La tempesta perfetta. La folle corsa al tampone

Da metà dicembre le corse alle prenotazioni dei tamponi hanno fatto esplodere l’impreparazione del sistema pubblico su quello di tracciamento.

Valerio Nicolosi

Alle 6:30 ci sono già 25 persone in coda per il tampone Covid-19 all’esterno di un centro analisi alla periferia di Roma: 17 non hanno prenotato e si sono presentate direttamente lì, le altre hanno prenotato più di una settimana fa. Due hanno trovato un buco uno o due giorni prima, dopo che qualcuno ha disdetto l’appuntamento.
“Possiamo farne solo tre senza prenotazione, non di più. Quindi restino solamente i primi tre. Mi dispiace ma siamo pieni e più di questo non possiamo fare”, annuncia l’infermiera che si occupa dell’accettazione e di consegnare i moduli a chi è in attesa.
Il centro apre alle 7:00 e in mezz’ora arrivano almeno altre 10 persone a chiedere se lì si effettuano tamponi senza prenotazione. È un pellegrinaggio continuo, disperati in cerca di conferme o smentite sulla propria salute e su quella di chi è stato loro vicino.
“Io ho anche la ricetta dematerializzata per prenotare al drive in ma il sito è completamente in tilt: a volte mi dice che non ci sono posti, altre volte non riconosce il numero della ricetta”, racconta Silvia, in fila con il figlio di 12 anni. “Aveva la prima dose del vaccino domani – dice indicandolo – ma ho dovuto spostarla perché due bambini della sua classe sono positivi e siamo in autoisolamento dal 24 dicembre. Per scrupolo avevo prenotato questo tampone nel caso in cui avessi avuto problemi a prenotare al drive in. Così è stato”.

Nel Lazio i tamponi molecolari presso strutture private costano circa 60 euro, un prezzo calmierato che non è lo stesso su tutto il territorio nazionale. In Lombardia costano tra i 100 e i 120 euro, e lo stesso dicasi per altre regioni. Una spesa non sostenibile per tutti, soprattutto se si hanno tante persone in famiglia che devono sottoporvisi. Con le nuove norme, per chi ha fatto la terza dose, basta un solo tampone senza la quarantena, ma una famiglia di quattro persone che non trova immediatamente posto nel pubblico può arrivare a pagare fino a 480 euro.

“Quello che consiglio di fare è di collegarsi sul sito a mezzanotte e un minuto, perché a mezzanotte e mezza sono già finite le disponibilità dei tamponi da lì a tre giorni” ci racconta Marta (nome di fantasia), una lavoratrice del NUR, Numero Unico Regionale del Lazio, che ogni giorno fornisce assistenza su diversi servizi che eroga la regione stessa. “Da metà dicembre le telefonate sono solo per i tamponi e le persone hanno grandi aspettative mentre noi non possiamo fare molto: apriamo alle 8, quando la disponibilità dei tamponi è già finita”, ci racconta dopo un lungo turno di lavoro. Secondo Marta questo servizio regionale non è mai stato così sotto stress, da settimane ci sono almeno 120 persone e due ore d’attesa per poter parlare con un operatore. “Chiamano tutti per disperazione: devono fare un tampone ma non trovano posto. Oggi [29 dicembre] a una signora di Roma ho trovato un posto libero a Rieti per il 1° gennaio. Ha accettato perché è disperata e non ha alternative”.
“Altro che file per il Black Friday, qua parliamo della salute delle persone e Figliuolo si permette di trattare con supponenza e spocchia le persone”, commenta un signore in fila al drive in di Tor di Quinto dove accompagna la figlia di 15 anni risultata positiva a un test rapido. “Siamo qui da tre ore e non si vede la luce”.

Ma non c’è solo il Lazio nel caos, la situazione è drammatica su tutto il territorio nazionale. Alcune regioni sono messe anche peggio.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Sara, una ricercatrice che vive a Pistoia e che si trova in quarantena dopo un contatto stretto con un positivo. “In famiglia siamo in quattro e nessuno ci ha contattato dalla Asl di zona, il mio green pass è attivo e il medico di famiglia non risponde”, ci racconta. Nel suo caso il lavoro di ricerca può essere svolto da casa, ma per i suoi parenti non è così: “Si sono presi le ferie per responsabilità nei confronti della collettività, ma tecnicamente nessuno ci ha mai contattato e quindi dovrebbero andare a lavorare come se niente fosse, altrimenti sarebbe un’assenza ingiustificata”.

Con i sistemi di tracciamento e segnalazione saltati, nella situazione di Sara si trovano decine di migliaia di persone. Francesca è lombarda e il medico al quale ha comunicato telefonicamente la sua positività le ha detto: “Il sistema è in tilt e io non posso segnalare la sua positività all’ATS, lo sappiamo solo io e lei. Mi raccomando faccia la quarantena”.

Poi c’è chi si ritrova in ostaggio dentro la propria casa, senza poter uscire nonostante sia negativo, come nel caso di un professore di un liceo di Siena che dopo il periodo di quarantena per via di uno studente positivo, la mattina del 24 dicembre ha effettuato il tampone. La sera stessa è nato il figlio ma lui non è potuto uscire di casa fino al 26, quando finalmente è arrivato l’esito negativo.

“Il problema è che siamo sovraccarichi anche nel mandare i referti, hanno investito tutto sulla campagna vaccinale e non hanno pensato a rinforzare il servizio di tamponi pubblici”, racconta un medico che lavora nel più grande centro di tamponi pubblici della Sicilia. “Facciamo anche 1.000 tamponi al giorno e quello che ho appena finito è il turno peggiore dall’inizio della pandemia. Tantissimi positivi e sempre più persone in coda”, aggiunge al termine dell’ennesimo giorno con turni quasi raddoppiati.

Sono mesi che ascoltiamo gli appelli governativi per la terza dose e la popolazione ha risposto, resta però il dubbio su come si sta affrontando questa nuova ondata con la variante Omicron: meno aggressiva ma molto più contagiosa. “Siamo lo stesso personale di agosto e settembre, quando venivano i non vaccinati perché avevano bisogno del Green Pass, mentre oggi siamo in piena emergenza. Hanno pensato che il vaccino potesse fermare l’ondata da solo, senza contare che i contagi vanno tracciati per non mandare il sistema in tilt. Eppure di personale a disposizione ce ne sarebbe”, chiosa il medico.

Una tempesta perfetta quindi, che ha fatto crollare il “modello Italia” del quale questo governo era così fiero.
“A quanto pare dopo due anni di pandemia non abbiamo capito nulla”, commenta a MicroMega il costituzionalista Gaetano Azzariti. “L’articolo 32 della Costituzione sancisce che la salute è un diritto individuale e collettivo, ma nel Pnrr non ci sono investimenti importanti per la salute pubblica. Il modello lombardo, che per anni è stato portato come esempio funzionante di sistema privato, è crollato con la pandemia eppure non si investe nella sanità territoriale, quella che invece ha dimostrato di funzionare” conclude Azzariti.



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