Ultima generazione: l’Eni sa e sapeva di essere in torto

È stato riconosciuto che l’atto di disobbedienza civile contro Eni del 19 aprile 2022 non aveva prodotto alcun danno. Resta però impunito il colosso petrolifero, colpevole di ecocidio per aver taciuto consapevolmente per decenni le conseguenze dei gas serra sul clima.

Ultima Generazione

Roma, 28 settembre 2023. Si è chiuso il processo presso il Tribunale di Roma che vedeva accusati di danneggiamento aggravato, violenza privata e porto di armi o oggetti atti ad offendere tre cittadini aderenti a Ultima Generazione, che il 19 aprile 2022 avevano agito nei confronti del colosso italiano del fossile, colpendo la vetrina dell’ENI Energy Store di via degli Ammiragli. Per questa azione di disobbedienza civile nonviolenta Chloé, Michele e Laura erano stati arrestati subito dalla polizia, avevano passato la notte in cella e il giorno successivo era stato aperto il processo per direttissima, la cui seconda udienza con rito abbreviato, già fissata per il 15/09/2022, era stata poi rinviata a oggi, 28/09/2023. Oggi il giudice ha rilevato l’assenza di querela, necessaria per i reati di danneggiamento e violenza privata, dichiarandone quindi improcedibilità. Per il reato di porto d’armi o oggetti atti a offendere (art. 4 l. 110/1975) il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a 200 euro di ammenda, mentre il giudice ha ritenuto di fissarla in 600 euro. Concessa la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel casellario giudiziario per i tre cittadini, che risultavano incensurati.

Eni inquina impunemente, ma a processo finiscono i cittadini che protestano
L’azione del 2022 fu un gesto simbolico, volto a denunciare il comportamento irresponsabile dell’azienda fossile a partecipazione pubblica, che nel 2022, anno di aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia, ha prodotto utili record, che reinveste in nuovi progetti di estrazione di fonti fossili, causando consapevolmente la morte di milioni di persone per inquinamento, aumento delle temperature globali ed eventi climatici estremi.
Pochi giorni fa, il rapporto Eni sapeva, diffuso da Greenpeace Italia e ReCommon, realizzato grazie a ricerche effettuate negli scorsi mesi presso biblioteche e archivi della stessa Eni o di istituzioni scientifiche come il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), ha rivelato che l’Eni si aggiunge alla lista di compagnie fossili che erano consapevoli almeno dai primi anni Settanta dell’effetto destabilizzante che lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio esercita sugli equilibri climatici globali, a causa delle emissioni di gas serra.
“Oggi si è tenuto un processo per un’azione dimostrativa che ho fatto in un Energy Store di Eni nell’aprile del 2022. Siamo entrati, abbiamo interrotto le normali attività, abbiamo lanciato vernice e colpito con dei piccoli scalpelli le vetrate, danneggiandole in maniera contenuta. Abbiamo chiesto cosa fosse questo piccolo danno rispetto ai danni che Eni sta causando. Questa mattina (28 settembre 2023, ndr) abbiamo scoperto che il legale di Eni non ha sporto querela nei nostri confronti. L’Eni ha deciso di non portare ulteriormente sui giornali la notizia di questa protesta, perché sa di essere in torto: ora sappiamo che fin dagli anni ’70 aveva commissionato degli studi sul cambiamento climatico e aveva scoperto che continuare a investire in combustibili fossili ed emettere CO2 nell’atmosfera avrebbe portato in questo secolo a conseguenze catastrofiche. Ciononostante, insieme alle altre compagnie multinazionali, si sono sforzate di produrre documenti pseudoscientifici per dire che il cambiamento climatico era molto meno grave di quello che si pensava. E continuano a fregarsene completamente di qualsiasi accordo internazionale. I piani green sono puro greenwashing. Eni ha avuto profitti per oltre 20 miliardi nel 2022 e quest’anno aumenterà gli investimenti in combustibili fossili, mentre dovrebbe diminuire le proprie emissioni secondo gli accordi internazionali. Quello che vogliamo dire a De Scalzi è che ‘chi rompe paga’. Mi riferisco ai danni che gli italiani hanno subito nelle Marche, in Lombardia e altre zone d’Italia per colpa della sua azienda. Venti miliardi sono pari a quanto chiediamo come fondo permanente per ripagare le persone comuni che subiscono danni per eventi estremi e si sentono abbandonate dallo Stato, che si può alimentare con gli extraprofitti di Eni e altre aziende. E soprattutto si può protestare, anche andando a riempire di vernice una sede di Eni, senza finire necessariamente in galera. E dobbiamo muoverci, perché la catastrofe climatica incombe”.

Gli utili da capogiro in barba a tutti gli obiettivi internazionali sul clima
La multinazionale del fossile da 2 anni continua a registrare dati record nei propri bilanci. Nel 2022 ha raddoppiato il valore degli utili, ben 20,4 miliardi, per oltre l’80% derivati dalla produzione di gas e petrolio. L’azienda continua a investire e guadagnare con combustibili fossili, alimentando la crisi climatica e tutte le conseguenze che danneggiano le persone e l’economia. Quest’anno Claudio Descalzi è stato riconfermato per la quarta volta AD, dopo aver accompagnato la premier Meloni a fare incetta di gas in Algeria in nome di un presunto “piano Mattei” e della sicurezza energetica nazionale; sicurezza energetica che diventa una scusa per continuare a investire nel fossile, il core business della partecipata di Stato. Il recente rapporto di Oil Change International
ha smascherato i veri obiettivi di Eni per il prossimo futuro, oltre al greenwashing da manuale praticato dalla multinazionale. I piani del “cane a sei zampe” sono incompatibili con tutte le raccomandazioni delle agenzie internazionali come IEA e IPCC per mantenerci nei limiti degli accordi di Parigi: l’incremento annuo nell’estrazione di petrolio e gas, nel 2023, passerà al 4% dal 3% del 2022, con un ulteriore aumento programmato al 2030. La partizione di capitale investito è chiara: nel 2022 è arrivata alla cifra di 8,2 mld di euro, di cui 6,4 mld sono finiti nel comparto di esplorazione e sfruttamento di combustibili fossili contro i 480 milioni destinati alla sigla “green” di Eni Plenitude. Questo significa che Eni investe circa 15 volte di più nei combustibili fossili rispetto alle rinnovabili. In assenza di un vero e proprio piano di transizione verso forme pulite di energia, il cane a sei zampe ha altri obiettivi, come quello di mantenere alte le sue emissioni climalteranti: 419 milioni di tonnellate nel 2022.

Il vento sta cambiando
Lo Stato della California ha avviato una causa contro Exxon, Shell, Chevron e altre multinazionali petrolifere, per oltre 50 anni di inganni, insabbiamenti e danni che sono costati miliardi di dollari in termini di impatto sulla salute e sull’ambiente. Si tratta della ennesima azione giudiziaria contro le Big Oil, la prima in assoluto avviata da un’autorità pubblica. Il moltiplicarsi di queste azioni legali potrebbe segnare per l’industria estrattiva l’avvio del declino nell’immagine pubblica, rendendo impossibile continuare a coprire i propri misfatti. Una parabola già vista con l’industria del tabacco, che dopo decenni di silenzi e coperture è oramai universalmente riconosciuta colpevole di aver causato danni immensi alla salute dei cittadini.
Le climate litigation sono arrivate anche in Italia, grazie Greenpeace e ReCommon hanno avviato a maggio contro ENI Giudizio una causa civile «per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole».
Ricordiamo che in Italia oltre cento avvocati hanno sottoscritto un appello Appello, No alla criminalizzazione degli ecoattivisti, per il riconoscimento delle legittime ragioni delle proteste, rigorosamente condotte con metodo nonviolento: «Le azioni (non violente) che essi compiono, proprio per la loro finalità, sono però imposte dalla necessità di salvare non solo se stessi, ma l’umanità così come la conosciamo dal pericolo di un danno grave ed irreversibile, tale da portare alla fine della civiltà, non avendo altro modo per tentare tale ultima difesa, e con azioni certamente non sproporzionate rispetto al pericolo che tutti vorrebbero fosse scongiurato», si legge nel testo. Anche le proteste dei semplici cittadini continuano a crescere e diventano inarrestabili: nei Paesi Bassi, da oltre due settimane, migliaia di persone Perché in Olanda da 15 giorni migliaia di persone bloccano l’autostrada bloccano ogni giorno l’autostrada A12, vicino l’Aia, per protestare contro il rinnovo e aumento del finanziamento pubblico alle fonti fossili, tradendo platealmente ogni promessa di rapida decarbonizzazione dell’economia. Nonostante le centinaia di arresti quotidiani, il flusso di persone che continuano ad alimentare la protesta non si arresta.



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