato in rete nuovo slancio ad articoli che criticano la politica urbanistica della regione e la pratica crescente dell’incremento incontrollato nel consumo di suolo. È polemica più che fondata. L’Emilia e Romagna si è data una legge che stabilisce senza alcuna ambiguità il primato dell’urbanistica contrattata. Che vuol dire? La risposta completa la trovate, già da sei anni, nel libro a cura di Ilaria Agostini “Consumo di luogo”, Edizioni Pendragon 2017. Una risposta breve è questa: la regione rinuncia alla pianificazione territoriale di propria iniziativa e la ammette solo sulla base di una contrattazione preventiva tra l’ente pubblico e gli interessi privati. Si lascia al lettore la libertà di intuire su quali rapporti di forza si possa svolgere il confronto tra il pubblico in perenne scarsità di fondi e il privato ansioso di moltiplicare i suoi capitali.

Consumo di suolo: incontrollato dominio del cemento e dell’asfalto sui terreni agricoli così impermeabilizzati. Espansioni urbane periferiche, aree industriali, artigianali, commerciali, zone destinate ai servizi per la logistica su gomma, bretelle autostradali, superstrade, tangenziali, piazzali, rotonde estendono il dominio impermeabile. I terreni sigillati non assorbono acqua e aggravano gli effetti delle alluvioni. Le statistiche in merito riempiono volumi. Tutto verissimo. Ma aggravare non significa causare. Le alluvioni sono aggravate dal consumo di suolo ma sono causate dalle esondazioni fluviali.

In Romagna, ma non solo in Romagna, i fiumi attraversano la pianura in una condizione pensile. Possono arrivare al mare o al fiume principale solo se ingabbiati in argini più o meno alti. Se fluissero sul piano di campagna non giungerebbero a destinazione e allagherebbero la pianura. Di fatto tutte le nostre pianure sono, sotto il profilo idraulico, creature artificiali. Di più: raffinatissime e ammirevoli. Il reticolo dei corsi pensili, l’intreccio di canali e derivazioni, garantiscono in silenzio l’uso costante di ambienti altrimenti inospitali e impraticabili. Quando il tetto delle case di campagna è all’altezza dell’argine, se non più in basso, anche l’osservatore disattento può comprendere che qualsiasi lesione all’argine può avviare la piena fluviale a sommergere le case e sfogare irresistibilmente sulle piane.

Il dibattito sull’eccezionalità delle precipitazioni all’origine dell’alluvione romagnola è ormai superato. In realtà da molto tempo, ma ora almeno dall’ultima alluvione sappiamo benissimo che le piene fluviali sono in grado di superare gli argini o di rovinarli. Ne dobbiamo trarre la più elementare delle conseguenze: gli argini, tutti gli argini in posizione delicata, devono essere rinforzati nei loro fianchi (e quindi allargati) e innalzati nelle loro quote superiori. Se si pensa che tutti gli argini storici sono stati costruiti con le pale e le carrette, dovremmo vergognarci di non aver usato per tempo i mezzi tecnici potentissimi di cui godiamo oggi. Fatto salvo il principio che non si devono più impermeabilizzare i terreni agricoli, l’azione di gran lunga più decisiva è irrobustire gli argini e configurarli in forme che impediscano alle future piene fluviali, sempre più pericolose, di superarli e rovinarli. E il nuovo ordine idraulico dovrà essere attuato e rispettato con la massima severità.

 

Foto Flickr | Mario Fornasari



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