La tragedia dell’Europa orientale

Gli Stati Uniti hanno fatto bene a respingere la proposta russa di dividere l'Europa in sfere di influenza? Per rispondere a questa domanda non è irragionevole considerare le conseguenze dell'ultima divisione in sfere di influenza in Europa dopo la Seconda guerra mondiale.

Taras Bilous

La sinistra dovrebbe sostenere la divisione del mondo in sfere di influenza imperialistiche? Un anno fa, il solo porre una domanda del genere mi avrebbe sorpreso, poiché la risposta sembra ovvia: certo che no. Sfortunatamente, l’apparente simpatia per l’aggressione russa contro l’Ucraina da parte di molti nella sinistra occidentale ha dimostrato che la risposta non è così ovvia.

Dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, in un editoriale della New Left Review, Susan Watkins ha effettivamente avallato il desiderio di Putin di dividere l’Europa in sfere di influenza tra Russia e Stati Uniti. Poco dopo la mia risposta a Watkins, la politica delle sfere di influenza è stata sostenuta da Branko Marcetic in un articolo per Current Affairs. In esso, l’autore ha paragonato la risposta degli Stati Uniti all’invasione russa dell’Ucraina alla cautela dell’amministrazione Eisenhower nel rispondere alla repressione della rivoluzione del 1956 in Ungheria da parte dell’Unione Sovietica. Marcetic lamenta: “L’attenzione di Washington e degli alleati durante il conflitto al delicato equilibrio di potere europeo, e la loro preoccupazione di non intromettersi apertamente nella sfera di influenza di un avversario, è oggi considerata reazionaria”.

Forse, vivendo in Stati imperialisti ricchi, non è facile capire perché la divisione in sfere di influenza sia una cosa negativa. Tuttavia, anche se non se ne rende conto, Marcetic solleva una questione importante: il collegamento tra la politica sovietica delle sfere di influenza in Europa e la svolta a destra nelle società post-socialiste, culminata nell’aggressione russa contro l’Ucraina.

Due status quo

Non è scopo di questo testo discutere i molti limiti dell’articolo di Marcetic. Ma prima di passare all’argomento principale, vale la pena sottolineare alcuni dei suoi difetti. Il suo autore ignora la principale differenza tra i conflitti che confronta: mentre l’Ungheria era effettivamente nella sfera di influenza sovietica, l’Ucraina post-sovietica non è e non è mai stata nella sfera di influenza russa. Certo, il Cremlino ritiene che l’Ucraina debba essere un feudo controllato, ma in realtà anche il più filo-russo dei presidenti ucraini, Viktor Yanukovich, si è talvolta scontrato con la Russia e ha negoziato l’accordo di associazione con l’UE.

La Guerra fredda si è conclusa con accordi che hanno ribaltato la precedente divisione dell’Europa in sfere di influenza. Alcuni lettori potrebbero obiettare che c’era stata una promessa informale di non espandere la Nato verso est. Ma questo non era un accordo sulle sfere di influenza. Inoltre, questa promessa non riguardava la cooperazione militare tra gli Stati dell’Europa orientale e gli Stati Uniti. Anche l’Ucraina, quasi a partire dall’indipendenza, ha sviluppato la cooperazione militare con gli Stati Uniti, così come la Russia tra il 1991 e il 2008. Dopotutto, la promessa di non espandere la Nato era fatta alla leadership non della Russia, ma di uno Stato defunto da tempo, l’Unione Sovietica, che includeva non solo la Russia odierna, ma anche l’Ucraina.

Ciò rivela una somiglianza importante, ma non ovvia, tra gli approcci di Eisenhower e Biden: nessuno dei due ha osato violare lo status quo. Ma se in un caso significava fare i conti con l’Unione Sovietica, nell’altro significa il contrario: rinunciare alle sfere di influenza. Quando, nel dicembre 2021, il Ministero degli Esteri russo ha pubblicato le bozze di trattati con gli Stati Uniti e la Nato, gli Stati Uniti hanno risposto presentando controproposte sul controllo degli armamenti che soddisfacevano gli interessi di sicurezza russi; ma alla principale richiesta del Cremlino di una divisione in sfere di influenza in Europa, hanno opposto un rifiuto.

Questo mostra quanto sia fuori fuoco il confronto di Marcetic. Ogni caso è unico e, per un confronto produttivo, è necessario analizzare sia le somiglianze sia le differenze. Allo stesso tempo, possiamo ignorare molte differenze che non sono importanti per il problema che stiamo analizzando. Ma il fatto che l’Ucraina non appartenesse – e non appartenga – alla sfera di influenza russa è una distinzione centrale che non può essere trascurata. Ha un impatto diretto sul comportamento dei governi e sugli sviluppi che ne conseguono.

Marcetic ignora quanto cauto sia stato e rimanga l’approccio dell’amministrazione Biden. Come Eisenhower, anche prima dell’invasione russa, Biden ha rifiutato l’idea di inviare truppe statunitensi in Ucraina e ha costantemente ribadito che gli Stati Uniti non sarebbero entrati in guerra con la Russia. La differenza di politica tra Biden ed Eisenhower, tuttavia, è in gran parte dovuta alle diverse circostanze e al comportamento dei governi ungherese e ucraino. Mentre Imre Nagy rifiutò l’intervento militare occidentale e invitò le Nazioni Unite a riconoscere la neutralità dell’Ungheria, Volodymyr Zelensky prima dell’invasione ha rifiutato l’idea della neutralità ucraina. E dopo l’inizio della guerra su vasta scala, non solo ha richiesto l’invio regolare di nuove armi, ma ha anche invitato la Nato a chiudere i cieli sull’Ucraina.

Quindi, nel caso attuale dell’Ucraina, la domanda corretta è questa: gli Stati Uniti hanno fatto bene a respingere la proposta di dividere l’Europa in sfere di influenza? La risposta a questa domanda deve tener conto non solo delle conseguenze dirette della guerra, ma anche delle conseguenze a lungo termine di simili accordi. E per farlo, non è irragionevole considerare le conseguenze dell’ultima divisione in sfere di influenza in Europa dopo la Seconda guerra mondiale.

Il confronto ungherese

La particolarità della reazione dei Paesi occidentali alla rivoluzione ungherese del 1956 risiedeva nel fatto che non solo respingevano l’idea dell’assistenza militare, ma avevano anche paura di dare ai rivoluzionari un sostegno politico sostanziale. Diversamente la rivoluzione ungherese avrebbe potuto essere salvata? Forse conosceremo la risposta a questa domanda quando gli archivi russi saranno declassificati. Tuttavia, con molta più sicurezza possiamo rispondere ad altre domande cruciali. La politica dell’Urss nei confronti dei suoi satelliti dell’Europa orientale sarebbe stata più cauta se la comunità internazionale avesse reagito più duramente alla repressione della Rivoluzione ungherese? Questa sarebbe stata in grado di salvare la Primavera di Praga? È molto più probabile che siano affermative le risposte a queste domande piuttosto che quella alla prima.

La vittoria o la repressione di una rivoluzione va oltre i confini del Paese in cui ha avuto luogo. La rivoluzione cubana ha stimolato movimenti rivoluzionari in America Latina e nel mondo. Se gli Stati Uniti l’avessero soppressa, i “turbolenti anni Sessanta” avrebbero potuto essere molto diversi. Forse ciò non è avvenuto a causa del fatto che l’Urss non riconobbe l’America Latina come una sfera di influenza degli Stati Uniti. A differenza di Eisenhower, Chruščëv difese la rivoluzione cubana, mise il mondo a rischio di una guerra nucleare, ma potrebbe aver salvato la rivoluzione. Se la rivoluzione ungherese non fosse stata repressa, gli anni Sessanta avrebbero potuto essere molto più turbolenti nell’Europa orientale. Sfortunatamente, ciò non è avvenuto e, dopo la repressione della Primavera di Praga, è iniziata una graduale svolta a destra nel cosiddetto “Secondo Mondo” (rafforzata dalla svolta neoliberista nel mondo capitalista). I circoli dissidenti nell’Urss e nei suoi satelliti si sono spostati sempre più dalle posizioni socialiste a quelle liberali e conservatrici, e i sentimenti nazionalisti in queste società si sono rafforzati. La strategia di Henry Kissinger per rafforzare la sovranità degli Stati comunisti dell’Europa orientale durante la distensione, che promosse nella speranza che avrebbe portato alla finlandizzazione di questi Paesi (sebbene si sbagliasse), contribuì in una certa misura alla svolta conservatrice.

Il risultato della repressione delle rivolte nell’Europa orientale fu che quando la necessità di rinnovare il “socialismo reale” divenne evidente anche al Comitato centrale del Pcus, era già troppo tardi. Le nuove rivoluzioni provocate dalla perestrojka non hanno portato al “socialismo dal volto umano” ma al neoliberismo. La successiva “terapia d’urto” iniziata dall’Occidente, a sua volta, ha generato tendenze ancora più reazionarie nelle società post-socialiste. L’apice di questo processo è stata la trasformazione del regime di Putin, che non solo ha scelto un’aggressiva espansione territoriale, ma, nelle parole di Volodymyr Artyukh, ha iniziato a formare una “Santa Alleanza” antirivoluzionaria, proprio come fece la Russia zarista nel XIX secolo.

La divisione del mondo in sfere di influenza voluta dal Cremlino consolida il dominio delle grandi potenze. Mina anche la capacità dei movimenti rivoluzionari e dei piccoli Paesi di sfruttare le contraddizioni tra esse. In diversi modi, è questa politica che ha reso impossibile la democratizzazione e il rinnovamento del “socialismo reale”, con il risultato che il neoliberismo, il conservatorismo e il nazionalismo sono arrivati ​​a dominare lo spazio post-socialista.

L’Onu e le sfere di influenza

La divisione dell’Europa in sfere di influenza dopo la Seconda guerra mondiale ha avuto conseguenze negative – e non solo per quei Paesi che si sono trovati nella sfera sovietica. Dall’altra parte della cortina di ferro, la principale vittima fu la Grecia, dove le truppe angloamericane, insieme a ex collaborazionisti, iniziarono a sterminare i partigiani antifascisti filo-comunisti. Inoltre, l’Urss non solo accettò che la Grecia ricadesse nella sfera di influenza britannica, ma utilizzò anche attivamente questo accordo per rafforzare il suo dominio nell’Europa orientale. Come ha scritto lo storico Geoffrey Roberts, “Stalin e Molotov non si sono mai stancati di allontanare le lamentele angloamericane sull’esclusione dell’influenza occidentale dall’Europa orientale ricordando la tolleranza sovietica nei confronti della Grecia”.

Ma c’era un’alternativa migliore a una politica delle sfere di influenza dopo la Seconda guerra mondiale? La cosa più paradossale della storia della formazione dell’ordine internazionale del dopoguerra è che furono i rappresentanti dell’Urss a insistere maggiormente sulla divisione delle sfere di influenza. Questo fu il caso nonostante il fatto che l’emergere stesso dell’Urss fosse strettamente legato alla speranza di una rivoluzione mondiale, e i suoi leader si proclamassero seguaci di Lenin, il quale era stato aspramente critico nei confronti di tutti gli aspetti della diplomazia segreta, inclusa l’idea stessa di sfere di influenza. Inoltre, per l’Urss, i tentativi di dividere l’Europa in sfere di influenza con Gran Bretagna e Stati Uniti erano una logica continuazione degli accordi preliminari con il Terzo Reich che Mosca e le democrazie occidentali avevano prima della guerra.

A differenza di Stalin, l’amministrazione Roosevelt si oppose alle sfere di influenza. In gran parte grazie ad alcuni funzionari del Dipartimento di Stato, come Leo Pasvolsky, che promosse una visione universalista delle Nazioni Unite come organizzazione internazionale centralizzata, che avrebbe eliminato le sfere di influenza. Inoltre, come osserva Peter Gowan, “Pasvolsky, dopo aver commesso il passo falso di ricordare al suo capo che i giapponesi avevano descritto la loro Sfera di Co-Prosperità come una Dottrina Monroe per l’Asia, arrivò al punto di osservare che ‘se chiediamo il privilegio, lo faranno tutti gli altri”, il che “spingerebbe i sovietici a una combinazione” tutta loro, una prospettiva da sventare. Roosevelt era solidale con tali considerazioni”.

Dopo la morte di Roosevelt e la sconfitta della Germania, la politica degli Stati Uniti su questo tema mutò. Ma è possibile che la posizione di Roosevelt sulle sfere di influenza abbia salvato un Paese dall’occupazione sovietica: la Finlandia. Milovan Djilas ha scritto nelle sue memorie che Stalin definì un errore non occupare la Finlandia perché “abbiamo pensato troppo agli americani e loro non avrebbero mosso un dito”[1].

Il progetto di Roosevelt (o meglio, di Pasvolsky) fallì, il confronto tra gli ex alleati si intensificò e iniziò la Guerra fredda. Ma vale la pena prestare attenzione a chi sul fronte americano sia il più colpevole. In primo luogo, c’era il settore reazionario del Dipartimento di Stato, che si occupava di affari latinoamericani sotto Nelson Rockefeller. Quest’ultimo cercò di mantenere l’egemonia degli Stati Uniti in America Latina e a tal fine spinse attraverso modifiche alla Carta delle Nazioni Unite. Come ha sottolineato Peter Gowan, John Foster Dulles in seguito disse a Rockerfeller: “Se non l’aveste fatto, non avremmo mai potuto avere la Nato”.

In secondo luogo, un elemento sostanziale fu il fatto che a Roosevelt successe Truman, il quale, nonostante la sua immagine e la sua politica più anticomuniste, era molto più disposto ad accettare una sfera di influenza sovietica in Europa. Di nuovo, citando Peter Gowan:

Per tagliare il nodo gordiano sulla portata dei poteri di veto, egli inviò Harry Hopkins a Mosca con istruzioni per chiarire che “Polonia, Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Austria (sic), Jugoslavia, Lettonia, Lituania, Estonia, et al (re-sic), non fanno alcuna differenza per gli interessi degli Stati Uniti”, aggiungendo, con un cinismo che ha superato qualsiasi altro da parte di Roosevelt, che un’elezione in Polonia avrebbe potuto essere libera come quella di Tom Pendergast a Kansas City o quella di Boss Hague a Chicago.

Ciò significava il successo della strategia di Stalin. Poiché gli Stati Uniti erano contrari alle sfere di influenza, l’Unione Sovietica inizialmente stabilì il dominio nell’Europa orientale occupata e poi costrinse gli alleati a concordare con lo status quo. E per questo Stalin utilizzò non solo l’esempio della Grecia, ma anche la politica degli alleati in Italia. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano affidato solo una funzione consultiva al Consiglio consultivo tripartito e alla Commissione di controllo, istituita su iniziativa sovietica. Pertanto, furono i primi a fornire un esempio di politica nei territori occupati: chi occupava prendeva le decisioni. Stalin acconsentì rapidamente all’affiliazione de facto dell’Italia alla sfera di influenza anglo-britannica e diede loro carta bianca per azzerare il governo di Ivanoe Bonomi se lo desideravano.

Allo stesso tempo, era abbastanza indicativo che un breve periodo di competizione tra alleati per influenzare l’Italia avesse migliorato la situazione di quel Paese. I passi diplomatici dell’Urss, compreso il riconoscimento ufficiale del primo governo postfascista di Pietro Badoglio, costrinsero la Gran Bretagna a cambiare la propria politica in Italia. Di fronte alla prospettiva di una crescente influenza sovietica e di un crescente sentimento comunista in Italia, Churchill rifiutò un piano per rendere l’Italia del dopoguerra un Paese debole sotto l’egemonia britannica. Fu costretto a concordare con Roosevelt sulla necessità di assistenza economica all’Italia e sulla sua restaurazione come Stato indipendente. Qualcosa di simile avrebbe potuto accadere nell’Europa orientale, specialmente in Polonia, la cui indipendenza gli Stati Uniti e la Gran Bretagna cercarono di proteggere. Ma gli stessi Stati Uniti minarono la loro opposizione alla politica delle sfere di influenza rimuovendo l’Urss dal processo decisionale sull’Italia.

Il progetto delle Nazioni Unite di Roosevelt era tutt’altro che democratico. Prevedeva un ruolo minore per l’Assemblea generale, con alcuni “poliziotti mondiali” che avrebbero deciso la maggior parte delle questioni. Tuttavia, era più progressista di quello sostenuto da Stalin e Churchill. Ma grazie alla politica reazionaria dell’amministrazione Roosevelt, dopo la morte di quest’ultimo, negli Stati Uniti prevalse l’approccio delle sfere di influenza, un approccio abbastanza favorevole agli interessi imperialisti americani.

Abbiamo visto qualcosa di simile prima dell’invasione russa, e continuiamo a vederlo ora: la parte più reazionaria della classe dirigente statunitense, esemplificata da Donald Trump e Tucker Carlson, è pronta a concordare con Putin su una divisione delle sfere di influenza. Prima dell’invasione Branko Marcetic ha scritto che Tucker Carlson aveva “completamente ragione” “a mettere in dubbio il valore strategico dell’Ucraina per gli Stati Uniti”.

Ucraina

Cosa sarebbe successo se gli Stati Uniti avessero riconosciuto l’appartenenza dell’Ucraina alla sfera di influenza russa al momento dell’invasione del 2022? Forse se i governi occidentali avessero chiarito agli ucraini che non avrebbero dovuto aspettarsi un sostegno occidentale significativo, ciò avrebbe costretto Zelensky ad adottare una politica più cauta e potenzialmente un compromesso. Dopotutto, la consapevolezza che l’Occidente non li avrebbe protetti da una possibile occupazione sovietica fu uno dei fattori chiave che portò i finlandesi, dopo due sanguinose guerre, ad accettare di sottoporre la loro politica estera all’Unione Sovietica.

In primo luogo, vale la pena notare che anche se l’Ucraina avesse accettato la “finlandizzazione”, le sue conseguenze sarebbero state molto diverse da quelle vissute della Finlandia, soprattutto perché la Russia moderna è uno Stato capitalista con un regime autocratico reazionario, non l’Unione Sovietica. In secondo luogo, a mio avviso, gli Stati Uniti accettando una divisione in sfere di influenza con la Russia non avrebbero portato la pace. Data la competizione politica e il sentimento generale, in un modo o nell’altro perlopiù contrari alle richieste della Russia, è improbabile che Zelensky avrebbe accettato serie concessioni. E anche se avesse acconsentito, il Parlamento non le avrebbe approvate; nel migliore dei casi, ciò avrebbe condotto a nuove elezioni che sarebbero state vinte in modo decisivo da forze più nazionaliste. Al fine di prevenire la guerra in corso, i cambiamenti nelle relazioni politiche dell’Ucraina e dell’Occidente sarebbero dovuti avvenire non nei mesi precedenti l’invasione ma molto prima.

Se gli Stati Uniti avessero ufficialmente concordato che l’Ucraina faceva parte della sfera di influenza russa, avrebbero potuto incoraggiare la classe dirigente russa ad agire in modo più deciso. Putin ha osato invadere l’Ucraina nonostante la pressione degli Stati Uniti. Cosa avrebbe potuto impedirgli di tentare di ripetere le azioni sovietiche in Ungheria se gli Stati Uniti avessero promesso di non fornire assistenza militare all’Ucraina? Come durante la Guerra fredda, il risultato a lungo termine di tale divisione in sfere di influenza sarebbe un aumento della reazione. Ciò include il rafforzamento del regime di Putin in Russia e la resistenza all’occupazione russa, in cui è probabile che l’estrema destra ottenga l’egemonia in Ucraina.

La guerra russo-ucraina ha posto fine al periodo post-sovietico. La natura del periodo emergente, compreso il momento attuale, sarà decisa sul campo di battaglia. Se vincerà l’Ucraina, avremo finalmente la possibilità di cambiamenti non solo qui, ma anche nel più ampio spazio post-sovietico. Se vincerà la Russia, nei prossimi decenni l’Europa orientale sprofonderà in un inferno di reazioni crescenti.

(traduzione dall’inglese di Ingrid Colanicchia)

* L’articolo è uscito originariamente su Spectre Journal il 3 agosto 2022 con il titolo “Eastern Europe’s Tragedy. How the spheres of influence policy amplifies reaction”.

[1] È interessante notare che l’edizione inglese di Conversations with Stalin non contiene queste parole. Cito dalla prima edizione russa (1992), tradotta dal serbo-croato, pubblicata in una raccolta dei suoi testi. Djilas M. (1992), Litso totalitarismo [Il volto del totalitarismo], Mosca, Novosti, p. 111.

Credit foto: Kyiv (Kiev), 8 marzo 2022. ANSA EPA/ZURAB KURTSIKIDZE



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