Un laico (che nessuno vuole) al Quirinale

La laicità è un principio supremo del nostro ordinamento, eppure – da Belloni a Cartabia, da Riccardi a Casini – i candidati per il Quirinale sono connotati da storiche ortodossie di santa romana chiesa.

Adele Orioli

Secondo l’articolo 87 della Costituzione il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale; secondo ormai acclarata giurisprudenza sempre costituzionale, dopo gli accordi di Palazzo Madama del 1984, il cosiddetto nuovo concordato, la laicità è un principio supremo del nostro ordinamento atto a informare l’insieme dell’azione istituzionale. Peccato che il semplice e brevissimo trait d’union che dovrebbe quindi legare la rappresentanza e rappresentatività dell’unità nazionale alla esigenza che questa non sia confessionalmente connotata viene in questi giorni allungato a dismisura fino a scomparire del tutto, non solo dai profili dei potenziali candidati, di bandiera o meno che siano, ma persino dallo stesso dibattito della cosiddetta società civile.

Persino nell’afflato più o meno ipocrita che vede nei soli cromosomi la linea guida, i nomi che vengono alla ribalta sono stressantemente connotati da storiche ortodossie di santa romana chiesa. La semi outsider Belloni, compagna di liceo (gesuitico, ca va sans dire) dell’attuale presidente del consiglio dei ministri e già direttrice dell’unità di crisi della Farnesina sotto il anche qui laicissimo Frattini, e la già da mesi papabilissima Cartabia, ciellina di ferro che proprio al meeting di Comunione e Liberazione nel 2011 venne “arruolata” dall’allora Pdr Napolitano, passando poi per una breve presidenza della Corte costituzionale e approdando oggi al dicastero della Giustizia. Candidata che, nonostante o proprio per l’appartenenza di genere, è stata proposta con entusiasmo in prima votazione niente popò di meno che (anche) da Emma Bonino, forse dimentica o forse del tutto indifferente alle posizioni negli anni espresse dalla già giudice. Non ultimo, la difesa a modo suo della “laicità crocifissa” e quindi della coerenza con l’ordinamento dell’esposizione del simbolo religioso cattolico nei luoghi pubblici (la Cassazione, S.U. non sembra essere d’accordo con la Ministra. Spiace). Sul fronte maschile andiamo, fosse possibile, ancora peggio.

Candidato “vero” (non di bandiera, ha tuonato Letta) con estrema convinzione dal Pd e da Leu è Andrea Riccardi, compagno di liceo dell’arcivescovo Zuppi, già ministro del Governo Monti ma soprattutto fondatore della Comunità di Sant’Egidio, tanto per apportare una bella ventata di sussidiarietà orizzontale in salsa papalina alla nostra massima carica dello Stato.

E se questo è il fronte in teoria progressista non è certo da stupirsi che da destra si evochi il qui già nominato Franco Frattini, già socialista passato nelle fila berlusconiane e che tra le tante da Ministro degli esteri nel 2010 è riuscito a definire l’ateismo, il materialismo e il relativismo» come «fenomeni perversi», caratterizzati da «fanatismo e intolleranza», che «minacciano la società», e vanno pertanto combattuti con un’alleanza tra cristiani, musulmani ed ebrei. Con buona pace del principio supremo di cui sopra e di una nutrita manciata di articoli della nostra Carta fondamentale. Ottime referenze, per rappresentare l’unità nazionale. D’altronde l’unico altro nome che per ora parrebbe riscuotere consensi più o meno aggregati è quello di Pierferdinando Casini. Che, in effetti, è sicuramente collezionista di un tal numero di casacche da poter agevolmente riassumere almeno i tre quarti dell’emiciclo parlamentare. Collezionista anche di mogli e compagne e conviventi, ma in prima fila al Family Day per la difesa della unica e rigorosa famiglia tradizionale.

Perché, al di là del toto nomi le cui fila si dipaneranno nelle prossime ore o giorni, il silenzio assordante è proprio sul concetto poi invece con leggerezza populista sbandierato a fini elettorali dell’unità. Unità da intendere come sintesi, non solo come somma o peggio ancora come scala gerarchica, dei valori, delle istanze, dei diritti. E anche al di fuori delle definizioni dottrinali, l’Italia non è un paese di soli cattolici, anzi, e anche la supposta maggioranza confessionale gode di margini numerici sempre più risicati. L’Italia non ha una religione di Stato, i soli non credenti sono più di dieci milioni, eppure si stava meglio quando la scelta del Capo dello Stato oscillava tra un democristiano di destra e un democristiano di sinistra. Sarà che da questa dicotomia uscirono pur sempre un Saragat e un Pertini.

Nel 2022 invece l’essere partigiani “in senso buono” ha perso il senso gramsciano della lotta all’ignavia mentre viene inteso con il rappresentare meglio una sola parte della nostra società. Quella poi, guarda caso, che vorrebbe imporre anche all’altra la propria individuale e personalissima, non certo istituzionale, visione cosmogonica. L’essere portatore di una visione e soprattutto di una pratica politica laica, lungi dall’essere come dovrebbe il requisito minimo per poter rappresentare e sintetizzare le differenze della nostra società pluralista, non viene nemmeno considerato come possibile argomento di discussione. E da queste premesse giustificata è la paura di un futuro Presidente non di e per tutti, ma solo per qualcuno più uguale di altri.

 

(credit foto ANSA/FABIO CIMAGLIA)



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