Un deserto chiamato pace?

Per fermare Putin bisogna sostenere, anche con le armi, la resistenza della democrazia ucraina. Tutto il resto è ponziopilatismo.

Paolo Flores d'Arcais

Quando i tank e i missili di Putin avranno fatto dell’Ucraina un deserto e lo chiameranno pace, in Europa verranno versate le consuete damigiane della retorica d’ordinanza: sull’eroismo dei combattenti di Kiev, Mariupol, Dnipro, sul cadavere della bambina morta stringendo la sua bambolina, sulle macerie della terra desolata dove prima erano città, sul destino di schiavitù di un intero Paese, sugli orrori della repressione che seguirà…

Retorica post facrum. Perché l’Europa potrebbe impedire tutto questo. Potrebbe. Ma si rifiuta di fare il necessario. Ha promesso delle armi, ed è qualcosa. Ma potrebbe, e dovrebbe, fare quanto l’ottusità di Biden ha rifiutato, malgrado l’accorata richiesta di Zelens’kyi, garantire il cielo ucraino come no fly zone, inviando i propri caccia a pattugliarlo.

L’ex generale Fabio Mini, sul Fatto, ha sostenuto che il tragico clou dell’aggressione putiniana verrà dal cielo. Restituire il cielo ucraino alla sovranità dei suoi cittadini è nelle possibilità delle forze armate dei Paesi europei. Senza di che il destino dell’Ucraina è segnato, potrà resistere giorni e giorni, ma da sola alla fine soccomberà alla cingolata volontà di potenza del nuovo zar.

Che non nasconde i suoi obiettivi. Anzi. «Non torno indietro, siamo un unico popolo, distruggeremo l’anti-Russia creata dall’Occidente» (sarebbe il 73% dei voti con cui fu eletto Zelens’kyi). Dall’Eliseo hanno sintetizzato la telefonata di Macron con Putin: «Il peggio deve ancora arrivare, vuole prendere tutto il Paese». Cancellare l’Ucraina come Paese indipendente, nulla di meno. L’Europa può accettarlo? Perché nulla di meno, ma anche molto di più. L’asservimento dell’Ucraina è solo il primo passo.

Nel suo allucinante ma lucidissimo discorso di guerra del 24 febbraio, Putin non ha citato la parola “Ucraina” per oltre la prima metà del tempo. Tutto dedicato a denunciare l’aggressione occidentale contro la Russia, contro cui perciò prenderà misure militari mai viste. Dopo l’Ucraina toccherà a tutti i Paesi in cui vi siano minoranze russofone (vale anche per loro il “siamo un unico popolo”, sottinteso “sotto uno stesso zar”), cominciando dalla Moldova e dalla Lettonia. Ma Putin ha già detto senza infingimenti che tutti i Paesi confinanti o prossimi al suo nuovo impero non potranno seguire la politica estera che vorranno, dovranno piegarsi alla sua (la chiama “neutralità”). Ha già ammonito pubblicamente Svezia e Finlandia, ci rendiamo conto?!

Se non viene fermato in Ucraina si sentirà incoraggiato a proseguire nella sua sbandierata volontà imperiale armata. Ecco perché se l’Europa non difende l’Ucraina rinuncia a difendere se stessa. Ecco perché dovrebbe fermare subito Putin nello spazio aereo ucraino mandando i propri caccia, o con altre modalità capaci di piegare il tiranno. Anche solo per egoismo: la sconfitta di Putin significherebbe centinaia di migliaia di profughi ucraini in meno (in maggioranza non vaccinati) che, oggi in fuga, sperano solo di tornare, da liberi, nelle proprie case.

Perché l’Italia ripudia la guerra, articolo 11 della Costituzione, ma «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», e qui non c’è nessuna controversia internazionale, ma solo lo smisurato esercito di Putin che vuole cancellare l’esistenza dell’Ucraina come Stato sovrano. Un’aggressione è abissalmente diversa da una controversia, lo sanno già i bambini e anche i sassi, dovrebbero saperlo gli adulti, senza bisogno di consultare un dizionario.

Oggi 5 marzo a Roma ci sarà una grande manifestazione per la pace. La pace, o un deserto chiamato pace? Spero che in piazza siano in tantissimi, con tante bandiere gialle e blu, come è stato a Berlino giorni fa. Dalla parte degli aggrediti, contro gli oppressori, dalla parte della giustizia, senza reticenze, ipocriti distinguo, contorsioni ideologiche (“Iustitia et pax” si chiama perfino il consiglio pontifico, non semplicemente “Pax”). Traendo le conseguenze di questa doverosa scelta. Fornendo agli ucraini quello di cui hanno bisogno: armi e protezione aerea compresi.

Perché ci saranno vincitori e vinti, o gli uni o gli altri, il resto è illusione. Putin ha dichiarato, credibilissimamente, che andrà fino in fondo. Per chi vuole la pace è davvero indifferente che l’Ucraina venga schiacciata o che Putin sia costretto a ritirarsi? E si può volere la pace, senza volere questo obiettivo? E si può volere questo obiettivo senza dare agli ucraini armi e protezione aerea? Zelens’kyi l’ha gridato sommessamente, solo l’Europa può fermare Putin.

Quando il governo americano, a partire dal 1° agosto 1964, iniziò i bombardamenti sul Vietnam, il movimento pacifista in Italia (spesso egemonizzato dal Pci) organizzò manifestazioni in cui la parola d’ordine era sempre il generico “Pace in Vietnam”. Ma noi giovani gridavamo invece, fino al 1975 quando i soldati americani si ritirarono, “armi al Vietnam” (del Nord, Giap-Giap-Ho-Chi-Min!) e “Vietcong vince perché spara”.

Che c’entra, dirà qualcuno convinto di essere a sinistra, magari a sinistra-sinistra: quella era un’aggressione imperialista! E quella di Putin cos’è? Con una cruciale differenza. Quello degli Stati Uniti era imperialismo, ma di una democrazia (sì, imperialismo e democrazia non si escludono, la prima democrazia, Atene, proprio questo era: una democrazia imperialista), quello di Putin è l’imperialismo di un’autocrazia.

Spero perciò che a San Giovanni saranno in tanti a gridare “Putin go home, armi alla democrazia ucraina”, altro che il vergognoso ponziopilatesco «le responsabilità di entrambe le parti, la Russia di Putin da un lato e la Nato dall’altro, sono chiare» della “Rete degli studenti medi” e dell’“Unione degli universitari”.

In questa guerra non c’è la Russia contro l’Ucraina. C’è la Russia di Putin, che non è la Russia. La sconfitta di Putin aiuterebbe a liberare la Russia che scende in piazza e sfida la galera, la Russia dei cinque bambini arrestati per i loro disegnini di solidarietà con i bambini ucraini, la Russia dei soldati nemmeno ventenni che, catturati, telefonano piangendo alle madri raccontando di essere stati chiamati per un’esercitazione e di essersi trovati oltre confine a sparare sui civili.

Nei minuti che impiegherai a leggere queste righe, amico lettore, altri ucraini saranno morti sotto il fuoco di Putin. Di ogni casa sventrata, di ogni scuola bruciata, di ogni civile ucciso, di ogni donna, di ogni bambino, del silenzio dei domani di mordacchia e sottomissione dei sopravvissuti, saremo colpevoli anche noi, amico lettore, personalmente, direttamente, uno per uno. Non allo stesso modo, ovviamente. In proporzione al potere politico, all’influenza mediatica, all’ascendente sui social, nel luogo di lavoro e di studio, nella cerchia di amici e conoscenti, che ciascuno di noi possiede. Che può essere anche modesto, piccolo, infimo, una piuma, ma non è mai nullo, e ci inchioderà moralmente.



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