Suonerie/13: Il contrappazzo, il lato oscuro e l’inglese che si fece italiano

In questa puntata: Charles Mingus, Pink Floyd e John Cooper, anzi, Coprario.

Daniele Barbieri I Giovanni Carbone I Mauro Antonio Miglieruolo

Mingus: il genio e la rivolta – di Daniele Barbieri

«Un jazz diverso, assorbito direttamente e non imparato a scuola o dai dischi»; tutto nel suo «poderoso abbraccio di orso»: Charles Mingus «non suona mai imitativo o derivativo». L’ottima sintesi di un gigante – contrabbassista, compositore e leader – è nelle parole di Ted Gioia (il suo «Storia del jazz» è riedito da Edt in edizione aggiornata).

L’anno scorso si è parlato molto di Mingus per il centenario della nascita. E vale guardare «Mingus» di Flavio Massarutto con i disegni di Squaz cioè Pasquale Todisco e leggere la nuova edizione dell’autobiografia del musicista «Peggio di un bastardo» da BigSur: di entrambi ho scritto su Micromega.

Ovviamente per conoscerlo e amarlo davvero bisogna ascoltare la sua musica. È uscito un inedito interessante: «Mingus: the Lost Album from Ronnie Scott’s» (Resonance, con 3 cd) dove il vecchio leone esce da un difficile periodo di salute e trova nuovi compagni di avventura; eppure graffia come ai bei tempi.

Relativamente facile recuperare i suoi classici da «Pithecanthropus erectus» a «The Black Saint and the Sinner Lady». Più difficile invece era trovare, sino a poco tempo fa, «Charles Mingus presents Charles Mingus» con l’edizione non censurata di «Original Faubus Fables» che ridicolizza in pochi scambi di battute, il governatore razzista dell’Arkansas, mentre la musica si scatena. Orval Faubus tentò in ogni modo di ostacolare la fine della segregazione nelle scuole (finalmente sancita dalla Corte Suprema) arrivando a schierare la guardia nazionale alla Central High School per impedire l’accesso a 9 ragazzi afroamericani.

Quell’amato da molti e contestato (dai discografi) «Charles Mingus presents Charles Mingus» girò grazie a un’etichetta, la Candid, messa su nel 1960 da due squattrinati amici del contrabbassista. Durò 6 mesi e pubblicò una trentina di dischi, quasi tutti splendidi perché metteva i musicisti nelle condizioni migliori per incidere: Booker Little, Cecil Taylor, Abbey Lincoln, la reunion fra Pee Wee Russell e Coleman Hawkins, Eric Dolphy e soprattutto il «We insiste: Freedom Now Suite» di Max Roach che divenne una specie di inno: per la musica e il grido straziante di Abbey Lincoln, per il titolo e per la foto in copertina che rimanda alla protesta di 4 studenti afro-americani a Greensboro dove rimasero seduti al bancone di un bar (tornavano ogni giorno) senza essere serviti perché quello era un locale “per soli bianchi”.

Molti di quegli ottimi album vengono adesso rieditati, con Mingus in testa. Un personaggio unico musicalmente e che umanamente passava dal miele alla rabbia. Il contrappasso che ricordiamo da Dante e il contrabbasso, magnifico strumento anche solista, per Mingus possono unificarsi in una parola nuova: il contrappazzo…dove la follia è quella di Erasmo, un «elogio».

 

La luce nera della Luna – di Giovanni Carbone

Cinquant’anni fa vedeva la luce «The Dark Side of the Moon», il 1° marzo del 1973 negli Stati Uniti, per la Capitol Records, qualche giorno dopo la Harvest Records lo pubblicava nel Regno Unito. Ottavo album in studio dei Pink Floyd, indimenticabile già a partire dallo spettro prismatico della copertina, disegno di Storm Thorgerson, di Hipgnosis e di George Hardie. Le 50 milioni di copie, la sua inarrivabile longevità nelle classifiche degli album più venduti, non sono sufficienti a descriverne la dirompente portata. La sua pubblicazione, anticipata di qualche mese da una prima presentazione al Rainbow Theatre di Londra, fu una vera tempesta: non era un album di ottime canzoni pop, nemmeno si inseriva nel contesto delle lunghe suite prog, era semplicemente nuovo, sorprendente, spiazzante e si sarebbe rivelato senza tempo. Per l’atteso mezzo secolo dell’album, la band inglese di David Gilmour, orfana ormai da tempo di Roger Waters, ha già annunciato una versione rimasterizzata dell’originale, con vinile, CD, Blu-Ray e DVD audio. Il 24 marzo è atteso anche un libro celebrativo, curato dalla fotografa Jill Furmanovsky, dal titolo «Pink Floyd – The Dark Side Of The Moon: 50th Anniversary». Nel volume foto inedite e rari scatti che documentano i tour della band tra il 1972 e il 1975.

L’album rappresenta una cesura anche con la produzione precedente della band, che qui riduce le lunghe parti esclusivamente strumentali che avevano caratterizzato, ad esempio, il precedente «Meedle», per far spazio ai testi di Roger Waters. Danno vita, dunque, a un concept incentrato sui “lati oscuri” e irrazionali della personalità umana. Fra improvvise aperture strumentali i testi raccontano di conflitti interiori, dei rapporti deviati col denaro, col tempo, indugiano su follia e alienazione. Pare di sentire chiari e forti i riferimenti ai crolli psichici di Syd Barrett, membro fondatore, leader e compositore della band sino al 1968.

Nel disco originale, registrato negli storici Abbey Road Studios di Londra, la band, affiancata dal tecnico del suono Alan Parsons (sua l’idea del mitico ticchettio degli orologi nel brano d’apertura del disco, «Time») usò le tecniche più avanzate dell’epoca, inclusi multitraccia, nastri magnetici in loop, parlati che riprendevano ed esaltavano i temi dell’album, rumori ambientali. Due i singoli estratti, «Money» e «Us and Them». Mentre il secondo lato dell’album è composto da brani che pare abbiano anche la forza di esprimersi da soli (i singoli sono presi da lì) il lato A non mostra soluzione di continuità: è un crescendo emozionale che culmina con la gigantesca «The Great Gig in the Sky», impreziosita dalla splendida e leggendaria performance vocale, tra le più famose di sempre, di Clare Torry.

In attesa delle nuove rimasterizzazioni, val la pena perdersi nell’ascolto della piccola anticipazione di Brain Damage.

 

John Cooper… “coprario” per carismadi Mauro Antonio Miglieruolo

Un caso nella storia della letteratura musicale italiana. Non l’unico. Probabilmente l’unico di cui sappia.

Il prestigio degli artisti italiani nel 17esimo secolo in Europa era tale che John Cooper, compositore inglese, decise di italianizzare il proprio cognome mutandolo in Coprario. Attribuendosi un pizzico del carisma (e timore) che ispirava ogni nome italiano.

John Cooper, alias Giovanni Coperario (nato forse nel 1570 e morto nel 1626), fu compositore e virtuoso di viola.  Non un musicista eccelso (ve ne sono pochi nella tradizione inglese) ma abbastanza gradevole da arrivare con alcune sue composizioni fino a noi. Tra queste quella presentata nel cd: «Fantasia Udite, lagrimosi spirti»; etichetta La Gioia Armonica. Esegue il Pluto-Ensemble diretto da Marnix de Cat; con l’ausilio degli strumenti dell’Hathor Consort, diretto da Romina Lischka.

Il CD che presento tuttavia non è dedicato esclusivamente all’autore inglese (che qualcuno suppone invece sia un italiano che abbia voluto inglesizzare il cognome, assumendo quello di Cooper; a quale fine non è dato capire). Contiene alcune composizioni di altri autori con i quali si intende confrontare Coprario. Per esempio Orazio Vecchi, Luca Marenzio, Claudio Monteverdi ed altri. Lo scopo che ha mosso i compilatori dell’album è stabilire se deve essere incluso nella categoria degli imitatori, o si tratta di un abile parodista che si è voluto divertire. Come per altro si deduce dal titolo del supporto audio: «John Coprario, parrot or ingenious parodist?».

Personalmente, ascoltando il brano non sono riuscito a stabilirlo. La questione non mi appassiona. Utile invece prendere in considerazione questo autore “minore”, parte di un periodo particolarmente fortunato della musica mondiale. Per estendere la propria conoscenza e migliorare la propria sensibilità. Ma anche per seguire i percorsi che hanno portato a Bach, Haendel, Haydn, Mozart, Beethoven.

È indubbio comunque il valore dell’artista, che personalmente apprezzo nelle composizioni strumentali. In favore della quale mi sento di citare «La Fantasia à 4» (Viola Consort).

Nonché il brano intitolato ugualmente «Fantasia», ma per organico più ridotto eseguita dal Vivid Consort

Consiglio, infine, la “fantasia a 2” eseguita dal duo Esha Neogy e Din Ghani . Buon ascolto.

(*) Una imprescindibile quanto impossibile occasione per far risuonare le note attraverso le parole. Sognando e tentando di attraversare la musica in tutte le sue variegate manifestazioni. Daniele Barbieri, Giovanni Carbone e Mauro Antonio Miglieruolo nel gran mare delle proposte sonore pescheranno spigole (cioè spigolature) mensili adatte a fornire un’idea di quel che si muove ed è subito fruibile da coloro che alle musiche si volgono per migliorare la qualità della vita. Il trio suggerisce solo dopo che quei suoni hanno acceso una qualche luce fra orecchie, cuore e mente.

A RISENTIRSI FRA UN MESE… CIRCA

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