Boris Plazzi: “Un Primo maggio storico per la Francia e per i movimenti sindacali di tutta Europa”.

"Grazie a un’alleanza inedita di otto sindacati e all’impatto a livello globale ci sarà una manifestazione di dimensioni internazionali per mostrare quello che è il vero carattere internazionalista del Primo maggio".

Marco Cesario

Boris Plazzi, segretario confederale della CGT parla del momento storico che vive il sindacato in Francia e di un Primo maggio che probabilmente resterà negli annali.

Storicamente parlando, è qualcosa di molto forte ed unico per la Francia del dopoguerra un’alleanza di ben otto sindacati per contrastare una riforma delle pensioni.
È giusto sottolinearlo. È da molto tempo che tutti i sindacati in Francia non agiscono all’unisono, nello stesso momento e sulla stessa richiesta. E questo avviene durante un periodo di immobilismo che, per il momento, dura da più di tre mesi. Si tratta quindi di un fatto davvero eccezionale, se pensiamo che in Francia le organizzazioni sindacali sono spesso divise da molto tempo, anche su grandi argomenti, grandi temi e grandi situazioni particolari. Siamo davvero molto soddisfatti di quest’alleanza di tutti gli organismi sindacali, ma anche delle organizzazioni giovanili, degli studenti delle scuole superiori, di tutti gli studenti che sono anche molto mobilitati con i lavoratori.

Con i gilet gialli si pensava che l’epoca dei sindacati fosse giunta oramai al termine ma abbiamo constatato come quest’ultimi siano ancora capaci di mobilitare circa 3,5 milioni di persone a più riprese. Crede che ciò possa ancora influire sulla situazione istituzionale francese?
Sì, possiamo davvero cambiare la situazione. La particolarità della situazione francese è che le organizzazioni sindacali non sono state ascoltate nel quadro del processo relativo alle pensioni. Cioè tutti hanno fatto proposte alternative. Tutti hanno avanzato proposte sul tema della riforma delle pensioni e, soprattutto, hanno detto fin dall’inizio di essere contrari al prolungamento della vita professionale. Noi tutti eravamo contrari ai 43 anni di contributi ed eravamo nondimeno favorevoli a migliorare il sistema pensionistico. L’alleanza di sindacati è stata in grado di fare tutte queste proposte, anche prima di entrare nella mobilitazione. E avevamo avvertito il governo, avevamo avvertito Elisabeth Borne, la prima ministra, ma anche il Presidente della Repubblica, che un passaggio forzato di questo tipo avrebbe esacerbato la situazione sociale nel paese, già molto tesa. La situazione sociale in Francia si sta chiaramente deteriorando da diversi mesi, se non addirittura da diversi anni. La crisi dei Gilets gialli ne è un esempio. All’epoca il governo non voleva discutere con i sindacati. Macron aveva già detto di voler rivolgersi direttamente alla popolazione, direttamente alla società civile. E noi, già all’epoca, avevamo detto: “Ci sono degli intermediari, ci sono le organizzazioni sindacali che rappresentano i lavoratori. Quindi ascoltateci, lavorate con noi”. Non hanno mai voluto farlo. Ora stanno pagando per le loro politiche antisociali. E soprattutto si rendono conto che, contrariamente a quanto dicevano, il sindacato non è di un’epoca passata, si sono resi conto con le mobilitazioni, con i 3,5 milioni di persone in piazza qualche settimana fa, che in Francia si può ancora contare sui sindacati perché sono un corpo sociale organizzato, strutturato, capace di mobilitarsi come abbiamo fatto noi.

Di fronte alla potente mobilitazione il governo fa orecchie da mercante e prosegue dritto per la sua strada.  L’impressione è che ci sia una sorta di deriva autocratica del potere che non ascolta più il popolo.
È esattamente così. In Francia c’è una crisi democratica, una crisi istituzionale. È emersa nelle ultime elezioni, sia presidenziali che legislative. Innanzitutto, c’è un tasso di astensione molto alto, sempre più alto qualunque siano le elezioni, sia nazionali che locali. Una gran parte della popolazione oramai non va più a votare. Questo è molto preoccupante. Abbiamo anche una crisi democratica caratterizzata dall’ascesa dell’estrema destra nel paese che per ben due volte ha partecipato al secondo turno delle elezioni presidenziali. Nelle ultime elezioni presidenziali, Macron ha ottenuto un pessimo risultato al primo turno ed è stato eletto al secondo turno soltanto perché i cittadini hanno deciso di votare in maggioranza contro il Rassemblement National. Quindi c’è una crisi di democrazia, una crisi che è anche una crisi di forze politiche e delle istituzioni. Quando non ascoltiamo più, quando non ci consultiamo più, quando non votiamo più in Parlamento e quando usiamo articoli come il 49.3 per forzare il passaggio di una riforma, è evidente e lampante che siamo di fronte ad una crisi delle istituzioni ed è terribile che ci affidiamo al Consiglio costituzionale per convalidare una legge che è stata rifiutata dall’80% della popolazione. Un Consiglio costituzionale composto per lo più da personaggi lontani dal mondo del lavoro, liberali e di destra. Siamo quindi davvero in una sorta di deriva democratica. Questo ci preoccupa molto perché non è l’idea che abbiamo della Francia. Abbiamo molti contatti con le nostre controparti negli altri Paesi europei, i tedeschi, gli italiani. Anche se in Italia, ad esempio, la situazione è tutt’altro che facile, con l’estrema destra che tiene stretto il paese da quando è stata eletta Giorgia Meloni. Quando parliamo con gli spagnoli, con i belgi, i nostri compagni europei non capiscono cosa sta succedendo. La maggior parte di loro dice: “Ma con un tale livello di rifiuto, con un tale livello di mobilitazione, come mai il vostro presidente e il vostro governo non tornano al tavolo dei negoziati e delle discussioni? Nei nostri paesi sarebbe impensabile. Ecco quindi che ci troviamo in una situazione un po’ eccezionale e molto preoccupante.

Il Primo Maggio sarà probabilmente un primo spartiacque per questa mobilitazione contro la riforma delle pensioni?
Assolutamente si. Il Primo maggio sarà un momento topico della nostra mobilitazione. Anche in questo caso, ciò che è eccezionale è che tutti i sindacati, e questa è la prima volta che accade da molto tempo a questa parte, stanno chiamando a manifestare. Il Primo maggio ci saranno 300 cortei in tutto il Paese e, in particolare, una grande manifestazione a Parigi, alla quale si uniranno diverse decine, addirittura diverse centinaia di delegazioni internazionali. Ci saranno compagni dalla Spagna, dall’Italia, dal Belgio, dal Lussemburgo. Ci saranno compagni dal Brasile, dall’India, dall’Africa. Ci sarà una grande dimensione internazionale per mostrare il carattere internazionalista del Primo maggio. Sarà un grande momento per i lavoratori, per i sindacati. A seconda del successo poi valuteremo insieme il seguito. Vedremo cioè se continuare il movimento, se continuare in altre forme, se continuare a chiedere giornate di azione. Sappiamo che è sempre più difficile mobilitare i lavoratori. Da quattro mesi a questa parte, milioni di lavoratori perdono il salario ogni due mesi. Valuteremo come continuare, in ogni caso, a fare pressione sul governo e sul management delle aziende, perché anche loro hanno un ruolo da svolgere. In ogni caso, per noi della CGT, la questione delle pensioni è ancora attuale. Non vogliamo voltare pagina e in ogni caso continueremo, in un modo o nell’altro, a fare pressione sul governo.

 

Foto Flickr | International Trade Union Confederation ITUC



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