Un ricordo di Giuliano Montaldo riproponendo il suo ultimo film, “L’industriale”

Una persona speciale ci ha lasciati. Vogliamo ricordarlo con “L’industriale”, un film che accendeva i riflettori sul mondo plumbeo degli affaristi e delle lobby finanziarie, che fagocita e conforma.

Maria Mantello

Una persona speciale. Questo era Giuliano Montaldo, che univa sensibilità e gentilezza alla determinatezza nel denunciare l’arroganza del potere con straordinari film come Sacco e Vanzetti, Giordano Bruno, L’Agnese va a morire
Continuando a confermarsi sempre maestro di impegno civile e di denuncia sociale, ma anche di quella penetrante capacità di analisi della psiche umana che ha caratterizzato I demoni di san Pietroburgo, le cui dostoevskijane magmatiche dicotomie continuano a irrompere ne L’industriale, il suo ultimo film (2011) che accendeva i riflettori sul mondo plumbeo degli affaristi e delle lobby finanziarie, che fagocita e conforma. Un film che allora passò quasi nell’ombra, ma che ancora oggi potrebbe farci riflettere su quell’universo impietoso dell’alta finanza dove l’accumulo del denaro è la legge del potere, che segna il discrimine tra chi sta sopra e chi sta sotto, tra chi domina e chi è dominato.
Tutto si svolge a Torino, città storica della produzione industriale italiana. Una Torino che la macchina da presa fissa in bianco e nero tra qualche timido sprazzo di colore. Una Torino dove i luoghi della ricchezza contrastano con le fabbriche abbandonate e le periferie urbane sempre più estreme, abitate da reietti e lavoratori immigrati.
I palazzi del potere, le abitazioni, le macchine di lusso … fanno parte del mondo dell’industriale Nicola Ranieri (Pierfrancesco Favino) e di sua moglie Laura (Carolina Crescentini), affermata architetta. A questa Torino bene i due appartengono per nascita (Nicola ha ereditato la fabbrica dal padre; Laura è figlia di grandi produttori di vino). Permeati dall’agiatezza, la crisi li coglie di soppiatto, facendo esplodere contraddizioni e malesseri che arrivano a minare il loro stesso rapporto di coppia.
Tutto fluisce come lo scorrere livido del Po, sulle cui sponde il protagonista sull’orlo del default spesso si reca per prendere forza da quel capannone, primo nucleo – mai ristrutturato ed è un suo cruccio – delle Officine Meccaniche Ranieri, fondate dal padre, immigrato dal meridione d’Italia, che col lavoro si è fatto strada fondando con i suoi operai l’azienda di famiglia.

Ma i tempi della promozione e dell’emancipazione col lavoro e nel lavoro sono ormai lontani. E i fotogrammi delle manifestazioni (reali) della Fiom nell’era di Marchionne stanno lì a dimostrare la dolorosa cesura.
Nicola ha fatto della fabbrica paterna un’azienda solida, con una sede prestigiosa. Un’impresa industriale con settanta operai, alcuni dei quali lo hanno conosciuto quando era ancora un ragazzo con i calzoni corti, come ricorda il saggio operaio Saverio (Giovanni Bisacca).
Ma nell’era delle multinazionali, anche la fabbrica di Nicola è destinata a scomparire, come tante altre piccole e medie imprese che la crisi travolge.
Nicola resiste e gli operai, che per lui non sono numeri, gli danno fiducia.  Anche se avvertono la fine, perché, come dice Saverio: «Il mondo ci sta crollando addosso».
Ma Nicola resiste: Non vuole andare a casa! Non vuole mandarli a casa! E così cerca tutte le strade legali per pagare gli stipendi e per sperimentare nuovi pannelli fotovoltaici. La sua non è un’industria parassitaria. Ha fatto sempre ricerca e profitto. Ma ha i magazzini pieni e non vende. Ma alla banca fiduciaria non importa degli impegni sempre onorati dalla ditta in precedenza. Resterebbero le società finanziarie che nella crisi sono cresciute come avvoltoi e che il prestito glielo darebbero pure, ma in cambio vogliono la maggioranza delle azioni. Il suo stesso avvocato (Francesco Scianna) organico al sistema di mercimonio, e che insidia (rifiutato) Laura, preme perché Nicola accetti.
L’incancrenita legge del denaro non prevede l’umanità dei sentimenti. Il mondo del profitto include fin tanto funzionano le carte di credito, ma esclude e accusa di incapacità personale chi dalle reti delle cricche sta fuori. Ma Nicola resiste. Le scene delle sue nuotate solitarie dalle violente bracciate agonistiche in piscina sono la sua lotta contro tutti.
Studia soluzioni, cerca di vendere ad un’impresa tedesca, improntando anche una videoconferenza con gli amici ristoratori cinesi nella veste di imprenditori disposti ad acquistare quote di minoranza delle Officine Meccaniche Ranieri.
Ma la crisi di Nicola intanto si è complicata. Quella lavorativa evidenzia la ben più profonda crisi del suo rapporto di coppia. Forse fino allora tacitata nel benessere di un mondo borghese dove l’affettività troppo spesso scivola sull’impermeabilità di una quotidianità che il bene-stare scambia con il bene-avere, facendo perdere di vista la gioia di ascoltarsi e parlarsi.
Una gioia semplice che nel film ha un unico adepto, il garagista rumeno Gabriel (Eduard Gabia), che Nicola crede l’amante della moglie.
Il mondo ipocrita della sopraffazione e dei rapporti di forza ha comunque avvelenato l’industriale dal volto umano, e proprio quando crede di aver salvato la sua azienda e il suo matrimonio, applica col “rumeno” la legge malata che ben conosce. Tutto si compra. 40 mila euro in pezzi da 50, offerti perché ritorni nella sua terra. Ma il giovane non accetta. E l’epilogo della storia è tanto sorprendente e inaspettato. Quanto drammatico. L’industriale si trasforma in assassino…
Tutto è perduto e i tremendi effetti si stagliano nell’ultimo fotogramma che mostra il volto del bravissimo Piefrancesco Favino con gli occhi colmi di pianto: presa di coscienza e assunzione di responsabilità.
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CREDITI FOTO Wikipedia | SinixLab Collage con il volto di Montaldo e la locandina del film L’industriale



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