Un voto contro l’agenda Draghi

Una prima analisi del voto: il crollo di Salvini, la scomparsa di Di Maio, il flop di Letta e dell'agenda Draghi. Resiste solo Conte. Così Giorgia Meloni ha vinto senza faticare.

Daniele Nalbone

Governare logora. E può distruggere un progetto politico o un leader. Governare col “nemico”, poi, e sedersi allo stesso tavolo per partorire “leggi ibrido” della peggior destra nel disperato tentativo di inserire un po’ di stato sociale, è un chiaro suicidio. Questo è quanto è accaduto a Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il 2018, gli incontri al Pirellone per la nascita del governo, i volti sorridenti partorendo decreti sicurezza e reddito di cittadinanza, sono un lontano ricordo. La Lega da primo partito d’Italia, in tre anni, si è ritrovata a portare acqua al mulino di Giorgia Meloni, che si è presa il centrodestra relegando Matteo Salvini al ruolo di comprimario.

Governare logora. Sostenere allo stremo un governo come quello di Mario Draghi non ha nulla di “centrosinistra”, e gli elettori di centrosinistra hanno mandato un chiaro segnale a Enrico Letta, al Partito democratico e, in generale, all’agenda Draghi. Agenda che ha dato il colpo mortale proprio a Matteo Salvini.

La lezione che emerge da queste elezioni è che una buona tattica politica si può però ancora fare, e la prova ne è Giuseppe Conte che, pur governando l’Italia con Salvini e Di Maio al suo fianco e poi sostenendo la nascita del governo Draghi, ha mostrato che sfilarsi al momento giusto e posizionarsi fuori da qualsiasi – apparente – tentativo di costruzione di una larga intesa può ridarti quello che proprio il governo (o i governi, nel suo caso) ha rischiato di toglierti.

Guardando alla vincitrice, con il flop di Salvini, Giorgia Meloni potrebbe avere in casa l’unico problema per potersi sedere comodamente alla guida del governo più a destra della Repubblica italiana. Perché un conto è essere alla guida di una coalizione fatta di partiti in ascesa o comunque solidi, un conto avere nella propria squadra un leader che dovrà confrontarsi con i propri avversari interni al partito: per Matteo Salvini si apre il momento della resa dei conti, colpevole agli occhi della base di aver distrutto quanto creato prima governando con il Movimento 5 stelle e poi sostenendo la nascita del governo Draghi. Per Silvio Berlusconi il solo fatto di essere ai livelli della Lega può essere considerato un successo, come in fondo lo stesso ex premier aveva posto come obiettivo al momento di entrare, domenica, nel seggio. Ed essere lì significa poter condizionare le sorti della coalizione di governo, soprattutto – nei prossimi mesi – in caso di un Salvini costretto al passo indietro dalle opposizioni interne al Carroccio.

Credit foto: Conte: Governo, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons; Meloni: Vox España, CC0, via Wikimedia Commons



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