Suonerie/27: Infiniti spazi tra le montagne, il ritorno di Amy, Pierluigi da Palestrina

In questa puntata di Suonerie: “Old Main Chapel”, “Back To Black: Songs from”, "Le sacralità trascendenti di Pierluigi da Palestrina”.

Daniele Barbieri I Giovanni Carbone I Mauro Antonio Miglieruolo

Suonerie: ascolti suggeriti da Daniele Barbieri, Giovanni Carbone e Mauro Antonio Miglieruolo.  (*)
Infiniti spazi tra le montagne, Old Main Chapel, in ricordo di Ron Miles di Giovanni Carbone
Ron Miles muore per una rara malattia del sangue nel marzo del 2022 a 58 anni. Nasce il 9 maggio del 1963 a Indianapolis ma si trasferisce presto a Denver con la famiglia. In questa città si forma musicalmente e ne emerge come uno dei trombettisti più originali almeno degli ultimi trent’anni. Vi dirige pure il programma di studi sul jazz presso la Metropolitan State University. Le sue sono collaborazioni importanti con Ginger Baker, Bill Frisell, Myra Melford, Nate Wooley, Mary Halvorson, Jason Moran, Brian Blade, Joshua Redman, la Duke Ellington Orchestra, e tanti altri. Compositore ed educatore molto apprezzato, gli appartiene uno stile innovativo, moderno, estremamente fluido ma anche limpido, a tratti delicatamente soffuso. Ha un tono caldo, rotondo, tende a un jazz armonicamente sfumato. Ama frasi elaborate dal punto di vista emotivo, senza eccedere praticamente mai in raffiche di note eccessivamente serrate. Nella sua musica anche una spiritualità profonda e la passione per i diritti civili, roba che si esprime compiutamente in un paio di lavori essenziali della sua discografia come I Am a Man del 2017 e Rainbow Sign del 2020.
Negli ultimi anni si era legato alla Blue Note, ed è proprio questa etichetta che lo ricorda con la pubblicazione di Old Main Chapel, magnifico live del 2011 in cui Miles suona con il chitarrista Bill Frisell e il batterista Brian Blade. Tre grandi performer per un disco che viene fuori il giorno dopo la sua nascita. Il concerto è registrato a Boulder, in Colorado, appena prima che il trio entrasse in sala di registrazione per il suo album di debutto, Quiver. Nelle sette tracce dell’album c’è quella sensazione d’un viaggio polveroso tra le montagne. Atmosfere che a tratti si fanno evanescenti, sorprendono per aperture d’orizzonti infiniti, esplorazioni intime. I tre paiono raccordarsi su questo in ogni passaggio, non cedono alla tentazione di strafare, mantengono fede a quella ricerca di cui Ron Miles è prezioso custode. Ci sono venature nostalgiche che immaginano spazi aperti e vertiginosi, prospettive ampie e solitarie. Dei sette pezzi sei sono composizioni dello stesso Ron Miles, cinque finiscono nell’album Quiver, prodotto da Hans Wendl, le note di copertina riportano il ricordo di Ron Miles della figlia Justice Miles, di Bill Frisell, Brian Blade, del presidente Blue Note Don Was, del pianista Jason Moran. Proprio Moran ricorda quel concerto: “La band è salita sul palco per esplorare le canzoni. Ogni pezzo si fa strada attraverso la band, si diffonde tra il pubblico. Nessuno in quel posto sapeva come sarebbe iniziata o finita la musica. In quell’aria imprevedibile, la fiducia di Ron ha saturato tutti mentre guidava quegli angeli orgogliosi attraverso il suo intricato mondo melodico”. Aggiunge Brian Blade “Ripenso al passato, sorrido e sgomento di gioia per quanto fosse raro Ron in questo mondo, Ron aveva un taglio profondo, eppure così accessibile, ogni nota contava e comunicava grazia, misericordia, fuoco e passione e tutte le cose che amavamo di lui”.

Il ritorno di Amy, Back To Black: Songs from di Giovanni Carbone
In Aprile è arrivato nelle sale italiane Back to Black, il film diretto da Sam Taylor-Johnson e scritto da Matt Greenhalgh che racconta i primi anni della vita della cantautrice britannica Amy Winehouse, che nella pellicola è interpretata da Marisa Abela. Tra gli altri, nel cast ci sono Jack O’Connell, Eddie Marsan, Juliet Cowan e l’attrice candidata al Golden Globe e all’Oscar Lesley Manville. È la narrazione dell’ascesa di una star della musica, di un fenomeno autentico che nella sua brevissima e travagliata esistenza ha venduto oltre trenta milioni di dischi lasciando un segno indelebile di sé. Oltre alla musica pezzi privati della vita della giovanissima cantautrice, la traumatica separazione dei genitori, il rapporto con l’amatissima nonna Cynthia, i disturbi alimentari, le dipendenze da alcol e droghe, il rapporto complicato con Blake Fielder-Civil. È il ritratto di una donna di estrema fragilità, ma dallo spessore artistico tale da riscrivere un pezzo di storia della musica. E come ogni film ha la sua colonna sonora, in questo caso preziosissima, uscita il 17 maggio con il titolo di Back To Black: Songs from (Universal). Riproponendo la vicenda personale e musicale d’un genio autentico e tormentato come Amy Winehouse è difficile sbagliare. Il disco, da questo punto di vista, è perfetto. 12 brani in tutto, su diversi supporti (vinile nero da 140 g, vinile color pesca in edizione limitata, doppio vinile, CD singolo e doppio CD) con tre registrazioni originali che riportano all’album di debutto di Amy, Frank, altri tre dal capolavoro Back To Black, record di Grammy, una nuova traccia, Song for Amy, cantata da Nick Cave.
E poi cinque pezzi che riconducono la musica di Amy ai grandi che ne sono stati fonte d’ispirazione e imprescindibili punti di riferimento: The Shangri-Las, Billie Holiday, Minnie Riperton, Dinah Washington e Sarah Vaughan. La musica di Amy suonerà diversa da quella del film, lì è la stessa attrice protagonista Marisa Abela che canta.
Ce n’è anche una versione estesa con cose che si aggiungono alle precedenti di Thelonious Monk, The Specials, Little Anthony and the Imperials, Holiday, Donny Hathaway, The Libertines, Tony Bennett, Riperton, Willie Nelson. Amy Winehouse continua a cantare, insieme a lei quelli che hanno fatto straordinaria la sua storia, la sua voce, le sue parole: “Quelle come me sono destinate ad avere l’anima perpetuamente in tempesta”.

Le sacralità trascendenti di Pierluigi da Palestrina di Mauro Antonio Miglieruolo
È del marzo 2024 l’ultima edizione della Missa Papae Marcelli, il capolavoro di Giovanni Pierluigi da Palestrina per la liturgia pasquale, eseguita dall’Ensemble Odhecaton, diretto da Paolo Da Col. Edizione originale dell’ARCANA.
La messa è reperibile su youtube ai seguenti indirizzi: The Tallis Scholars, direttore Peter Phillips e di Dresdner Kammerchor.
Che dire di Palestrina, autore che amo, ma sul quale non ho mai trovato agganci giusti per definirlo? Si tratta di un compositore troppo lontano dalla mia esperienza musicale, dalla sensibilità materialista della quale mi sono nutrito, per riuscire a fornirlo di una precisa fisionomia. Di lui non saprei dire altro che si impone attraverso la profondità dell’ispirazione e la sapienza musicale.
Nei confronti di Palestrina, più che per altri, sconto l’impedenza delle mia carenze musicali. Per cui dico per necessità di dire, per celebrare uno dei più validi compositori italiani. Dico in quanto convinto che sulla materia artistica, come sulla filosofia, ogni uomo è autorizzato a parlare. A dire la sua. Ogni uomo è filosofo, come ogni uomo è poeta e musicista.
Ma sebbene non abbia avuto imbarazzo nel commentare Perosi, sul quale ho speso volentieri diverse paginette, nonché qualche parole su autori amati e poco conosciuti come Monteverdi o Frescobaldi; al cospetto di Palestrina invece esito. Forse perché la sua frequentazione non è stata assidua come quella su Perosi, con il quale trascorrevo interi pomeriggi della ormai antidiluviana mia gioventù. Soffermandomi di preferenza sugli emozionanti Natale del Redentore, Il Giudizio Universale o il Mosé, che bisognerebbe affrontare per credere a quanto affermo. Su Palestrina invece, a parte il fascino prodotto dalle note, solo ammirazione e ammirato rispetto. Nessun incanto.
Forse perché valutavo in partenza la difficoltà di scalare i significati insiti in quelle sue note. La difficoltà, ipotizzo, che a volte induce i più a trarsi d’impaccio ricorrendo al vuoto di frasi tipo “genio” o “valore assoluto”. Chiedo preventivamente venia se cadrò anche io in questo significativo maelstrom del linguaggio. Perché nonostante tutto non rinuncio ad argomentare per salvarmi dalle mie impotenze.
Per altro Palestrina è un irrinunciabile. Tentare di arrivare alla sua musica, programmaticamente non ludica, val bene il possibile inciampo di farlo rivoltare nella tomba. Il fascino che produce questa messa ed altre sue messe, dovrà pure essere originato da qualcosa di cui l’orecchio coglie spontaneamente il valore!
Inizio proprio dalla Messa che ha ispirato l’avvio di questa breve recensione, la Missa Papae Marcelli (avevo scritto Pacelli…), considerata la più valida. La vorrei riascoltare insieme al lettore. Sperando di non rimanere solo nell’esame, un esame al quale non ritengo d’essere preparato. Mi preparerò dunque affrontandolo.
Anzitutto il sorprendente piglio sinfonico, effetto della combinazione delle sole voci. Il rifiuto sistematico di ricorrere agli artifici tecnici, i suoni senza senso che dovrebbero legare tra loro i vari brani, luoghi comuni musicali che fungono da sostituti provvisori dell’ispirazione. A cui fanno ricorso spesso anche grandi autori.
Tutto è musica in Papae Marcelli. Direi anche: tutto è preghiera. Ma non è uno sguardo rivolto verso l’alto quello di Palestrina, uno sguardo canonico. L’obiettivo è l’uomo, l’ascoltatore, con il quale stabilire un legame, servendosi del mezzo privilegiato che offre la forma musicale. Ben poco è rintracciabile nella cultura umana per stabilire tra le persone un legame altrettanto efficace delle note. Esiste la lotta contro lo sfruttatore, la sofferenza, il lavoro in comune, le nozze delle anime, il festeggiare insieme e, ritengo, niente altro.
Palestrina celebra la chiesa, celebra il dettato di Giovanni Crisostomo, portato a un livello difficile da uguagliare. All’interno di un contesto formale rigoroso che è esso stesso armonia. Con note che spingono alla pace, alla riflessione, alla ricerca interiore. Ritengo sia rintracciabile in lui l’ambiguità che ha contraddistinto per millenni il cristianesimo; nel quale istanze reazionarie e buoni propositi, non riescono a soffocare le prospettive emancipatrici che il dettato evangelico contiene.
In quest’ottica mi sento autorizzato ad affermare che Giovanni Pierluigi da Palestrina (Palestrina, 1525 – Roma, 2 febbraio 1594) compositore e organista, sia uno dei più notevoli rappresentanti del Rinascimento europeo. E che se ne possa raccomandare l’ascolto.
Composizioni: 104 messe, 100 mottetti, 35 Magnificat, 11 litanie, lamentazioni, madrigali, offertori, inni ecc. Non si finisce mai!
(*)Suonerie è una imprescindibile quanto impossibile occasione per far risuonare le note attraverso le parole. Sognando e tentando di attraversare la musica in tutte le sue variegate manifestazioni. Daniele Barbieri, Giovanni Carbone e Mauro Antonio Miglieruolo nel gran mare delle proposte sonore pescheranno spigole (cioè spigolature) mensili adatte a fornire un’idea di quel che si muove ed è subito fruibile da coloro che alle musiche si volgono per migliorare la qualità della vita. Il trio suggerisce solo dopo che quei suoni hanno acceso una qualche luce fra orecchie, cuore e mente.
A RISENTIRSI FRA UN MESE… CIRCA
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