Toti è fuori. E dopo? Scajola o Burlando?

Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti è stato arrestato dai militari della Guardia di finanza di Genova con l'accusa di corruzione. Toti sembrava inaffondabile, sia per la totale assenza di iniziativa da parte dell’opposizione, sia per il disamoramento tendente alla fuga sull’Aventino di un elettorato che in passato aveva sempre appoggiato maggioranze di sinistra. Per adesso è fuori dai giochi, ma non si intravede all’orizzonte un’alternativa che ne possa curare le devastazioni.

Pierfranco Pellizzetti

Avevamo sbeffeggiato a lungo Giovanni Toti per la trovata pagliaccesca del maximortaio gonfiabile da pesto, fatto viaggiare a mezzo barcone sul Tamigi o la Senna.
Come diceva lui, “l’idea di marketing” per valorizzare la produzione locale di basilico da cui si ricava “l’oro verde” (copy totiano), ovvero la salsa tipica della gastronomia genovese, costata nientemeno che un milione di euro. Ma ridevamo per non piangere, un po’ come il Rugantino de “loro me le hanno date, ma io gliele ho
dette”. Perché il presidente di Regione Liguria sembrava inaffondabile.
Sapevamo benissimo che la sua rete di potere era costruita su un sistema di favori dal chiaro contenuto affaristico; facente capo alla sua altrettanto ben nota finanziaria “Change”. Un contenitore di cospicue risorse a fronte dell’incessante impoverimento della società ligure e dell’anemia di un’opposizione a corto di idee, prima ancora che di soldi. Un contesto su cui il cosiddetto Governatore spadroneggiava. Ma niente nel suo business a mezzo strumentalizzazione della rendita istituzionale si discostava dalle logiche e dalle pratiche di accaparramento di chi l’aveva preceduto nella reggia di Piazza De Ferrari. A partire dalla privatizzazione della sanità in base al cosiddetto “modello Lombardia” formigoniano, che alla fine del secolo scorso aveva sostituito il mattone come campo privilegiato di investimenti della politica collusa col malaffare; oltre – vista la proiezione vista mare della regione – alle grandi opportunità portuali nella stagione logistica del gigantismo navale e dei traffici in espansione a mezzo container, cui i venti di guerra che imperversano sul pianeta ora sembrano aver posto fine.
Quello che Claudio Burlando faceva, Giovanni Toti lo ha reiterato all’ennesima potenza. Sempre ricavandone cospicui benefici, in quello spirito da falchetto brianzolo che il giovanotto sovrappeso giunto da Viareggio ha probabilmente appreso in quel di Cologno Monzese, alla corte della berlusconiana Mediaset.
Lo si sapeva e magari qualcuno lo scriveva, ma la creatura politica berlusconiana, che poi ha presunto di giocare in proprio, sembrava inaffondabile. Sia per la totale assenza di iniziativa da parte dell’opposizione, sia per il disamoramento tendente alla fuga sull’Aventino di un elettorato che in passato aveva sempre appoggiato
maggioranze di sinistra. In quella Genova, medaglia d’oro della Resistenza, ora sfregiata dalla provocazione del campo libero ai simboli fascisti: dall’intestazioni di strade e belvederi a qualche personaggio del Ventennio, al via libera all’apertura delle sedi di Casa Pound. Sempre per compiacere il target elettorale di riferimento legge-e-ordine, quale rivincita sulla cacciata dei missini dal centro cittadino in quel 30 giugno del 1960.
Per cui l’apertura dei supermercati Esselunga diventava l’epopea della lotta di liberazione dalle rosse Coop, contro la loro occupazione monopolistica pluridecennale della grande distribuzione in Liguria (patrocinata – guarda caso – da PCI-PD). Tutte teatralizzazioni per nascondere ben altro. Intanto dovrebbe far riflettere che ai domiciliari – insieme a Toti – ci è finito pure il consigliere di amministrazione del colosso GDO lombardo Alessandro Moncada, genero di Bernardo Caprotti, il boss Esselunga, accusato di rapporti tangentizi con Toti.
Questa sfrenata corsa a fare soldi e coltivare un’idea ossessiva del lusso, si traduce in quelle pratiche “estrattive” che mettono a repentaglio la fragile bellezza del territorio ligure. Puro “prendi i soldi e scappa”, come una volta mi spiegò un assessore della banda di governo: l’idea di trasformare il nostro territorio in una sorta di Costa Smeralda da rivendere a sceicchi muniti di petrodollari o a qualche oligarca putiniano
in fregola di ville e porticcioli per mega-yacth. Intanto Toti si portava avanti nelle sue attività imbonitorie scempiando le Cinque Terre con passiere a red carpet “per sentirsi come a Hollywood”.
Ora la genia che occupa il potere in Liguria si direbbe giunta a fine corsa. Ma non si intravvede all’orizzonte un’alternativa che ne possa curare le devastazioni.
Per cui – stando ai si dice – nel vuoto della politica che si sta determinando, starebbe facendo un pensierino al ritorno in pista il prossimo ottuagenario (annata 1948) Claudio Scajola, da tempo rintanato a Imperia nel ruolo di sindaco, a curarsi le ecchimosi di tutte le brutte figure collezionate nella lunga carriera politica di rieccolo. E perché non ipotizzare il ritorno in pista di un altro che scalpita: Claudio Burlando? Prove tangibili di una società locale sfinita. Una terra pronta a subire ogni nuova conquista, quella ligure.
CREDITI FOTO: 74th Sanremo Music Festival, 09.02.2024, ANSA / RICCARDO ANTIMIANI



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