Suonerie/12: l’altro Parker, strana Baïa e il totem Glass. Con un post-scriptum su una poco misteriosa scomparsa

In questa puntata: “Migration of Silence Into ad Out of the Tone World” di William Parker, i Jacuzzi Jaguar e “Satyagraha”, “Songs From Liquid Days”, “Glassworks” di Philipp Glass.

Daniele Barbieri I Giovanni Carbone I Mauro Antonio Miglieruolo

«Credere nell’incredibile» (e suonarlo) – di Daniele Barbieri

Quasi impossibile anche per chi non frequenta il jazz ignorare Charlie “Bird” Parker: incrociato magari nelle pagine di Kerouac e Cortazar o nel film di Clint Eastwood. In una pur breve vita la sua musica volò altissima. Nel mio Pantheon ci sono altri con lo stesso cognome: amo Ken Parker a esempio, del fumetto omonimo, però nella sua vita virtuale lui suona occasionalmente e male. Chi invece svetta altissimo in una lunga vita (quasi 71 anni) è il contrabbassista, compositore e leader statunitense William Parker. Uno dei grandi vecchi del jazz dunque? Solo per l’anagrafe: è giovane nel cercare e sperimentare quanto arzillo nel suonare (l’ho ascoltato a Forlì, in luglio). A volte si dice di un musicista che predilige il trio o l’orchestra ma lui nuota in tutte le formule: dagli assolo alla moltitudine, transitando fra avanguardie estreme e il cantabile. Lo si può verificare nel cofanetto «Migration of Silence Into ad Out of the Tone World – The Music of William Parker» con 91 tracce per 594 minuti: musica creata fra novembre 2018 e febbraio 2020 per questo cofanetto (10 volumi) che ospita un doppio libretto (quello classico, ricco di dati e fotografie, più 24 pagine di poesie). Il nostro William è in compagnia di splendide voci e strumentiste femminili con intorno quasi ogni strumento possibile: violino, tromba, donso ngoni, oboe, tuba, flauto navajo, armonica, sax e spesso la batteria del “fido” Hamid Drake. Il cofanetto è targato Aum (per i buddisti questo è il primo suono del mondo) come il singolo «Painters Winter», pure uscito da poco. È possibile che dopo avere ascoltato WP vi innamoriate di lui; a questo punto andate in biblioteca o in libreria per mettere le vostre zampacce sul prezioso «William Parker: conversazioni sul jazz» (Auditorium edizioni, 2010) di Marcello Lorrai. E capirete meglio perchè questo Parker può tranquillamente affermare (pagina 30) che bisogna «credere nell’incredibile» e in quel che non si vede … come l’invisibile musica. Un mistico oltrechè un jazzista carismatico? Sì ma attenzione è lo stesso che ha scritto: «il lavoro dell’artista è incitare alla rivoluzione. La rivoluzione è un processo che dura tutta la vita. E’ la vita che da dentro deve uscire fuori. Noi alimentiamo il fuoco; lo alimentiamo con l’arte, la poesia, con la musica. Viviamo, respiriamo. Pensiamo al ritmo di questa visione». Un groviglio geniale carico di gioia per chi lo ascolterà.

Relax e caccia grossa in uno – di Giovanni Carbone

Flessibile come una Jacuzzi, rilassante come un giaguaro? Il singolo «Baïa» vedrà la luce il 3 febbraio; l’album completo, che porta lo stesso nome della band, sarà disponibile sia fisicamente che in formato digitale il 24 febbraio 2023. Prima uscita per l’etichetta svizzera Escudero Records, Il nome della band è Jacuzzi Jaguar: perfetto, apparentemente un ossimoro, ma che coglie due aspetti fondamentali del sound del gruppo, ovvero il comfort rassicurante dell’idromassaggio con gli improvvisi cambi melodici, carichi d’energia, di una belva cacciatrice. Suoni grintosi, moderni, atmosfere notturne, musica da ballare o semplicemente da ascoltare, con improvvise aperture melodiche che sorprendono, elettronica e tecno pop non senza qualche ammiccamento – quasi citazioni, potremmo dire – a certe atmosfere anni ’80, Cure e Depeche Mode, fra gli altri. Su un tappeto sonoro ordito da arrangiamenti estremamente efficaci e senza fronzoli, sostenuto dalla ritmica e dalle macchine elettroniche di Lucas De Preux, si inseriscono i veri e propri fendenti delle chitarre, i reef improvvisi di Florentin Joris e la voce evocativa di Stefan Robert Clay. Tra pezzi saturi di energia ed elettronica si ascoltano anche ballate sofisticate come «Dreams» e «Diamonds», o pezzi cangianti come «Silences Of Desire», vagamente grunge nella sua versione man, più morbida e suadente in quella al femminile, impreziosita dalla magnifica voce di Rani Bruggmann. La formazione è giovane, nata solo nel 2021, ma ha spalle coperte dall’esperienza di animatore culturale di Stefan Robert Clay, autore e arrangiatore dei dodici brani del disco per il quale suona pure buona parte degli strumenti.   Il CD è stato mixato al Damp Studio, Neuchâtel e masterizzato allo Sterling Studio di New York. Alla realizzazione della presentazione ufficiale (il 25 febbraio 2023, alle Caves du Manoir de Martigny) ha collaborato la stage coach parigina Juliette Solal. A quel punto la band inizierà un lungo tour europeo. Magari riusciamo a beccarli in giro, ci sono pure le premesse perché se ne senta parlare.

Che strano: il contemporaneo piacevole – di Mauro Antonio Miglieruolo

Disponibili anche in Italia, in vinile, alcune composizioni di Philipp Glass, autore che prediligo – con Enia, Orff, Perosi, Sibelius – fra quelli che hanno operato nel ‘900. I tre dischi: «Satyagraha»; «Songs From Liquid Days» e «Glassworks». Ecco link dove è possibile reperire altre esecuzioni delle tre opere (nell’ordine):

https://www.youtube.com/watch?v=o_6StvrbuJA&list=PLxWZiLAl9qFhkdPwtbg99NNdYZN_hRjad&index=1

https://www.youtube.com/watch?v=zH04t8QQNVc&list=OLAK5uy_l2xPiSTMmcTAzbUbSume1mEmjMKoRf5xo

https://www.youtube.com/watch?v=6Stu7h7Qup8&t=17s

Conosco e apprezzo Glass, dagli ormai lontani anni 90 ma ci torno oggi, stimolato da queste edizioni. Riportano alla mia mente gli entusiasmi del primo ascolto di alcune sue opere, regalatemi da Mauro Pelosi, con gli estratti della prima «Trilogia teatrale» composta da Glass. Iniziando con il famoso e inaudito «Einstein in the Beach» (del 1976, composto con l’ausilio di Robert Wilson) e con le complementari del trittico, «Satyagraha» (1980) e «Akhnaten» (1983), composizione vocale cantata in accadico, ebraico biblico e antico egizio.

Una rivelazione. Uno scandalo, anzi. Inverosimile che un autore contemporaneo vada incontro all’ascoltatore, mantenendosi gradevole nonostante la novità. Cercai nei negozi altre sue opere. Scontro immediato con i commessi. Ai quali feci l’errore di chiedere gli scaffali della “classica”, dove Glass non c’è. Fui dirottato a una sezione nella quale i “minimalisti” erano accoppiati non ricordo più bene se con New Age,  Celtica o Pop.  Alzai gli occhi al cielo e arraffai quel che trovai di Glass.

Figlio di immigrati ebrei provenienti dalla Lituania,  nato a Baltimora il 31 gennaio 1937.  È considerato tra i capifila del minimalismo musicale con Steve Reich, La Monte Young, Terry Riley e John Adams. Lui ha preferito prendere le distanze dal termine, mantenendo la forma iterativa e intensificando le contaminazioni con forme espressive extraeuropee. Lo aveva fatto all’inizio della carriera lavorando con Ravi Shankar, virtuoso del sitar e compositore.

Col tempo la sua musica diventa più complessa. «Twelve Parts» (1971-1974) ad esempio – composizione all’inizio concepita in 12 parti – è sviluppata in una serie ciclica che dovrebbe riassumere l’opera di Glass, ma in effetti la trascende. L’autore arriva ad affidare al soprano una parte dodecafonica.

Fra le sue opere trovano spazio privilegiato le composizioni sceniche, quelle strumentali (concerti, sinfonie ecc.) e le colonne sonore di film. Di particolare interesse la serie realizzata tra il 1983 e il 2003, che ha dato luogo alla «Trilogia Qatsi», fondata sulle profezie degli indiani Hopi.

POST SCRIPTUM (CON AUTO DA FE’): DOVE IL TRIO DI “SUONERIE” CONFESSA DI AVER PERDUTO UNA PUNTATA … MA REGALA UN PO’ DI LINK

Chi è appassionato, ai limiti del fanatismo, di jazz avrà letto il recente «Miles Davis: il quintetto perduto e altre rivoluzioni» dove Bob Gluck racconta in 300 pagine anche di un bel quintetto, attivo fra il 1968 e il 1970, che però non registrò mai e persino i nastri “pirata” erano di pessima qualità: per cui non restano registrazioni di quel gruppo davisiano. Molto più in piccolo, questo è accaduto al nostro piccolo trio micromegante. Volevamo chiudere il 1922 con una puntata speciale: qualche piccola riflessione – non solo musicale – sull’anno e poi una selezione di brani “festivi” o presunti tali.

È andata… a casino. Uno ha scritto poco, l’altro ha scritto troppo, il terzo si è preso una “natalite” (la malattia breve ma tosta che induce alcune persone a fissare i festoni per due settimane pensando il nulla). Alla fine, impugnando l’accetta abbiamo salvato qualcosa di leggibile – tracce musicali, corredate di poche parole – e ve le doniamo, magari tornano buone fra 11 mesi circa.

Il primo link-jingle è «L’inno degli italiani interpretato da Tosca» (https://www.youtube.com/watch?v=LwSEdt2nRoA). Momento intimo e nostalgico, quasi una ninna nanna, con una intonazione di dolore per gli oltraggi che subiamo.

Secondo link: «Da Oriente a Occidente (Le corde di Aries)» che trovate qui:

https://www.youtube.com/watch?v=yXCHDVYVaCA&list=OLAK5uy_n-IUcrxAE40Py-XKw68fB3_a5hLsBojFY&index=4  . Fusione perfetta di musica colta e da intrattenimento.

Terzo link: Carlo Orff, «Carmina Burana». Brano iniziale: «O Fortuna!»

https://www.youtube.com/watch?v=GXFSK0ogeg4 Il titolo dice tutto.

Quarto link: Claudio Monteverdi, «Orfeo, Favola in musica» su https://www.youtube.com/watch?v=yxBT1pfVAKQ . Per accedere al sogno, alla profondità dei sentimenti. Forse anche noi perderemo; ma tenteremo.

Quinto link: Lorenzo Perosi, il coro finale del «Natale del Redentore», gli ultimi minuti, specialmente. https://www.youtube.com/watch?v=jJUBDTlRKLA&list=PLyXQ5fgvFaXRgt_31qhzT-BF8a7Eb5iG-&index=13 . Un “Redentore” per il musicista ma per le persone laiche la magia della nascita di ogni bambino.

Sesto link: Uccio Bandello, «Stornelli» (https://www.youtube.com/watch?v=BvVy-XsgZg0). Ecco un cantante popolare, che vale un reuccio (e leone) della canzone come Claudio Villa ma invece è sconosciuto ai più.

Settimo link: Boccherini, finale di «Musica notturna delle strade di Madrid»

https://www.youtube.com/watch?v=_XbPB7onUC0&list=RD_XbPB7onUC0 cioè leggerezza, folklore, eccellenza, allegria.

Ottavo link: Bach, «Aria sulla quarta corda» https://www.youtube.com/watch?v=sRI43aPhzFI . Tenerezza e introiezione. Brano conosciutissimo ma la cui intensità continua a sorprendere.

Il nono link è la bellissima poesia laica di Jeff Buckley: https://youtu.be/e4ohxpv5CQs . Ovvero «cadi nella luce, non avere vergogna di quello che sei».

Il decimo è saggiamente irriverente: https://youtu.be/XLIJFF-Yww4 ovvero «Non sopporto il capodanno» degli Skiantos.

E basta.

Il trio delle “suonerie” decise così o meglio continuò a perdersi per un mese… Niente jazz nell’elenco? Non pensate che il Miles Davis citato all’inizio da solo valga un paio di mondi?

DB-GC-MAM

(*) Una imprescindibile quanto impossibile occasione per far risuonare le note attraverso le parole. Sognando e tentando di attraversare la musica in tutte le sue variegate manifestazioni. Daniele Barbieri, Giovanni Carbone e Mauro Antonio Miglieruolo nel gran mare delle proposte sonore pescheranno spigole (cioè spigolature) mensili adatte a fornire un’idea di quel che si muove ed è subito fruibile da coloro che alle musiche si volgono per migliorare la qualità della vita. Il trio suggerisce solo dopo che quei suoni hanno acceso una qualche luce fra orecchie, cuore e mente.

 

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