Ucraina: il ruolo dell’Europa verso la de-escalation

Italia, Francia e Germania orientate a riaprire la via dei negoziati per una mediazione sia sull’Ucraina sia sulla sicurezza europea e globale.

Maurizio Delli Santi

L’incertezza degli scenari
Gli analisti sono sempre più divisi tra chi ritiene inevitabile un rischio di escalation, anche per la minaccia nucleare, e chi invece propende per una “guerra di logoramento”. L’evoluzione della guerra, in cui la pressione russa continua ma non segna passi decisivi, è investita da un significativo cambiamento del quadro strategico che determina ancora molte incertezze. Due sono gli elementi di sostanziale novità: Finlandia e Svezia hanno annunciato di voler aderire alla Nato e il Pentagono ha chiesto al Ministero della difesa russo di avviare un canale per promuovere il cessate il fuoco. Intanto in Europa, le posizioni espresse da Macron, Draghi e Scholz sembrano voler affermare una leadership condivisa, oltre che per reiterare il sostegno all’Ucraina, soprattutto per la ripresa dei negoziati verso la pace. L’interesse per l’Occidente, che pare su una netta posizione di vantaggio, dovrebbe ora puntare con fatti concreti alla de-escalation.

Ma la situazione si presenta ancora molto complessa. L’iniziativa americana non riguarda il livello diplomatico e si riferisce ai vertici delle strutture militari. È partita dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin, lo stesso che al vertice Nato di Ramstein aveva dichiarato: «Oggi siamo qui riuniti per aiutare l’Ucraina a vincere la battaglia contro la Russia. Ma ora vogliamo rendere più difficile per la Russia minacciare i suoi vicini e indebolirla in questo senso». A Ramstein la nuova “coalizione dei volenterosi” guidata dalla Nato si è presentata di fronte alla Russia con l’adesione di un più vasto fronte geopolitico, che comprende, fra gli altri, Giappone, Qatar, Liberia, Nuova Zelanda e Australia. Ciò potrebbe inquadrare la scelta americana di promuovere il cessate il fuoco nella convinzione di condurre i negoziati da una posizione di forza. Una condizione che difficilmente indurrà Putin a parteciparvi. Peraltro gli attori principali, Ucraina e Russia, non hanno manifestato le reali intenzioni su cui sarebbero disposti a negoziare e sembrano piuttosto orientati a far decidere le sorti dal confronto sul campo di battaglia. Al momento le questioni centrali concernono la neutralità dell’Ucraina, il suo proposito di avere degli Stati “garanti” della sua indipendenza, ma quelle più difficili da superare saranno ancora le “linee rosse” delle rivendicazioni russe su Crimea e Donbass, e ora anche le pretese sui nuovi territori occupati. Qualche osservatore ritiene che una mediazione potrebbe riguardare l’ipotesi di plebisciti per questi territori, a cominciare dal Donbass, ma è prematuro parlarne ora.

Le possibili intese dei militari
Il livello militare può comunque superare lo stallo sul negoziato generale ed essere più immediato per gestire alcuni aspetti propriamente tecnico-operativi. Ad esempio, le intese a livello di stati maggiori possono evitare malintesi e incidenti, attuare tregue temporanee e corridoi umanitari, tutte attività che in sostanza potrebbero preludere ad una progressiva de-escalation per poi rilanciare il negoziato sui temi più ampi. In questa prospettiva, sembra esserci qualche spiraglio per una tregua a Mariupol, volta a evacuare per ora almeno i feriti dei resistenti dell’acciaieria Azovstal. Un segnale della ricerca della de-escalation è venuto anche da una direttiva statunitense sulla condivisione dei dati dell’intelligence con gli ucraini. Sarebbero ora escluse le informazioni dirette a localizzare le figure apicali del livello militare e politico della Federazione Russa e gli obiettivi russi posti al di fuori dei confini ucraini. Il provvedimento segue le polemiche sorte dopo le rivelazioni del Washington Post secondo cui gli americani avrebbero fornito le posizioni dei generali russi poi “neutralizzati” dagli ucraini. La presa di distanza è poi netta sul coinvolgimento in ipotesi di controffensive ucraine estese in territorio russo.

Le adesioni alla Nato di Finlandia e Svezia
Al momento, sulla proposta di cessate-il-fuoco, dalla Russia non sono pervenute risposte ufficiali. E le ragioni possono comprendersi in vari fattori. Date le difficoltà sorte sullo svolgimento della campagna militare, la Russia non ha certo gradito che gli Usa abbiano previsto un ulteriore sostegno di 40 miliardi di dollari per gli aiuti militari a Kiev. Per molti analisti militari ciò significa che, quando tutti i nuovi arsenali militari saranno giunti, l’Ucraina entro giugno sarebbe nelle condizioni di rilanciare una controffensiva decisiva. Inoltre, la Russia si sta vedendo avvicinare la Nato su altri 1360 km di confine se, come ormai sembra certo, molto presto Finlandia e Svezia aderiranno all’Alleanza Atlantica. La scelta ha contrariato fortemente la Federazione Russa, come è emerso dalle dichiarazioni di Putin che fanno pensare al rischio di una nuova escalation. Per Putin, che ha avuto un colloquio con il presidente finlandese, «è un errore abbandonare la tradizionale politica di neutralità militare», e ha aggiunto: «Un tale cambiamento della politica estera del Paese potrebbe avere un impatto negativo sulle relazioni russo-finlandesi, che si sono sviluppate per molti anni nello spirito del buon vicinato e della cooperazione tra partner e sono state reciprocamente vantaggiose». Più minaccioso era stato l’ex presidente russo, Dmitry Medvedev, ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, il quale aveva avvertito che «se Stoccolma e Helsinki aderiranno all’Alleanza Atlantica, Mosca schiererà testate nucleari russe nel Mar Baltico, nell’exclave di Kaliningrad». Sulla questione è da registrare l’iniziale veto di Erdogan che si è dichiarato contrario all’adesione alla Nato dei paesi scandinavi. Il motivo dichiarato è per le loro politiche di apertura sulla causa curda, ma pare che la posizione turca sia rientrata dopo avere ottenuto rassicurazioni dai due governi su una intesa comune per la lotta ai “terroristi”, come i turchi intendono i ribelli curdi.

Il ruolo emergente dell’Europa dell’“autonomia strategica”
Lo scenario dunque è ancora molto incerto. Tuttavia potrebbe essere interpretato anche secondo l’approccio strategico delle “teorie dei giochi” notoriamente applicabili alle relazioni internazionali. Qui potrebbe esservi un “gioco dei ruoli” dove Stati Uniti e alcuni Paesi della Nato e dell’UE, come ad esempio Regno Unito, Polonia, i Paesi Baltici, e ora Svezia e Finlandia, optano per la linea più intransigente e “militarista”. Altri Paesi, fra cui certamente l’Italia, la Francia e la Germania, si sono dichiarati più orientati a riaprire la via dei negoziati per una mediazione sia sulla questione dell’Ucraina sia sulla dimensione della architettura di sicurezza, europea e globale. In Europa Macron, Scholz e Draghi sono uniti su una leadership condivisa, oltre che per reiterare la comune visione euroatlantica sul sostegno all’Ucraina, soprattutto per la ripresa dei negoziati verso la pace, avvalendosi della mediazione avviata dalla Turchia, ma anche puntando ad avvicinare Cina e India.

E proprio in quest’ultima prospettiva, è bene far riferimento alle linee che sono state espresse per ultimo dal presidente francese Macron e dal premier Draghi per delineare in che termini sta emergendo con più convinzione una sorta di “autonomia strategica” per perseguire la via dei negoziati.

Il 9 maggio, mentre Putin celebrava in tono dimesso la “Giornata della Vittoria”, il presidente di turno del Consiglio UE Macron ha confermato la piena adesione alla scelta euroatlantica sulle sanzioni e sugli aiuti militari all’Ucraina. Ma ha precisato: «Ciò tuttavia non vuol dire che siamo in guerra contro la Russia. Operiamo in veste di europei per la preservazione della sovranità e dell’integrità territoriali dell’Ucraina, per il ritorno della pace sul nostro continente. Spetta soltanto all’Ucraina definire i termini di negoziazione con la Russia. Ma il nostro dovere è essere al suo fianco per ottenere il cessate-il-fuoco e costruire la pace». Ed ha aggiunto: «Non dovremo cedere né alla tentazione dell’umiliazione né allo spirito di vendetta. Perché nel passato hanno già fatto troppi danni per i cammini della pace». Macron ha poi riavviato il dialogo con la Cina, elemento di sicuro rilievo strategico in una possibile mediazione con la Russia. L’Eliseo ha quindi diffuso una nota in cui ha precisato che i due capi di Stato hanno “ricordato il loro legame al rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina” e “hanno condiviso l’urgenza di giungere a un cessate il fuoco”.

Il 10 e 11 maggio è stata la volta del premier Draghi che si è espresso nel corso della visita ufficiale negli Stati Uniti. Al presidente Biden, che lo aveva ringraziato per il sostegno dato alle convergenze raggiunte tra Nato e UE, ha detto: «Le nostre Nazioni sono unite in modo forte e la guerra in Ucraina ne ha ulteriormente rafforzato l’unione. Siamo uniti nel condannare l’invasione dell’Ucraina, uniti nelle sanzioni e nell’aiutare l’Ucraina come ci ha chiesto il presidente Zelensky». Ma ha poi subito aggiunto: «In Italia e in Europa adesso le persone vogliono la fine di questi massacri, di questa violenza e di questa macelleria e pensano che cosa possiamo fare per portare la pace. Dobbiamo utilizzare ogni canale per la pace, per un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati credibili». E per argomentare meglio la necessità di avviare un sollecito percorso sulla mediazione diplomatica per porre fine al conflitto, il premier ha ricordato anche le forti preoccupazioni per la sicurezza energetica e alimentare. È in questi ambiti che le popolazioni europee, e soprattutto quelle dei paesi più fragili, risentiranno ancora di più i drammatici effetti della guerra, se questa dovesse prolungarsi.

Due discorsi, dunque, quelli di Macron e Draghi, pienamente armonizzati e integrati in una visione comune di un’Europa che vuole la pace: un fatto concreto, di cui Putin potrebbe tener conto per individuare dei mediatori affidabili. L’interesse per l’Occidente, che pare ora su una netta posizione di vantaggio, dovrebbe essere dunque quello di puntare proprio ora alla de-escalation.

 

(credit foto EPA/STEPHANIE LECOCQ)



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