Ungheria minaccia sistemica secondo Bruxelles

Per il Parlamento Europeo l’Ungheria di Viktor Orbán rappresenta “una minaccia sistemica ai valori fondanti dell’UE”.

Massimo Congiu

“Una minaccia sistemica ai valori fondanti dell’UE”, così il rapporto approvato di recente dal Parlamento Europeo definisce l’Ungheria di Viktor Orbán. “Minaccia sistemica e autocrazia elettorale” contro la quale è stato chiesto l’intervento della Commissione e del Consiglio. Fratelli d’Italia, fresco di successo elettorale e la Lega hanno votato contro. Di fatto, i gruppi ID ed ECR si sono opposti in blocco a questo rapporto che intende mantenere alto il livello dell’attenzione nei confronti del “caso Ungheria”. Un paese, quest’ultimo, che dal 2010 è retto dal sistema dirigista del premier Orbán, da allora intento a realizzare un controllo capillare e sempre più esteso di tutte le manifestazioni della vita pubblica, con iniziative viste dai vertici Ue come lesive dello Stato di Diritto.

Un esecutivo, quello del Fidesz – partito di cui Orbán è leader indiscusso – che vuole un’Ungheria cristiana in un’Europa cristiana. Un’Ungheria tutta chiesa-patria e famiglia. Tale lo spirito che, nella retorica governativa permea la linea politica adottata dal premier dodici anni fa. Questo è anche il caso del decreto entrato in vigore il 15 settembre scorso che dà luogo ad una stretta sulla libertà di aborto. Essa aggiunge l’obbligo, per i medici, di dare alle donne incinte la prova che identifica in maniera incontrovertibile le funzioni vitali del feto. Prova costituita da un’ecografia cardiaca.

Gli ideatori di questa norma partono dalla premessa che il battito del cuore è il segno per eccellenza della vita anche nel feto, e che le donne ungheresi dovranno sentire questo battito prima di decidere di interrompere la gravidanza.

Un provvedimento degno di un paese cristiano e di carattere storico, secondo i filogovernativi e l’estrema destra di Mi Házank Mozgalom. Sta di fatto che secondo le voci più critiche quello in questione è l’ennesimo tentativo di condizionare la libertà di scelta delle donne. Sentito a suo tempo dall’AFP, Áron Demeter, portavoce di Amnesty International Ungheria, ha parlato di “preoccupante declino” e precisato che questa decisione presa “senza alcuna consultazione renderà più difficile l’accesso all’aborto e traumatizzerà più donne che si trovano già in situazioni difficili”.

Il fatto che l’attuale capo di Stato sia una donna, Katalin Novák, per la precisione, non deve trarre in inganno. L’attuale presidente, infatti, è una fedelissima di Orbán e condivide in pieno la politica del premier. È una grande sostenitrice della cosiddetta “famiglia tradizionale” e nemica delle “ideologie di genere”. Già ministra senza portafoglio degli Affari Familiari e vicepresidente del partito governativo Fidesz fra il 2017 e il 2021, condivide l’agenda natalista del governo e, come i vari collaboratori e sostenitori di Orbán respinge l’ipotesi di un contributo al miglioramento della situazione demografica nazionale da parte degli immigrati. “L’Europa è diventata il continente del presepe vuoto, mentre in Asia e in Africa le popolazioni affrontano sfide demografiche di ben altro genere”, aveva affermato.

Secondo il parere dell’esecutivo, che è anche quello della Novák, per risolvere i problemi demografici del paese ci vogliono bambini ungheresi. Ungheresi e cristiani; e così la propaganda governativa chiede alle famiglie di donare figli alla patria, meglio ancora se quattro per donna. Il tutto avviene con un’impostazione che si rifà ai modelli della società patriarcale, con la donna sempre più “invitata” a concentrarsi sul ruolo di procreatrice e di madre e sempre meno incoraggiata a pensare alla carriera.

Donare figli alla patria diventa quindi, secondo la propaganda governativa, un modo di dimostrare di essere dei veri ungheresi, non meraviglia quindi che il potere respinga quelli che vengono definiti comportamenti sessuali devianti (il riferimento alla comunità Lgbtq+) o cerchi di scoraggiare le donne ad abortire.

Insomma, questi sono anni difficili in Ungheria per le minoranze, per chi non la vede come il governo, per la già citata comunità Lgbtq+ e per le donne che sono parte di una società in cui la prospettiva della parità di diritti tra i due sessi è ancora ben lontana (non unico caso in Europa, certo). Vi è comunque da aggiungere che l’esecutivo ungherese non intende ratificare la Convenzione di Istanbul in quanto basata, secondo lo stesso, da ideologie di genere contrarie ai principi governativi.

Il potere afferma di vegliare sulla popolazione e sul benessere della gente ma la sanità è in pessime condizioni e in ambito didattico il malcontento degli insegnanti è sempre maggiore, sia per i bassi salari, sia per le condizioni di lavoro tutt’altro che gratificanti sul piano professionale.

Quello di Orbán è un sistema preso a modello dai vari sovranisti europei, dalle Meloni, dai Salvini di casa nostra. Il premier ricambia e saluta soddisfatto l’affermazione di FdI alle recenti elezioni politiche italiane con un “Bravo Giorgia”.

A risultati del voto resi noti il quotidiano di fede orbaniana Magyar Nemzet ha parlato di “lezione italiana a Bruxelles”, data da una leader politica che si definisce “donna, mamma e cristiana”. Un messaggio contro i flussi migratori, secondo il giornale, e a favore delle famiglie europee.

Orbán intende puntare sulla saldatura con gli altri soggetti conservatori europei per dar vita a un’entità politica che non sia un’alternativa ma il futuro del Vecchio Continente.

Un sogno per il premier danubiano e per i suoi emuli, un incubo per molti altri.

(credit foto EPA/OLIVIER HOSLET / POOL)



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