Sotto tortura

Quelle che seguono sono le dichiarazioni giurate rilasciate da alcuni prigionieri che erano sotto la tutela dell’esercito americano nel carcere di Abu Ghraib, in Iraq, tra il 16 e il 21 gennaio del 2004, rese pubbliche dal Washington Post il 21 maggio 2004 e pubblicate in italiano su MicroMega 4/2004. Come si legge in calce ad alcune delle traduzioni originali inglesi, le dichiarazioni dei prigionieri sono state raccolte dalla Squadra interrogatori/colloqui ai prigionieri, 10° battaglione di polizia militare, 3° gruppo di polizia militare del complesso carcerario di Abu Ghraib nell’ambito di un’inchiesta interna sul trattamento dei prigionieri. Queste dichiarazioni sono tra quelle esaminate dal generale Antonio Taguba nella sua indagine conclusa nel febbraio 2004. I nomi indicati con XXX sono stati resi illeggibili dal Washington Post.

Redazione

Dichiarazione giurata rilasciata da XXX, detenuto numero XXX, il 21 gennaio 2004. Sono la persona sopra citata. Sono entrato nella prigione di Abu Ghraib il 10 luglio 2003, dopo essere stato portato via dall’area di Baghdad. Mi hanno messo nell’area delle tende e poi mi hanno portato nell’«Hard Site». Il primo giorno mi hanno messo in una stanza buia e hanno iniziato a colpirmi alla testa, allo stomaco e alle gambe. Mi hanno fatto alzare le mani e sedere sulle ginocchia. Sono stato così quattro ore. Poi è venuto l’inquirente e mi guardava mentre mi picchiava. Sono stato in quella stanza cinque giorni, nudo senza vestiti. Poi mi hanno portato in un’altra cella al piano di sopra. Il 15 ottobre 2003 hanno rimpiazzato l’esercito con la polizia irachena e da quel momento hanno iniziato a maltrattarmi in ogni maniera. La prima punizione è stata portarmi nella stanza numero 1, mi hanno messo le manette e mi hanno ammanettato in alto per sette od otto ore. Ciò mi ha provocato la rottura della mano destra e avevo un taglio che sanguinava e da cui usciva pus. Mi hanno tenuto così il 24, 25 e 26 ottobre. Nei giorni successivi mi hanno messo un sacco sulla testa e, ovviamente, per tutto questo tempo io ero senza vestiti e senza niente su cui dormire. Un giorno a novembre hanno iniziato con altri tipi di maltrattamenti. Un poliziotto americano è venuto nella mia stanza e mi ha messo un sacco in testa, mi ha ammanettato e mi ha portato fuori nel corridoio. Ha iniziato a colpirmi, lui e altri cinque poliziotti americani. Potevo vedere solo i loro piedi da sotto il sacco. Un paio di questi poliziotti erano donne. Sentivo le loro voci e ho visto due della polizia che mi colpivano prima di infilarmi il sacco in testa. Uno di loro portava gli occhiali. Non ho potuto leggere il suo nome perché aveva messo un nastro sopra il suo nome. Alcune delle cose che mi hanno fatto sono state: farmi sedere come un cane e farmi abbaiare mentre loro tenevano la corda del sacco e ridevano di me. E [ho potuto vedere che] quel poliziotto era di colore rossiccio, perché mi ha sbattuto la testa al muro e quando l’ha fatto il sacco è volato via e uno della polizia mi ha detto in arabo di strisciare, e io ho strisciato sulla pancia e la polizia mi sputava addosso mentre strisciavo e mi colpiva sulla schiena, sulla testa e sui piedi. È andata avanti così finché il loro turno è finito, verso le quattro del mattino. La stessa cosa è accaduta i giorni successivi.

Ricordo anche che la polizia mi ha colpito sulle orecchie, prima di – come al solito – picchiarmi, ammanettarmi, infilarmi la testa nel sacco, farmi mettere nelle posizioni dei cani e farmi strisciare di fronte a sei persone. Uno di loro era un traduttore iracheno di nome Shaheen, aveva la pelle rossiccia e i baffi. Poi la polizia ha iniziato a colpirmi sui reni e sull’orecchio destro, che ha cominciato a sanguinare e ho perso conoscenza. Il traduttore iracheno mi ha tirato su e mi ha detto: «Stai andando a dormire». Poi sono andato nella stanza. Mi sono svegliato di nuovo. Sono rimasto incosciente per circa due minuti. Il poliziotto mi ha trascinato nella stanza dove mi ha lavato l’orecchio e ha chiamato il dottore. Il dottore iracheno è venuto e mi ha detto che non poteva portarmi in clinica, quindi mi ha sistemato nel corridoio. Quando mi sono svegliato ho visto sei poliziotti americani.

Pochi giorni prima che mi colpissero all’orecchio, il poliziotto americano, il tizio con gli occhiali, mi ha messo delle mutande da donna rosse sulla testa. E poi mi ha legato alla finestra che è nella cella con le mani dietro la schiena finché ho perso conoscenza. E ancora quando ero nella stanza numero 1 mi hanno detto di stendermi a pancia a terra e loro saltavano dal letto sopra la mia schiena e le mie gambe. E altri due mi sputavano addosso, mi coprivano di ingiurie e mi tenevano le mani e le gambe. Dopo che il tipo con gli occhiali si è stancato, due soldati americani mi hanno messo sul pavimento e mi hanno legato alla porta mentre ero steso a pancia a terra. Un poliziotto mi ha pisciato addosso e rideva di me. Poi mi ha liberato le mani, volevo lavarmi ma il soldato è tornato nella stanza, e lui e il suo amico mi hanno urlato di stendermi giù, e io l’ho fatto.

E poi il poliziotto mi ha aperto le gambe, con un sacco sulla testa, e si è seduto tra le mie gambe sulle sue ginocchia e io lo guardavo da sotto il sacco e mi voleva scopare perché l’ho visto che apriva i pantaloni, allora ho cominciato a urlare forte e l’altro poliziotto ha cominciato a colpirmi con i piedi sul collo e mi ha messo un piede in testa così che non potessi urlare.

Dopo sono andati via e il tipo con gli occhiali è tornato con un’altra persona e mi ha portato via dalla stanza e mi hanno messo di nuovo dentro la stanza buia e hanno iniziato a picchiarmi con una scopa che era lì. Poi hanno messo l’altoparlante dentro la stanza e hanno chiuso la porta e lui urlava nel microfono. Hanno rotto una lampada fluorescente e mi hanno versato [il contenuto] addosso finché sono diventato incandescente e loro ridevano. Mi hanno portato nella stanza e mi hanno fatto segno di mettermi a terra. E uno della polizia mi ha infilato una parte del bastone che portava sempre con sé in culo e ho sentito che è andato dentro per circa due centimetri. Ho iniziato a urlare, e lui l’ha tirato fuori e l’ha lavato con l’acqua dentro la stanza. E le due ragazze americane che erano lì mentre mi picchiavano mi colpivano con una palla fatta di spugna sull’uccello. E quando ero legato nella mia stanza, una delle ragazze, bianca con i capelli biondi, giocava con il mio uccello. Ho visto dentro questa struttura molti maltrattamenti tipo quelli che hanno fatto a me e anche di più. Mi facevano delle foto durante tutti questi fatti.
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CREDIT FOTO ANSA/DSK

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