Ungheria, la crociata anti Lgbtq del governo Orbán

Approvata dal Parlamento una legge per contrastare l’incoraggiamento dell’omosessualità. Per Amnesty International la misura è un duro colpo per la comunità Lgbtq.

Massimo Congiu

Il governo ungherese di Viktor Orbán continua a essere protagonista di iniziative che ledono precisi diritti civili. L’ultima in senso cronologico ma purtroppo, con tutta probabilità, non destinata a restare tale, è quella della legge che si prefigge lo scopo di contrastare l’incoraggiamento dell’omosessualità soprattutto fra i giovani. Una legge approvata di recente dal Parlamento ungherese egemonizzato dal partito governativo Fidesz e tale, secondo Amnesty International e diverse altre organizzazioni operanti sul fronte dei diritti civili, da costituire un duro colpo per la comunità Lgbtq.

Questa disposizione vieta, tra le altre cose, di affrontare l’argomento dell’omosessualità nelle scuole dove, peraltro, si evitano preferibilmente temi sociali e qualsiasi sforzo cognitivo che esuli dai programmi didattici ministeriali perché, secondo una certa logica dominante, i ragazzi non devono essere distolti dallo studio. Essa proibisce, inoltre, la fruizione, da parte dei minori, di contenuti aventi per oggetto il tema dell’omosessualità in quanto i giovani, sotto una certa età, possono fraintendere e subire scombussolamenti psicologici che metterebbero a rischio la loro identità di genere.

Per il governo ungherese ogni testo che affronti questo argomento in modo permissivo è pericoloso per i minori e per la loro integrità psicologica e morale, e quindi va bandito. Stesso discorso per film e rappresentazioni teatrali che a giudizio dell’esecutivo incoraggiano tendenze “sbagliate”. La legge prevede anche sanzioni pesanti per chiunque si renda responsabile di atti di pedofilia, stabilendo così una sorta di coabitazione odiosa tra due aspetti, l’omosessualità e l’appena citata pedofilia, che non sono certo sinonimi l’uno dell’altro. Un esercizio, quest’ultimo, non nuovo nella messaggistica del sistema di potere orbaniano che del resto, a suo tempo, non ha esitato a fissare un nesso fra emigrazione e terrorismo.

Chi conosce l’“uomo forte d’Ungheria” e il suo governo non si meraviglia di quanto è accaduto; cosmopolitismo, multiculturalismo e apertura verso chi ha propensioni sessuali “diverse” sono a suo avviso aspetti fuorvianti e forieri di non valori. Di aspetti unicamente capaci di creare caos e confusione in un mondo che, secondo la retorica del regime, ha bisogno di certezze con le quali operare una netta distinzione tra le cose. Il nero non è bianco, il bianco non è nero; in mezzo non c’è nulla di intermedio. Nell’Ungheria di Orbán la vita e il mondo vengono ridotti a questo, a categorie ben distinte e preconfezionate; chi scantona va additato al pubblico sospetto perché evidentemente non agisce per il bene del paese. Orbán si è sempre fregiato del merito di aver scardinato i codici propagandistici del liberalismo da lui visto come tendenza politica superata dai tempi, caratterizzata dall’ipocrisia del politically correct e da un approccio volto a ingannare le masse.

Così il governo di Budapest non ha paura di bollare l’omosessualità come tendenza da scoraggiare anche perché, fa notare, al di là degli aspetti etici, il paese, con la sua situazione demografica tutt’altro che fiorente, non può permettersi comportamenti sessuali non funzionali alla procreazione. Così è da tempo che l’esecutivo disincentiva gli studi di genere che abbiano per tema l’omosessualità. Vi è da aggiungere che mostra ostilità verso tutte quelle concezioni che non rispettino il mantenimento dei ruoli che l’uomo e la donna hanno tradizionalmente nella società e va detto che anche in Ungheria la situazione del sesso femminile necessita miglioramenti. Ma il governo Orbán non intende ratificare la Convenzione di Istanbul perché, a suo avviso, promuove visioni di genere contrarie ai valori da esso propagandati.

In sintesi, il tam tam governativo invita le famiglie a fare figli per la patria, respinge l’idea del ripopolamento del paese da parte di immigrati provenienti da altre culture e con la sua logica finisce per attribuire all’omosessualità anche una valenza antipatriottica.

Ovviamente c’è un’Ungheria che critica aspramente la legge di recente adottata dal Parlamento e dà luogo a manifestazioni di piazza e a una mobilitazione in rete. Il Budapest Pride ha lanciato una petizione contro questa legge che definisce omofoba e sui social si è scatenata l’ironia come quella di chi ha scritto di non voler più vedere documentari a sfondo naturalistico per paura di trasformarsi in un tonno.

Spiritosaggini a parte, c’è una società civile che si mobilita anche se con difficoltà e c’è un’opposizione che, forte di un accordo raggiunto in funzione delle elezioni in programma per l’aprile dell’anno prossimo, aspetta il governo all’appuntamento col voto e promette, in caso di vittoria, di cancellare le leggi ingiuste fatte approvare da Orbán. Una vittoria tutt’altro che scontata anche se, con questa intesa – un po’ particolare perché vede insieme partiti di centro-sinistra, liberali e Jobbik – l’opposizione ha un argomento in più. I suoi sostenitori sperano, il cambiamento è necessario ma richiede un impegno notevole e un progetto concreto. In undici anni di governo Orbán sono successe fin troppe cose che presuppongono danni duraturi.

 

(Credit Image: © Ana Fernandez/SOPA Images via ZUMA Wire)



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