Un ricordo del filosofo Gianni Vattimo

Breve storia della sua vita, a partire dall'ultimo intervento pubblico al Circolo dei lettori di Torino nel febbraio 2023.

Rossella Guadagnini

La sera del 2 febbraio scorso il pubblico era quello delle grandi occasioni: il Circolo dei lettori di Torino, in via Bogino 9, aveva fatto registrare il tutto esaurito. Erano accorsi numerosi per assistere alla presentazione del più recente volume di Gianni Vattimo, gli Scritti filosofici e politici. Un percorso di idee e riflessioni, edito da La Nave di Teseo, che prometteva interventi di Gaetano Chiurazzi, Sergio Givone, Antonio Gnoli e Leonardo Messinese. Un evento curato dal Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson, introdotto da Graziano Lingua e presieduto da Maurizio Pagano. Ma erano corsi anche per vedere lui, il filosofo “del pensiero debole”, com’era chiamato, una leggenda. Venne camminando piano, accompagnato dal suo assistente e compagno degli ultimi 13 anni, il brasiliano Simone Caminada. Ma non parlò, non disse nulla quella sera nell’elegante sala dell’incontro. È morto ieri (19 settembre 2023) a 87 anni e in molti nel mondo filosofico e culturale ora lo piangono e lo ricordano.
A quelli che lo conoscevano è rimasto tuttavia se non il suono della sua voce – che negli ultimi anni era diventata sottile e sempre più incerta fino al silenzio – questo importante volume: raccoglie, per la prima volta – come spiegarono allora i relatori – gli scritti filosofici e politici di Vattimo “ripercorrendo la traiettoria delle sue idee: dalle riflessioni sui grandi maestri del Novecento alle nuove prospettive dell’ermeneutica filosofica e del pensiero debole”. La vocazione filosofica di Vattimo trova infatti la sua radice in un’educazione religiosa, sensibile agli aspetti sociali e politici, in un contesto storico culturale, a metà degli anni ’50 del secolo scorso, contrassegnato dall’individualismo liberale e dal collettivismo marxista.
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Iscritto alla facoltà di Filosofia dell’Università di Torino, Vattimo sotto la guida di Luigi Pareyson – di cui fu allievo insieme a Umberto Eco e a Mario Perniola (entrambi scomparsi) – si pone l’obiettivo di “contribuire alla formazione di un nuovo umanesimo cristiano”. Il suo percorso di ricerca, dopo Maritain e Mounier e la Scuola di Francoforte, approda a Heidelberg, accanto a Hans Georg Gadamer, per una piena immersione nel nichilismo di Nietzsche e nell’esistenzialismo di Heidegger. Due antimoderni e anticristiani che lo riconducono paradossalmente “alla fede cristiana o a qualcosa che le assomiglia molto” a una fede, più propriamente, “secolarizzata”, che si identifica con il principio della ‘caritas’.
Gadamer – come già Pareyson – indurrà successivamente Vattimo ad approfondire il suo interesse per l’ermeneutica, un approccio interpretativo universale da applicare anche in campo politico. Dal canto suo, egli darà risonanza al maestro e alla disciplina anche nel nostro Paese, con la traduzione di Verità e metodo (1972), ormai un classico. Delle decine di sue pubblicazioni, quella che ha destato più scalpore e ha dato a Vattimo una vasta riconoscibilità internazionale è stato il volume collettaneo, curato con Pier Aldo Rovatti, Il pensiero debole (1983), testo di riferimento del postmodernismo, la cui prima matrice è da ascriversi a Essere e tempo di Heidegger. Eventi biografici noti sono anche la sua collaborazione con la Rai e gli anni della militanza politica che caratterizzò altrimenti il suo percorso di vita, sempre intenso, vissuto all’insegna della partecipazione civile e della riflessione intellettuale.

CREDITI FOTO Flickr | Ministerio de Cultura de la Nación



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