“Un messaggio in bottiglia”. Prefazione al nuovo libro di Yann Diener

Sarà in libreria il 20 ottobre, in traduzione italiana per le Edizioni ETS, il libro di Yann Diener dal titolo “LQI. La nostra lingua quotidiana informatizzata”. Micromega propone una nota aggiunta al libro di Diener da Nunzio La Fauci e Francesco Paolo Alexandre Madonia, curatori dell’edizione italiana.

Nunzio La Fauci e Francesco Paolo Alexandre Madonia

Sarà in libreria il 20 ottobre, in traduzione italiana per le Edizioni ETS, il libro di Yann Diener dal titolo LQI. La nostra lingua quotidiana informatizzata. Diener, psicoanalista, vive e lavora a Parigi e collabora con Charlie Hebdo, il settimanale satirico d’Oltralpe impegnato in una strenua e a tratti lacerante difesa della libertà di espressione.
LQI nasce da una serie di osservazioni sulla lingua, come fosse un diario. Diener le ha annotate per farsi un’idea di cosa sta succedendo all’espressione umana in un’epoca in cui l’informatica ha ingigantito oltre ogni limite il feticcio ideologico della comunicazione e ne ha al tempo stesso incanalato (o incatenato?) tecnologicamente le procedure.
Per gentile concessione della casa editrice, Micromega propone qui la breve nota aggiunta al libro di Diener da Nunzio La Fauci e Francesco Paolo Alexandre Madonia, curatori dell’edizione italiana.

Un messaggio in bottiglia
A qualificare il libro dello psicoanalista Yann Diener che qui si legge in traduzione italiana è la dichiarazione che l’autore vi ha posto in apertura: “Ho tenuto questo diario agli inizi degli anni Venti del ventunesimo secolo, quando si poteva ancora fare la differenza tra parola e comunicazione. Ma, in molte situazioni, già non vi si vedeva più chiaro”.
LQI è stato pubblicato in Francia nella primavera del 2022 ed è passato poco più di un anno quando questa traduzione compare. 2022 e 2023 sono ancora gli inizi degli anni Venti di questo secolo. Sono appunto gli anni che vive chi legge queste righe mentre le legge. Si presume non gli o non le manchi diretta esperienza dello stato incerto in cui ci si trova, quanto al rapporto tra “parola” e “comunicazione”, per dirla con Diener. Se costui o costei fosse il (solo) bersaglio dell’avvertenza, essa sarebbe sospetta di ridondanza, quasi un vezzo esornativo, una civetteria (la si negherà a un intellettuale parigino?).
Qui si inclina tuttavia a una lettura diversa: la si considera perturbante. E si ritiene che quelle parole poste in apertura, procurino appunto una chiave, se non la chiave per intendere lo spirito di questo diario. Un diario scritto oggi e qui, ma da e per un non-oggi e per un non-qui.

E dunque, a chi parlano e fanno al tempo stesso sembiante di parlare l’avvertenza e il suo séguito? Chi sono i destinatari e le destinatarie ideali di questo libro, si badi bene, ivi includendo i e le reali?
Con ironica ambizione sono coloro per i e per le quali questi anni presenti, gli anni Venti del secolo corrente, sono distanti. Distanti cronologicamente nel momento in cui leggeranno questo scritto (e sta qui l’ambizione di Diener), tanto da rendere al loro riguardo preziosa una testimonianza, quasi fosse un accidentale reperto; o distanti spiritualmente (e sta qui la sua ironia), a tal punto che per essi ed esse le riflessioni di Diener finiscono per far apparire l’implicita extimità al tempo loro coevo, l’ostentata miopia con cui aggrottati lo osservano, fino a farne uno stucchevole estraneo.
Insomma, sono lettori e lettrici resi vigili per via di un avvertito straniamento. Oltre che da un vivo interesse per l’espressione degli esseri umani: interesse singolare a prescindere dal tempo in cui si manifesta (è il nocciolo pancronico della curiosità linguistica, di cui disse appunto Ferdinand de Saussure: non c’è epoca, non c’è vicenda in riferimento alle quali esso non si accenda).
La forma in cui tale interesse qui si realizza, quella di un diario, è propizia a formare un’emulsione stabile di dolore e letizia, venendo così a situarsi nel solco della migliore tradizione letteraria francese, che del journal, la forma diaristica, vera o di finzione, ha fatto uno dei generi più praticati per via della sua intrinseca duttilità. Si parva licet…Hugo, Stendhal, Maupassant, Barbey d’Aurevilly i fratelli Goncourt, Gide, Ionesco, Bernanos, Cocteau, Mauriac, solo per dare vita a una lista che si farebbe presto a rendere vertiginosa. Più notevolmente, tale interesse è supposto qui germogliare in lettori e lettrici che si trovino nella condizione di coltivarlo attraverso il diario di un martirio.

Presa dal greco antico, è questa la parola adatta a dire appunto ‘testimonianza’. E testimonianze si propongono di essere e sono i capitoli del diario di Yann Diener: dodici stazioni di una modesta e quotidiana Via Crucis dell’espressione, prospettata da una specola psicoanalitica nel compiuto momento del dilagare della comunicazione.
A differenza della grande testimonianza cui si può dire usurpi il modello del titolo (LTI. Lingua Tertii Imperii del filologo tedesco Viktor Klemperer), esso non guarda e riguarda il passato, la storia e un episodio, all’epoca fresco e apocalittico che il filologo ritenne (ora lo si sa e lo si può dire, sbagliandosi) delimitato e conchiuso.
LQI dice invece del tran-tran del presente e di un prospettato futuro. Dice di una apocalissi permanente, proprio in quanto talvolta dolcemente, talaltra amaramente imperfettiva.
Del resto, maturando fino a farsi putrefatta, la modernità ha perfezionato pratiche totalitarie che, una volta camuffata a dovere la loro truculenza, sono divenute pacificamente più che consuete. Esse tessono da tempo e sempre più ogni aspetto la vita associata.

Lo profetizzò Primo Levi e lo osservò Zygmunt Bauman, a differenza di Klemperer, in cui prevalse comprensibilmente il naturale sollievo dell’impressione di uno scampato pericolo personale, prima che sociale. Né manca chi ancora oggi prova a descrivere il lineare sviluppo storico e ideologico di tali pratiche: recente esempio, nel panorama culturale d’Oltralpe, è in proposito Johann Chapoutot.
Con LTI, LQI condivide d’altra parte quella sorta di ingenuità linguistica che, scansando la pedanteria, ne determina l’istintiva simpatia.
È la simpatia che ispira un messaggio in bottiglia. Nel presente oceano della comunicazione, Diener, naufrago consapevole, lo ha affidato, si direbbe con urgenza, alle onde dell’oceano medesimo. Bel paradosso. E lo ha messo lì a galleggiare perché l’accidente delle correnti lo porti, non si sa quando, non si sa come, non si sa dove, sotto gli occhi di chi fosse sopravvissuto o sopravvissuta ad altri naufragi.
Solo il caso (e questa ripresa in italiano del diario di Diener ne è una puntuale  manifestazione) porterà il messaggio a un eventuale buon esito. Lo sottrarrà al caos della comunicazione e di ciò che, a forza di essere ideologicamente spacciato come necessario alla vita sociale, lo è divenuto. E incessantemente trasforma la naturale conformità della lingua in tragicomico conformismo.



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