Il battito delle autocrazie

Il parlamento europeo definisce l’Ungheria una “autocrazia elettorale”. Tra i vari diritti conculcati dal regime di Orbán, quello all’interruzione di gravidanza.

Cinzia Sciuto

Il parlamento europeo con una risoluzione senza precedenti ha bollato esplicitamente l’Ungheria come una “autocrazia elettorale” e ha chiesto alla Commissione di fare tutto il necessario affinché nel paese governato da Orbán sia ripristinato lo Stato di diritto. Una risoluzione approvata da una larghissima maggioranza. Tra i parlamentari italiani hanno votato contro solo quelli di Lega e Fratelli d’Italia: non potevano certo permettersi un tale affronto contro l’amico Orbán.

Con un tempismo perfetto, come ad aggiungere un’ultima ulteriore prova della natura liberticida del regime ungherese, pochi giorni prima era entrato in vigore un decreto che impone alle donne che intendono abortire di ascoltare il battito del feto. L’intento evidente è quello di indurle a cambiare idea impressionandole con il più classico dei segni vitali, il battito del cuore.

Chissà se è anche a questo che pensa l’amica italiana di Orbán, Giorgia Meloni, quando dice che lei non intende affatto abolire la 194 ma prevederne la piena applicazione per garantire alle donne il “diritto di non abortire”: un evidente e ignobile rovesciamento della realtà, giacché in Italia non esiste naturalmente nessun obbligo di abortire in nessuna circostanza: la donna può sempre, anche a costo di mettere a rischio la propria vita e qualunque siano le condizioni del feto, decidere di portare avanti una gravidanza. Quello che accade – lo sanno anche le pietre – è invece che le donne che intendono interrompere la gravidanza incontrano tali e tanti ostacoli che molto spesso di fatto si ritrovano costrette a portare avanti una gravidanza indesiderata, con tutte le conseguenze sulla salute della donna e anche del bambino che questo può avere, per tacere naturalmente della violazione dell’autodeterminazione delle donne, di cui pare che a nessuno importi nulla.

Penso che Giorgia Meloni sia molto sincera quando dice che non intende abolire la 194: la levata di scudi e le proteste di piazza sarebbero tali che difficilmente l’obiettivo sarebbe centrato. Ma perché imbarcarsi in una via tanto impervia quando ce n’è una molto più comoda per raggiungere lo stesso obiettivo? Ossia svuotare dal di dentro la legge, aumentando ulteriormente gli ostacoli che le donne devono superare per interrompere la gravidanza? I diritti, infatti, non basta proclamarli formalmente in una legge, bisogna poi che si creino le condizioni concrete per esercitarli.

L’attacco ai diritti delle donne è il primo terreno su cui le autocrazie di tutto il mondo, di qualunque colore politico e di qualunque ispirazione religiosa, si esercitano e si presta pertanto molto bene a essere usato come campanello d’allarme e cartina di tornasole. Dal 26 settembre toccherà ahimè usarlo con ogni probabilità anche in Italia.



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