Un sinodo deludente: nessuna riforma per il cattolicesimo

Il sinodo ha rigorosamente evitato di affrontare le questioni legate all’omosessualità e alle richieste della comunità di credenti LGBT, escluso ogni modifica del celibato obbligatorio del clero, negato con decisione l’accesso al sacerdozio per le donne e messo in naftalina, cioè rinviato sine die, il tema del diaconato femminile. Dal punto di vista dell’azione riformatrice il risultato è quindi l’ennesimo pugno di mosche.

Marco Marzano

Il sinodo dei vescovi cattolici, annunciato da molti come un evento di portata epocale in grado di mutare il corso della storia del cattolicesimo, si è concluso, per usare una metafora calcistica, con un pareggio a reti bianche e di fatto senza tiri in porta. Quello che era stato descritto, con occhi colmi di desiderio o di terrore a seconda degli schieramenti, come il match del secolo sulla futura struttura dell’istituzione, tra progressisti e conservatori, si è rivelata una partita molto noiosa, che peraltro si è giocata a porte chiuse. Il risultato si è infatti, per volontà del pontefice, conosciuto solo al termine ed è stato talmente poco significativo che molti giornali italiani non si sono nemmeno sentiti in dovere di riferirlo ai propri lettori. In definitiva, la novità principale è consistita nell’ingresso, tra i quasi quattrocento votanti, di una cinquantina di donne. Una quota innocua da “riserva indiana” che ha reso, se possibile, ancora più evidente e clamorosa la misura dell’emarginazione patita da coloro (le donne) che in misura maggiore animano la vita del cattolicesimo.
Per il resto, il sinodo ha rigorosamente evitato di affrontare le questioni legate all’omosessualità e alle richieste della comunità di credenti LGBT, escluso ogni modifica del celibato obbligatorio del clero, negato con decisione l’accesso al sacerdozio per le donne e messo in naftalina, cioè rinviato sine die, il tema del diaconato femminile. Dal punto di vista dell’azione riformatrice il risultato è quindi l’ennesimo pugno di mosche, il nulla totale.

Il dato più interessante riguarda la conferma della principale innovazione procedurale apportata da papa Francesco nella vita della Chiesa: il cosiddetto metodo sinodale. Da Paolo VI che l’ha introdotto sino all’avvento del papa argentino i sinodi dei vescovi erano sostanzialmente dei momenti rituali celebrativi di decisioni prese altrove, e cioè nelle stanze del monarca. Papa Bergoglio li ha trasformati in autentiche arene, dove destra e sinistra cattoliche possono, almeno in apparenza, discutere liberamente e menare fendenti l’una contro l’altra, cercando di prevalere e di imporre la propria visione del futuro dell’istituzione.
Parrebbe così di trovarsi di fronte a un riconoscimento del pluralismo interno all’istituzione, quasi a un accenno di democrazia. Si tratta però di un’impressione sbagliata, in ragione di due elementi. Il primo è che l’assemblea autorizzata a discutere è formata in dosi massicce e schiaccianti da gerarchi, vescovi e cardinali, le cui sorti dipendono direttamente dal pontefice romano e che per giunta raramente esibiscono un atteggiamento rivoluzionario o anche solo favorevole alle innovazioni. Il secondo elemento è rappresentato dal fatto che, anche se, scenario impossibile, il Sinodo cadesse in mano di un manipolo di super riformatori decisi a sbarazzarsi di una parte consistente della tradizione, il progetto non potrebbe inverarsi perché questo organismo ha un potere solo consultivo e non deliberativo. A decidere rimane il monarca e solo lui. Quando i sinodi, come è avvenuto in Amazzonia a proposito dell’ordinazione di uomini sposati, gli pongono richieste che lui ritiene di non dover esaudire, il papa dice no e la questione si chiude lì. La forma di governo della Chiesa non è cambiata.

Concludendo: queste assemblee sono, da un lato, composte non da elettori liberi, ma da funzionari di alto rango poco interessati a mettere in questione quello che vuole il capo supremo e generalmente pronti invece ad assecondare i suoi indirizzi (che quindi si trasformano, al pari di quel che avveniva con Giovanni Paolo e Benedetto, nella “linea” del Sinodo), dall’altro, organi meramente consultivi che forniscono alla pubblica opinione interessata l’impressione di una autentica e libera tenzone politica e culturale in virtù della quale rimane sempre aperto per i riformatori uno spiraglio di speranza, quella che un giorno (in un futuro lontano e indefinito nel quale saremo certamente tutti morti) la Chiesa Cattolica potrà (forse) cambiare alcune delle sue norme. Per chi vi crede può essere una ragione sufficiente per non deporre le armi.

FOTO: Papa Francesco durante la Santa Messa con i nuovi Cardinali e il Collegio Cardinalizio e apertura dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 4 ottobre 2023. ANSA/ VATICAN MEDIA



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