Suonerie / 6: Afrojazz, sorelle irlandesi e l’aereo vivente

In questa puntata: “In the Spirit of Ntu” di Nduduzo Makhathini / “I’m Feeling The Love” di The Woodgies / “Vivo” di Andrea Laszlo De Simone

Daniele Barbieri I Giovanni Carbone I Mauro Antonio Miglieruolo

Una imprescindibile quanto impossibile occasione per far risuonare le note attraverso le parole, sognando e tentando di attraversare la musica in tutte le sue variegate manifestazioni. Daniele Barbieri, Giovanni Carbone e Mauro Antonio Miglieruolo nel gran mare delle proposte sonore pescheranno spigole (cioè spigolature) mensili adatte a fornire un’idea di quel che si muove ed è subito fruibile da coloro che alle musiche si volgono per migliorare la qualità della vita. Il trio suggerisce solo dopo che quei suoni hanno acceso una qualche luce fra orecchie, cuore e mente.

In viaggio con Ntu
di Daniele Barbieri

«Ntu»…? È l’Essere «fondamentale», dio se volete, che include 4 categorie molto diverse da quelle delle religioni monoteiste: l’Essere che ha l’intelligenza; l’Essere senza intelligenza (dunque la natura); i diversi modi di vivere la spiritualità; il collocarsi nello spazio e nel tempo. Così nel “lontano” 1967 il grande africanista Basil Davidson parlava del suo incontro con Ntu: la spiritualità di un continente – o meglio di una sua parte – che cercava di uscire dall’oppressione coloniale mettendosi anche in cerca degli “antenati” e delle radici recise.

«In the Spirit of Ntu», uscito a maggio, è il bellissimo album del quarantenne pianista sudafricano Nduduzo Makhathini, primo titolo della Blue Note Africa, la casa discografica – ed era ora – promossa dalla storica Blue Note e da Universal Music Group Africa per gli artisti jazz del continente o per meglio dire della sua parte subsahariana. Nel cd trovate poesie e bei testi ma anche disegni senza tempo e affascinanti pittogrammi.

Chi ama il jazz sa dell’antico e continuamente rinnovato legame con l’Africa: prima la musica “jungle” di Duke Ellington, poi gli scritti di Amira Baraka, i viaggi di Art Blakey (già nel 1947), di John Coltrane (ma il suo fu un pellegrinaggio solo spirituale), di Sun Ra e di molti altri. Pochi invece conoscono le splendide musiche nata dalla lunga immersione nell’intreccio “african-american” di due grandi compositori come John Carter e Randy Weston. Intanto nella direzione opposta viaggiava la diaspora sudafricana in fuga dall’orrendo apartheid: in testa la grande – ma “poco jazzista” – Miriam Makeba, il trombettista Hugh Masekela e il pianista Dollar Brand che poi prese il nome di Abdullah Ibrahim. Chi volesse saperne di più recuperi i due eccellenti libri di Luigi Onori sui legami tra la musica afroamericana e le tante Afriche.

È un ottimo album questo decimo del pianista e compositore – ma anche guaritore, si dice – Makhathini, il quale a luglio ha suonato in Italia ma io purtroppo non c’ero e gli strani rumori che sentite adesso… sì, sono io che mi sto ancora mangiando le mani per la rabbia. Perché viva i cd ma i grandi jazzisti bisogna, ogni volta che si può, ascoltarli dal vivo.

Ci si può divertire a scegliere quali delle 10 tracce (tutte del pianista tranne una) nell’album sono più afro o jazz ma quel che importa è – come sempre – se la musica invade piedi, cuore e testa. E qui succede sempre. Ad accompagnare Makhathini alcuni giovani musicisti sudafricani tra cui la sassofonista Linda Sikhakhane, e lo statunitense Jaleel Shaw (al sax anche lui) che spicca il volo con un lungo assolo nel quinto brano. Buon viaggio e che lo spirito di Ntu sia con voi.

Giovani donne, grande musica
di Giovanni Carbone

Esce il 5 agosto «I’m Feeling The Love», l’ultimo singolo de The Woodgies cioè Hannah Leah e Meghan, due sorelle poco più che ventenni di origine irlandese, ormai trapiantate stabilmente in Svizzera. Il singolo precede di qualche mese il secondo album del duo, atteso per la fine dell’anno.

Le due ragazze, vincitrici del concorso Swiss Rising Talent al Montreux Jazz Festival, hanno esordito con l’album «Holding Hands» (Escudero Records) nell’ottobre scorso.

Forse non si attendevano, appena esordienti e col singolo che avrebbe dato il titolo all’album, pubblicato su Youtube di riuscire a catturare così rapidamente l’attenzione di pubblico e addetti ai lavori, tanto da essere immediatamente scritturate dall’etichetta svizzera Escudero Records. Il brano è stato trasmesso centinaia di volte da svariate emittenti radiofoniche, se ne è parlato in molteplici articoli su riviste e quotidiani, ha strappato oltre 80.000 stream su Spotify. Le sorelle iniziano a esibirsi in concerti, per le strade, nei locali, nei pub di Svizzera, Francia, Irlanda e recentemente hanno raggiunto pure le sponde più meridionali d’Europa, terra di Sicilia. Eppure, tutto normale, verrebbe da dire, al semplice ascolto delle melodie soffuse, delle liriche ricche di sguardi di speranza delle due giovani donne. La musica di The Woodgies ammalia, cattura, coinvolge. Apparentemente le atmosfere morbide, talora persino ovattate, trasognate, i tempi che si dilatano all’ascolto, i suoni acustici e le voci incantevoli delle due sorelle, paiono riportarci a un approccio classico, quasi ortodosso, con le esperienze armoniche della musica nordica, delle arie celtiche. Ma c’è un’apertura altra, profonda, tra le note, che s’apre al mondo, che costruisce percorsi di ricerca timbrica ed espressiva mai scontati. I brani si arricchiscono di fresche coloriture, paiono acquerelli impressionisti appesi al filo d’un pentagramma. I giri armonici, ancorché si riferiscano continuamente a una precisa tradizione sonora, hanno un effetto magnetico che va oltre lo spazio del concepimento, le voci si inseguono, dialogano con gli strumenti, a tratti paiono intrecciarsi in un unicum vitale, in cui il tempo diventa variabile irrilevante, il passato non è solo un presente invecchiato, diventa futuro. E invitano ad altri ascolti, ci si rende conto del fascino magnetico delle inconfondibili e personalissime voci delle due sorelle poiché è atto istintuale reiterarne la scoperta. Il viaggio cui invitano non è mai esausto, si riproduce quale necessità di riscoperta, se ne comprende l’abilità catartica di trasmettere serenità, pace. «I’m Feeling The Love» non delude le aspettative, si muove sulla stessa linea d’onda stilistica, aggiunge un tassello di maturazione che rafforza il sound irrinunciabile di Hannah Leah e Meghan. Attendiamo il loro prossimo album, con la piena consapevolezza che sentiremo parlare ancora e molto di loro.

LINK: http://www.escudero-records.com/ / https://thewoodgies.com/

Colpo d’ala per De Simone
di Mauro Antonio Miglieruolo

Scrivo stimolato da un evento profano: la campagna pubblicitaria di ITA Arwais. Che per valorizzare il rientro fra i vettori aerei presenta un brano tratto da una composizione di Andrea Laszlo De Simone: «Vivo». Eccolo:

L’esame onora le aspettative che l’ascolto tv del brano suscita. Fascino, profondità, invito al sogno. Parole e musica fusi alla ricerca del medesimo spessore. Non è un dato banale. Spesso la musica si colloca in una dimensione che le parole non riescono a raggiungere. Anzi, spesso ostacolano.

Si tratta di un colpo d’ala che proietta verso l’alto De Simone. Il primo suo. Dall’esplorazione delle altre opere non ho trovato approdi compiuti con capacità di commuovere e stimolare la fantasia verso luoghi che solo l’immaginazione può raggiungere e ben descrivere. Ho trovato però segni di una analoga propensione ad andare oltre, a utilizzare la nostalgia e il sentimento per avvincere. La forza della tradizione (le necessità del mestiere?) lo aggiogano a stilemi collaudati, dai quali non si svincola per aprire nuovi territori all’esplorazione musicale (non ancora). Dove invece con «Vivo» siamo oltre le soglie della magia musicale.

Ecco il testo:

Vivo
Ma non ho scelta né un motivo
Il mondo è un tipo irrazionale
Fa come vuole
Non dà alcuna spiegazione
Vi conviene
Cogliere il tempo che rimane
Prima che smetta di bruciare
Dentro al tuo cuore
Anche il più piccolo ideale
Che sta tremando di dolore/lo so bene
La vita è lunga e pure stretta
Ma la mente è una buona sarta che cuce in fretta
Il tempo di una sigaretta
Che fa bene a chi ha la Luna maledetta
E dalla vita non si aspetta che sia perfetta
Si gode quello che gli spetta
Perché si muore troppo in fretta
Tu sai che ti conviene
Fingere di non sapere
Che il mondo è verticale e va giù
Insieme alla tua tempra morale
Che teme di invecchiare e di dimenticare
Come si cambia in fretta.

Per giustificare la scelta e per sfatare i giudizi sulla distinzione fra ciò che distingue la musica d’intrattenimento da quella “alta” (detta anche impropriamente classica) è bene precisare che decisivo è l’utilizzo di un determinato linguaggio tendenzialmente meno incline alle semplificazioni sonore nella musica classica; che è essenzialmente la forma specifica data a un contenuto, a determinati valori e concezioni del mondo. La cui finalità è interpretare le tendenze di un’epoca o di molte epoche. Dove invece la musica di intrattenimento tende a sollecitare il sentimentalismo dell’ascoltatore; a fare appello alle passioni e all’ideologia, con linguaggio semplice e immediato. La prima affronta i grandi temi che servono alla crescita dell’essere umano che si costituisce in umanità: è mediazione. La seconda si mantiene sull’ordinario delle esigenze quotidiane. Verrebbe quasi da aggiungere, e sarebbe sbagliato, musica del corpo e musica dell’anima. Sbagliato perché la musica è tutta del corpo, derivando dai ritmi del corpo; e ciò che tocca l’anima inevitabilmente finisce per toccare anche il corpo.

A essere decisivo non è l’ambito in cui la musica si forma, il genere che sostiene o nel quale è collocato; ma la capacità, a volte solo occasionale, di accedere a quei livelli che fanno fare un passo avanti alle persone; che contribuiscono a quell’accumulo di conoscenze (musicali) che permetteranno a coloro che verranno di fornire a loro volta un contributo.

Ecco la scoperta di questo (per me) sconosciuto Andrea Laszlo De Simone, che occasionalmente a tale livello accede. Perdonate il forse poco prudente entusiasmo con il quale lo raccomando: sono sicuro che entusiasmerà anche voi.



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