Sull’immigrazione, “la svolta del Pd va verso i diritti sociali”. Intervista a Pierfrancesco Majorino

Il 3 ottobre 2013 un naufragio con centinaia di morti di fronte a Lampedusa inaugurava una stagione emergenziale di risposta alle migrazioni che dura ormai da 10 anni e non si può più definire tale. MicroMega intervista alcune personalità della politica progressista e di sinistra per raccogliere le loro visioni e idee. Dopo Aboubakar Soumahoro, abbiamo parlato con Pierfrancesco Majorino, responsabile Diritto alla casa e immigrazione nella segreteria guidata da Elly Schlein.

Federica D'Alessio

Majorino, il Partito democratico ha presentato nei giorni scorsi un suo documento sull’immigrazione il cui cardine fondamentale è favorire la possibilità di arrivi legali e sicuri in Europa. Un documento che sembra stridere con il senso del “piano immigrazione” presentato a Lampedusa da Ursula von der Leyen insieme con Giorgia Meloni, particolarmente con il loro “decidiamo noi” chi è legale e chi è illegale, che è suonato come sinistro e minaccioso. Che prospettive ci sono affinché l’Europa stessa dia una sterzata rispetto alla sua politica securitaria e di “Fortezza” degli ultimi anni? Lo stesso Pd, d’altra parte, sta modificando in modo significativo la sua posizione rispetto alla stretta securitaria che fu della gestione Minniti/Gentiloni. Sulla base di quale riflessione?

Parliamoci chiaro la destra sull’immigrazione ha fallito in modo clamoroso, e ha prodotto un cortocircuito tra le bugie pronunciate per anni, la semplificazione rozza e colpevole del “è colpa della sinistra o delle Ong” e lo spettacolo di questi mesi . Mesi nei quali abbiamo contato i morti nel Mediterraneo, la guerra al soccorso in mare e l’aumento degli arrivi irregolari. In questo contesto, in questa cornice politica e culturale, affrontiamo il tema immigrazione. Tema per il quale servirebbero pacatezza, cooperazione dentro e fuori le nazioni, e un’Europa maggiormente solidale. Invece siamo di fronte a oscene sparate, di cui l’ultima solo in ordine di tempo è quella sulla cauzione da versare per non finire in un Cpr, che autorizzano a pensare male: la destra lucra sull’immigrazione non governata, non gestita e sull’allarme sociale che ciò determina. Ma questo calcolo, evidentissimo quando la destra è all’opposizione, quando è al governo produce l’effetto delle politiche di queste settimane politiche che vivono su di un’oscillazione: rimuovere il tema o cavalcarlo con quelle azioni civilmente orribili e giuridicamente dubbie riguardanti, ad esempio, il potenziamento dei  CPR.

A guardare le immagini da Lampedusa in questi ultimi giorni, ciò che si vede e ciò che non si vede, si direbbe che tutto sommato la propaganda xenofoba ha fallito. Le persone continuano ad accogliere con spirito di comune umanità e non si fanno guidare dall’odio. Salvano le vite, aprono le case, condividono. Dopo un intero decennio vissuto sotto il diretto stress di un sistema di non-accoglienza, è significativo rendersi conto che un certo sentimento d’odio non ha attecchito fra le persone. Qual è la sua e vostra posizione in merito al tema della “paura degli immigrati”? E perché secondo lei lo stesso centrosinistra ha assecondato questa paura negli ultimi 15 anni? Ricordiamo fra i vari passaggi, per esempio, l’infausta campagna elettorale di Walter Veltroni nel 2008, tutta incentrata sul valore della sicurezza.

La destra in tutto il mondo ha puntato negli anni ha cavalcare la dimensione delle paure, dell’insicurezza. Questo anche in Italia.
Credo che non governare il fenomeno migratorio, far credere che l’invasione sia alle porte, la alimenti. Ci sono più cose da fare di fronte a un contesto simile: da una parte certamente affrontare il tema anche in termini culturali, senza guardare dall’alto in basso chi ha legittimamente paura verso le diversità: questo vuol dire operare un enorme investimento, ad esempio sulla scuola. Ma poi bisogna far saltare il connubio tra chi è razzista e chi è impaurito sul piano economico e sociale. E questo lo si fa solo facendo delle cose giuste: la lotta per i salari dignitosi per tutti, quella per il diritto alla casa. Molti italiani hanno dato alla presenza degli stranieri la spiegazione del  “come” e “perché“ fossero deboli economicamente e socialmente. È proprio il giochino della destra sovranista, un delitto perfetto che si fonda su di una colossale bugia. Il centrosinistra può essere stato incerto, anzi sicuramente è avvenuto in passato, ma non ha assecondato la paura. Semmai ha fornito una risposta senza un messaggio forte di sicurezza, innanzitutto sociale, a quella parte di paese che ha tutte le ragioni a volersi vedere maggiormente tutelato. Per questo battaglie sacrosante come quelle sul salario minimo o la sanità pubblica che sono ovviamente sacrosante in sé possono produrre anche un effetto che renda più chiaro il discorso complessivo sui diritti sociali. Si tratta infatti di un nuovo posizionamento su cui insistere con decisione. La campagna elettorale di Veltroni del 2008 è una delle migliori cose che abbiamo fatto in questi anni. Lo pensavo allora e non cambio idea, anzi, forse ci si dimentica in ché situazione si era.  Ma al di là di questo il tema della sicurezza urbana, anche in termini di presidio ed efficacia dell’azione repressiva è essenziale. Lo dico da chi ha fatto per 8 anni l’assessore ai servizi sociali, ideando marce per l’accoglienza e gestendo con altri le scelte che Milano ha realizzato tra il 2013 e il 2016, scelte che hanno portato ad accogliere 125 mila persone: ecco quella della sicurezza è una battaglia da fare, non da smentire. Il tema è che semmai essa non produce nessun effetto di coesione se non incrocia la questione sociale, la lotta alle diseguaglianze, aspetti su cui le diverse forze di centrosinistra in passato sono state certamente troppo troppo deboli.

In uno dei punti del vostro progetto sull’immigrazione proponete di “Rilanciare una grande strategia europea che rafforzi le politiche riguardanti la cooperazione internazionale e il sostegno allo sviluppo. In altre parole, si deve ripartire dal tema dell’Africa, dell’investimento su progetti e politiche che consentano di fornire un’alternativa vera alle migrazioni: in questo quadro diventa essenziale anche il coinvolgimento delle Nazioni Unite, nonché il dialogo paritario con i Paesi del continente africano.” Qui probabilmente c’è uno dei nodi più complessi e delicati del quadro generale. Quando nel corso dei decenni si è parlato di “cooperazione internazionale e sostegno allo sviluppo” da parte europea lo si è fatto con un approccio di tipo spesso paternalista che vedeva l’Africa come un continente bisognoso e passivo, più che come una fucina di energie in sommovimento dalle quali c’è molto da imparare. Questo atteggiamento con i suoi retaggi coloniali, visibili a volte anche nel tipo di presenza europea nel continente africano – Ong, associazioni, volontariato di ispirazione religiosa e spesso paternalista come forse di presenza dal basso, e di converso grandi realtà estrattive espressione del capitalismo più brutale dall’alto – non ha certamente favorito la possibilità di costruire reali forme di partnership democratica. Da cosa secondo lei bisognerebbe ripartire in questo senso, da quali esperienze e da quali coordinate teoriche? E in che modo questo terreno si intreccia ai grandi e violenti sommovimenti geopolitici, e di competizione fra le grandi potenze, in atto in quest’epoca?

Le nostre proposte, i nostri sette punti, muovono dalla necessità di investire come mai prima, su canali d’ingresso legali e sicuri, sull’idea di Europa solidale al suo interno e su scelte precise: a livello nazionale la cancellazione della legge Bossi-Fini che determina ineluttabilità dell’ingresso irregolare, (con quel meccanismo odioso che fa sì che chi non ha un contratto di lavoro in tasca è irregolare), un grande piano definito con i sindaci per l’accoglienza diffusa e di qualità contro la logica delle grandi concentrazioni in strutture disumanizzanti e un piano nazionale per l’integrazione con corsi di lingua, corsi di formazione, percorsi di inserimento nel mercato del lavoro: tutto ciò che è indispensabile e di cui non si parla mai. A livello europeo, poi, riteniamo che si debbano recuperare due grandi battaglie: la riforma dei trattati di Dublino che attribuiscono al Paesi d’ingresso una enorme responsabilità e l’obbligo alla redistribuzione dell’accoglienza, sin qui osteggiata in Europa dagli amici di Giorgia Meloni.

Infine come lei sottolinea, c’è un altro enorme tema: l’Africa. Abbiamo bisogno di un grande piano per l’Africa studiato con quei segmenti di società civile e di leadership politiche presenti in Africa che a livello internazionale vanno riconosciuti e salvaguardati molto di più come interlocutori. Da tempo penso che la Commissione Europea, straordinariamente innovativa e solidale sulla crisi climatica o la bomba sociale della pandemia, sull’immigrazione sia assolutamente impacciata e contraddittoria. Per quel che riguarda il PD siamo assolutamente uniti su questi punti. Le valutazioni diverse del passato non costituiscono e non costituiranno un elemento di conflittualità tra noi. Del resto sulla Libia c’è stato un voto compatto per evitare il rifinanziamento.

L’Europa fa moltissimo in termini di cooperazione e sviluppo, è il primo contributore al mondo. Tuttavia non riesce ancora a cambiare paradigma, non riesce a investire pienamente sulle leadership africane. Oggi, ancora più di prima – anche a seguito dell’attivismo della Cina, o della pericolosa azione russa, per non parlare dell’effetto enorme della crisi climatica – serve un’Europa forte che fa della politica di cooperazione un elemento strategico, davvero una sfida globale. Le risorse e gli strumenti non mancano, spesso manca la capacità di presentarsi come un soggetto unitario, prevalgono anche in Africa, sul fronte dell’impegno europeo i rivoli degli impegni nazionali. Si deve fare crescere il continente africano, non compatirlo.

E ciò è ancora più rilevante quando si conoscono fasi di instabilità geopolitica come queste, fasi particolarmente acute proprio in Africa. Il Parlamento europeo, dove ho fatto per un lasso di tempo il vicepresidente della Commissione Sviluppo ha prodotto sollecitazioni e indicazioni importanti. Ma finché l’Europa sarà l’ibrido istituzionale di oggi i singoli Stati nazionali potranno ignorarli in modo disinvolto e magari ricadere nell’antico paternalismo.

L’accoglienza di natura emergenziale che ha prevalso in questi ultimi dieci anni ha dato vita a una rete di strutture e iniziative che è stata sicuramente anche un business. In questi anni abbiamo visto come siano stati tanti gli scandali che hanno riguardato una gestione affaristica e una tendenza al malaffare, dal quale non è stato affatto esente il terzo settore o il mondo del cosiddetto “privato sociale”, che ha spesso messo in secondo piano la dignità delle persone. Che iniziative sono necessarie per affrontare la questione del malaffare nella gestione dell’accoglienza? Che problemi strutturali esistono e come si possono superare? Il deputato Aboubakar Soumahoro – investito nei mesi scorsi da uno scandalo, più d’immagine che giudiziario in effetti, proprio su questo terreno che gli è valso la fuoriuscita dal gruppo parlamentare –  ha dichiarato di aver presentato una proposta di legge per l’apertura di una Commissione d’inchiesta sulla gestione dell’accoglienza. È necessaria, utile secondo lei? Che genere di sistema dell’accoglienza serve implementare, e non è forse più responsabile che anche questo ramo della  cosa pubblica torni a essere sotto gestione diretta dello Stato invece che appaltato al sistema delle cooperative?

Sull’accoglienza si deve cambiare radicalmente, non so giudicare la proposta della Commissione d’inchiesta, l’importante è che non divenga un grande teatrino, ma al di là di quell’ipotesi, il sistema è da cambiare totalmente. L’accoglienza diffusa e di qualità è la strada. Il terzo settore, che oggi peraltro si sta spesso ribellando alle scelte del governo decidendo di non partecipare ai bandi aperti, va ingaggiato ma le regole devono essere molto chiare e fondate su capacità di integrazione e trasparenza. In questo quadro si deve tornare alla filosofia SPRAR oggi SAI. Pensare che il CARA di Mineo di anni fa sono dei modelli negativi, degli spot costanti a  favore della lotta all’accoglienza. E questo richiede anche progetti specifici per i vulnerabili : i minori, le donne. Lo Stato deve riassumere nuova centralità? Certo che sì. Innanzitutto non nascondendo la verità: l’accoglienza è necessaria. Va organizzata, richiede presidio costante. E si devono evitare i ghetti dei migranti accolti. Ciò che si determina quando non si propone nulla a persone che vengono qui per costruirsi un presente e un futuro diverso e che non puoi lasciare dentro strutture spoglie a non impiegare il proprio tempo, magari confidando che finisca il periodo dell’accoglienza per poi ritrovarsele come nuovi senzatetto. Del resto coi flussi, o meglio con questa voglia di mettersi in viaggio, avremo a che fare molto a lungo e oggi lo Stato non è assolutamente preparato. Nelle prossime settimane presenteremo in questa direzione alcune proposte molto precise. La dignità della persona viene salvaguardata se i progetti d’accoglienza e integrazione sono personalizzati e di qualità. Se l’accoglienza diventa un sistema di bassa qualità – come spesso è accaduto – si produce alienazione, spreco di denaro pubblico e si alimenta la narrazione tossica che produce muri e barriere.

Le altre interviste: leggi qui le domande ad Aboubakar Soumahoro.

CREDITI FOTO: ANSA/MOURAD BALTI TOUATI



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