Sulle ragioni della crisi europea

Un saggio di Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo analizza la crisi economica nell’Eurozona come essenzialmente generata dalla finanza.

Guglielmo Forges Davanzati

Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo, L’ultimo metrò. L’Europa tra crisi economica e crisi sanitaria, Mimesis edizioni, Milano, 2022, €24,00.

Questo libro propone una interpretazione della crisi europea in larga misura nuova. Si tratta della tesi secondo la quale la crisi, nell’Eurozona, è essenzialmente generata dalla finanza, secondo un approccio che combina Marx (un’analisi di classe) e il Keynes del Trattato sulla moneta e degli scritti successivi alla Teoria generale (un’analisi macro-finanziaria). È una tesi molto diversa da quelle più diffuse in letteratura e nei circoli politici. Queste ultime, infatti, riconducono le crescenti difficoltà di crescita dei Paesi europei e finanche il rischio di implosione dell’Unione, infatti, o all’eccessivo debito pubblico (linea interpretativa fatta propria dai liberisti, a fondamento delle misure di austerità degli scorsi anni) oppure a squilibri commerciali crescenti nei Paesi europei (linea interpretativa comunemente accettata in ambito postkeynesiano e a sinistra). Bellofiore e Garibaldo, in modo del tutto condivisibile, chiariscono che sono evidenti “i limiti interpretativi [di] uno schema di ragionamento macroeconomico per ‘isole’ e inter-nazionale” (p.14) e sottolineano che “non furono gli squilibri commerciali dell’eurozona a generare quelli finanziari, fu semmai il contrario” (id.).

Larga parte del libro è dedicata a mostrare che la crisi sanitaria è endogena e strutturale: deriva, cioè, dalla nuova configurazione del rapporto capitale-natura ed è destinata a durare e a riprodursi. Gli autori sollecitano, a riguardo, una riformulazione del modello di sviluppo – basato su un’analisi di classe e macro-finanziaria – legata a un’“economia della produzione sociale” (p.18), ovvero alla guida politica del come, cosa, quanto, per chi produrre (p.226): in altri termini, un “intervento diretto sulle strutture produttive” (p.15).

Assolutamente convincente è la loro lettura dei danni che procurerebbe l’Italexit, sia per quanto attiene alla svalutazione della nuova moneta sostitutiva dell’euro – e dunque all’inflazione importata – sia per quanto attiene all’inefficacia della svalutazione per la crescita (pp.41 ss.). Chi, anche a sinistra, sostiene la necessità del ritorno alla lira (anche nella variante dell’euro nord/sud) argomenta, infatti, che (i) l’abbandono dell’euro è una fondamentale precondizione per attivare crescita economica in Italia, attraverso soprattutto il canale delle esportazioni e anche attraverso la funzione di prestatore di ultima istanza che svolgerebbe Banca d’Italia, ma riconosce che (ii) il ritorno alla lira può generare o amplificare effetti inflattivi. L’Italexit – si può però obiettare – rischia di non produrre il primo effetto e di generare solo il secondo effetto, ovvero solo inflazione. Ciò a ragione del fatto che, come mostrato dagli autori di questo libro, la svalutazione del tasso di cambio, soprattutto nel caso italiano, non solo non traina le esportazioni (ma genera inflazione importata) ma soprattutto accentua i divari interni, fra aree del Paese con imprese residenti dotate di diversa propensione alle esportazioni.

Chi scrive manifesta due punti di dissenso rispetto alla linea argomentativa presentata in questo libro:

a) La crisi europea è un portato di quella statunitense e quest’ultima origina nel mercato del lavoro, non nella finanza. L’aumento del debito privato, infatti, origina dalla massiccia riduzione della quota dei salari sul Pil in quel Paese, associato alla pressoché completa deregolamentazione del settore bancario e, dunque, all’esplosione dei mutui sub-prime. La crescita delle insolvenze, seguita alla diffusione del credito al consumo, determina, a seguire, il rallentamento delle transazioni interbancarie (si vedano infatti le forti oscillazioni del tasso Euribor in quella fase), la conseguente restrizione del credito e la caduta della domanda aggregata. La crisi europea, logicamente e cronologicamente, segue la crisi USA: il crollo di consumi e investimenti oltreoceano riduce le esportazioni, in un’area, quella europea, votata al neomercantilismo. Segue la riduzione del tasso di crescita nell’eurozona e l’aumento del debito pubblico/Pil. È vero quanto scrivono gli autori, e cioè che non ci si può aspettare da un aumento dei salari un incremento dell’incidenza della produzione industriale, ma è anche vero (su scala globale e per l’Italia) che (i) un aumento dei salari tende a ridurre l’esposizione finanziaria delle famiglie più povere, rendendo meno instabile il sistema e (ii) non solo tiene alta la domanda, ma funziona anche come shock sulla produttività: lavoratori con bassi salari – per dirla con Francesco Saverio Nitti – hanno “il cuore in sciopero” ed è dunque basso il loro rendimento, e, soprattutto, per dirla con J.M. Keynes (La questione degli alti salari¸1930), salari elevati spingono i datori di lavoro a innovare, con conseguente aumento della produttività[1]. In tal senso, una politica di alti salari garantisce maggiore efficienza sul piano macroeconomico – sia sul versante della domanda, sia per la dinamica dell’offerta aggregata – e si associa a minore instabilità.

b) Non vi è nessuna ragione per sostenere che la crisi sanitaria è destinata a durare. Bellofiore e Garibaldo sostengono che “pandemie come quella del Coronavirus saranno sempre meno distanziate nel tempo” (p.16). Si tratta non solo di un argomento che rinvia a conoscenze specialistiche di virologi (e che, dunque, a rigore, esula dal campo d’indagine degli autori), ma si tratta anche di una tesi che, ricorrente nel libro, non aggiunge nulla alle argomentazioni presentate.

Questo libro merita attenzione. Contiene almeno due sezioni di massimo interesse. Quella sulla distinzione fra debito “buono” e “cattivo”, che riprende un’originale intuizione del defunto Alain Parguez, e quella sull’industria europea. Gli autori propongono, a riguardo, lo studio delle matrici intersettoriali, segnalando la forte disomogeneità del rapporto manifattura/Pil fra i Paesi europei, con l’Italia posizionata su valori in linea con quelli medi dell’eurozona (pp.173 ss.). Di estremo interesse è, infine, la sezione dedicata alla teoria economica di Mario Draghi, che ripropone un articolo di Bellofiore del 2012, introdotta con il suggestivo titolo “Lezioni di marxismo dalla BCE”.

Il libro ‘L’ultimo metrò’ di Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo sarà presentato il prossimo 18 novembre 2022, alle ore 17.00, nell’ambito di un evento organizzato dalla Rete Italiana Post-Keynesiana (IPKN). Oltre agli autori, interverranno ANNAMARIA SIMONAZZI, FRANCESCO SARACENO e ANNA MARIA VARIATO. La discussione sarà animata da CLARA CAPELLI.
L’incontro si terrà online e sarà trasmesso in diretta sulla pagina Facebook IPKN – Italian Post-Keynesian Network (Log in or sign up to view)

[1] Alcune recenti analisi riferite all’ipotesi di introduzione del salario minimo italiano (da fissare a 9 euro all’ora) stimano un impatto di circa 5 miliardi di euro di maggiori consumi e mostrano come, stando ad altre esperienze (per esempio, quella tedesca recente), si abbia un impatto positivo sul tasso di crescita della produttività del lavoro (e, contro i suoi oppositori, nessun effetto apprezzabile di contrazione dell’occupazione).

(credit foto Xavier Häpe, CC BY 2.0, via Wikimedia commons)



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