Perché Svezia e Finlandia vogliono entrare nella Nato

Alessia De Luca, analista dell’Ispi, spiega le ragioni che hanno condotto i due Paesi scandinavi a rompere una lunga tradizione di neutralità.

Cinzia Sciuto

La Finlandia ha formalizzato la sua richiesta di adesione alla Nato, la Svezia lo farà a brevissimo. Sono due Paesi che hanno una lunga tradizione di neutralità: perché decidono proprio adesso di aderire al Patto Atlantico?
Con questa richiesta la Finlandia rompe con una neutralità strategica che durava da oltre settant’anni e che era stata sancita da un accordo stretto con l’Unione sovietica. All’epoca la Finlandia ritenne che quello fosse il modo migliore per salvaguardare la propria sicurezza nazionale. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è stato un fatto dirompente, che ha provocato un radicale cambiamento nella visione delle cose in questa parte di Europa. Una svolta mostrata anche dai sondaggi: in Finlandia per anni la percentuale di cittadini favorevole all’ingresso nella Nato si era attestata intorno al 20-25 per cento, oggi è schizzata a oltre il 70. Ancora più interessante forse è analizzare quello che è accaduto in Svezia. Storicamente gli svedesi sono sempre stati ancora più scettici sull’adesione alla Nato perché, oltre alle ragioni di opportunità geopolitica, hanno sempre anche avuto delle profonde ragioni ideologiche, ritenendo che il modo migliore per preservare la pace del continente europeo fosse quella di guardare verso il disarmo e il dialogo, e per questo la Svezia aveva anche progressivamente diminuito la propria spesa militare. A partire dal 2014 però, da quando cioè la Russia ha annesso la Crimea, c’è stata una inversione di tendenza e la Svezia ha ricominciato a investire nella difesa. Oggi, con l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, in questi due Paesi si è diffusa una profonda paura che possa capitare anche a loro quello che sta accadendo all’Ucraina e vogliono tutelarsi.

Però questa richiesta potrebbe essere interpretata dalla Russia come una ulteriore provocazione, in fondo tra i motivi addotti per l’invasione dell’Ucraina c’è proprio l’ipotesi di un suo ingresso nella Nato…
Mi pare una chiave di lettura un po’ superficiale. Tutti sanno oggi e sapevano anche prima del 24 febbraio che un’adesione dell’Ucraina alla Nato non era affatto all’ordine del giorno. Lo sapevano gli ucraini, che tra l’altro non avevano presentato nessuna richiesta ufficiale, lo sapeva la Nato e lo sapeva benissimo anche Putin. Non solo non era all’ordine del giorno, ma un ingresso dell’Ucraina nella Nato era anche altamente improbabile. Le richieste di adesione devono infatti essere approvate da tutti i Paesi membri ed è del tutto improbabile che tutti e 30 i Paesi attualmente membri dell’Alleanza atlantica avrebbero approvato l’ingresso di un Paese che all’interno del suo territorio aveva una zona in guerra (perché ricordiamo che nel Donbas si combatte da anni) e un’altra, la Crimea, occupata e annessa alla Russia. Uno dei criteri di ammissione è infatti proprio non avere conflitti in corso. A maggior ragione, dunque, è comprensibile la reazione di Svezia e Finlandia: proprio l’Ucraina dimostra che il non essere nella Nato non basta per essere al sicuro, e dunque – hanno pensato – a questo punto meglio premunirsi. E poi diciamo la verità: il problema principale di Putin non è la Nato ma è il fatto che ai suoi confini si rafforzino regimi democratici che guardano all’Occidente. L’anno scorso lo stipendio medio in Ucraina aveva superato quello russo e consentire che l’Ucraina diventasse un Paese più ricco, più stabile e più democratico della Russia avrebbe messo in crisi la narrazione di Putin.

Gli interessi di Svezia e Finlandia sono chiari, ma è interesse anche del resto dell’Europa che questi paesi aderiscano alla Nato? Non si rischia di sconvolgere ulteriormente gli equilibri mondiali?
Ma gli equilibri mondiali sono già stati rotti dall’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Tutti i ragionamenti che potevano avere un senso prima del 24 febbraio scorso, non possono più essere portati avanti negli stessi termini. C’è un prima e c’è un dopo. E lo spartiacque non è certo la richiesta odierna di Svezia e Finlandia ma l’aggressione di Putin, di cui quella richiesta è diretta conseguenza. Chi muove una guerra come quella che sta muovendo Putin diventa responsabile anche delle conseguenze che quel gesto comporta.

Questa decisione potrebbe avere pesanti ricadute sulle prospettive di negoziato nella guerra in Ucraina?
Non mi pare che ci fossero grandi prospettive di dialogo sulle quali questa decisione farebbe cadere una doccia gelata. Questa guerra in Europa non la voleva nessuno. Prima del 24 febbraio i leader europei hanno fatto la spola con il Cremlino per scongiurarla e persino Biden in una intervista molto controversa aveva avvertito che la reazione occidentale sarebbe dipesa anche dalla portata dell’attacco russo, lasciando intendere di fatto che una invasione del solo Donbas sarebbe stata in un certo senso tollerata. La scelta di Putin di un’invasione su larga scala e le modalità con cui ha condotto la guerra fin dalle prime settimane – pensiamo a quello che abbiamo visto a Bucha, a Borodyanka, a Irpin – ha provocato una sorta di shock. Nessuno, infatti, si aspettava che nel pieno dell’Europa nel 2022, dopo due anni e mezzo di pandemia, potesse accadere quello che stiamo vedendo. Oggi, passato lo shock, stanno riprendendo i tentativi di dialogo penso alle aperture di Macron e Draghi – e se per esempio si riuscissero a sbloccare le navi ferme a Odessa, cariche di approvvigionamenti alimentari destinati ai Paesi del Sudest asiatico e dell’Africa subsahariana che stanno subendo pesantissimi contraccolpi da questa guerra, sarebbe già un primo importante passo. La pace è un interesse condiviso da molti, non solo nel mondo della politica ma anche in quello imprenditoriale che dopo due anni e mezzo di pandemia stava intravedendo qualche spiraglio di ripresa.

Se l’Ucraina difficilmente sarebbe stata accolta nella Nato, per Svezia e Finlandia invece la strada appare spianata…
Sì, non credo che ci saranno particolari ostacoli. Rimanendo alla Finlandia, nonostante la neutralità strategica, nel corso di questi anni ha comunque tenuto sempre un esercito estremamente efficiente, ha la leva obbligatoria, già spende di fatto più o meno il famoso 2% del pil in spesa militare e ha sempre mantenuto delle forme di collaborazione con la Nato. Anche le perplessità espresse dalla Turchia potrebbero tutt’al più rallentare la procedura ma non bloccare tout court l’adesione.

Per quanto veloci possano essere le prospettive di adesione di Svezia e Finlandia, ci vorranno comunque alcuni passaggi formali. Non è possibile che in questo periodo di “vuoto” questi due Paesi siano maggiormente esposti?
Certo, ed è per questo che Boris Johnson la settimana scorsa è volato in Finlandia per stringere degli accordi difesa che di fatto anticipano le garanzie previste dall’articolo 5 del trattato della Nato, quello che stabilisce che di fronte a un attacco a un Paese membro tutti gli altri sono titolati a intervenire in sua difesa.

Credit foto: la premier finlandese Sanna Marin con il segretario generale Nato Jens Stoltenberg. 25 October 2021. EPA/KIMMO BRANDT



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