Usa: i repubblicani all’assalto del diritto di voto. Il rischio di un nuovo Jim Crow

Il 2021 segna il record di leggi statali che limitano l’accesso al voto. A rischio in particolare le minoranze razziali, i poveri e gli elettori più anziani. È la strategia dei repubblicani per impedire che le prossime elezioni registrino la storica affluenza del 2020.

Ingrid Colanicchia

Da quando, nel 2013, la Corte Suprema degli Stati Uniti (a maggioranza repubblicana) ha stralciato una sezione del Voting Rights Act[1] – approvato nel 1965 per limitare le discriminazioni elettorali nei confronti dei neri – a livello statale è stato un susseguirsi di leggi progettate per rendere più difficile il voto. Una tendenza che ovviamente mina alla base la (già discutibile) democraticità del sistema elettorale statunitense e che in questi primi mesi del 2021 ha visto un’impennata preoccupante.

Come denuncia il Brennan Center for Justice (parte della New York University School of Law), tra il 1° gennaio e metà maggio, 14 Stati Usa hanno emanato 22 leggi che limitano l’accesso al voto. E sono probabili ulteriori restrizioni, perché almeno altri 61 progetti di legge sono in discussione: 31 sono stati approvati da almeno una Camera, mentre altri 30 sono al vaglio di una qualche commissione. Il record precedente era stato registrato nel 2011 quando, in ottobre, erano state emanate 19 leggi restrittive in 14 Stati.

Secondo gli analisti del Brennan Center for Justice, che le impennate siano avvenute proprio in questi due momenti non è un caso: «Le leggi restrittive del 2011 sono state emanate dopo che le elezioni del 2010 avevano determinato un importante cambiamento politico e mentre il Paese affrontava i contraccolpi dell’elezione del suo primo presidente nero. Gli attacchi di oggi al voto hanno un sostrato simile: le accuse razziste di frode elettorale e il desiderio di impedire che future elezioni raggiungano la storica affluenza registrata nel 2020».

Le restrizioni approvate riguardano sia il voto per corrispondenza (utilizzato in massa alle elezioni del 2020, causa pandemia) sia il voto di persona. Tra le altre cose prevedono: la riduzione della finestra di tempo per richiedere il voto per corrispondenza e del termine per la consegna della scheda; la limitazione del numero di cassette postali per le schede elettorali; il rafforzamento dei requisiti di identificazione dell’elettore sia per il voto per corrispondenza sia per il voto di persona; il divieto di distribuzione di snack e acqua agli elettori in attesa (attese che possono durare anche ore); la riduzione dei seggi elettorali e la limitazione dei giorni o degli orari destinati al voto anticipato e via dicendo…

A farne le spese, come ha denunciato lo stesso presidente Joe Biden con riferimento al progetto presentato in Texas, sono in particolare le minoranze razziali (oltre che i poveri e gli anziani).

Ovviamente si tratta di un effetto indiretto: nessun provvedimento legislativo cita espressamente bianchi, neri o latinos ma è chiaro a tutti e denunciato a destra e a manca quali saranno le conseguenze. «Uno dei meccanismi utilizzati durante Jim Crow per sopprimere il voto dei neri era l’imposizione di una tassa sul voto», scrive sul New York Times Charles. M. Blow. «Riguardava anche gli elettori bianchi, ma l’effetto maggiore fu sugli elettori neri. Ora abbiamo di nuovo una tassa sul voto, solo che viene pagata non in valuta ma in disagio. Un’attesa di ore in fila per votare è anch’essa una tassa. Ed è una tassa sul colore della pelle, perché è più probabile che siano i neri a dover aspettare. Come ha sottolineato uno studio apparso su Scientific American nel 2019: “Alle elezioni del 2016, gli elettori nei quartieri prevalentemente neri hanno aspettato il 29% in più, in media, di quelli nei quartieri bianchi”».

Per il giornalista di Mother Jones Ari Berman (che da anni si occupa della questione) si tratta del «più grande assalto al diritto di voto dalla fine della Ricostruzione»[2] e sottolinea i parallelismi tra ciò che fecero i democratici del Sud alla fine del XIX secolo (all’epoca il Partito democratico era segregazionista) e ciò che stanno facendo i repubblicani oggi. Allora, durante la Ricostruzione, si era avuto l’accesso al voto (attivo e passivo) degli uomini neri. Ne erano conseguite violenze e intimidazioni.

Come scrive Angela Davis in Donne, razza e classe, se si guarda alla storia dei diritti dei neri in relazione al mito dello stupratore nero e alle ondate di linciaggi della storia americana si rinvengono delle interessanti correlazioni. Durante la schiavitù gli uomini neri non erano etichettati come violentatori: durante tutta la guerra civile non un solo uomo nero fu accusato di aver abusato di una donna bianca. E i linciaggi non si verificarono perché i proprietari di schiavi erano riluttanti a distruggere la loro fonte di guadagno. Dopo la guerra, il linciaggio iniziò a emergere come efficace arma politica: era garanzia che i neri non avrebbero avuto la forza di raggiungere gli obiettivi della cittadinanza. Ma come motivare l’uso del linciaggio? Con lo spauracchio dello stupratore nero e la necessità di vendicarsi delle aggressioni nei confronti delle donne bianche.

La strategia di violenze e intimidazioni funzionò per un po’, prosegue Berman, ma la svolta nella privazione del diritto elettorale ai neri avvenne qualche tempo dopo la fine della Ricostruzione, attraverso mezzi “legali” introdotti dai singoli Stati (come le tasse sul voto di cui si è detto). «Si pensa spesso che la ricostruzione sia terminata nel 1877, quando Rutherford B. Hayes ritirò le truppe federali dal sud, ma in un gruppo di Stati del sud i neri continuarono a votare. Fu quando il Mississippi adottò la sua Costituzione per privare i neri del diritto di voto, nel 1890, che gli Stati del sud cominciarono a cercare mezzi “legali” a questo scopo».

Lo stesso, secondo Berman, sta succedendo oggi: se allora il bacino elettorale si era allargato con l’estensione del diritto di voto agli uomini neri, nel 2020 il bacino si è allargato per la grandissima partecipazione al voto. In risposta si è tentato prima di rovesciare le elezioni con mezzi extralegali – inclusa un’insurrezione – quindi con mezzi “legali” come le modifiche alle leggi elettorali[3].

Insomma, il diritto di voto dei cittadini statunitensi (e in particolare di neri e poveri) è in pericolo, un pericolo senza precedenti. L’antidoto c’è ed è il For the People Act in discussione al Congresso, che bloccherebbe molte delle restrizioni a livello statale che sono state o potrebbero presto essere recepite in legge[4].

È di fondamentale importanza che il progetto venga approvato: in caso contrario, come sottolinea Berman, i repubblicani saranno incoraggiati ad approvare leggi ancora più radicali.

I democratici sembrano consci della posta in gioco. Giusto l’11 giugno il procuratore generale Merrick Garland (nominato da Biden) ha annunciato la decisione di raddoppiare il personale addetto al controllo del diritto di voto del Dipartimento di Giustizia. «Per affrontare la sfida che ci troviamo di fronte – ha dichiarato – dobbiamo re-indirizzare le risorse del Dipartimento a un aspetto fondamentale della sua missione originale: la tutela del diritto di voto».

 

[1] Per cinque voti a quattro, i giudici della Corte suprema eliminarono la sezione 4 del Voting Rights Act che, tra le altre cose, sulla base delle discriminazioni razziali passate determinava quali Stati avevano bisogno del via libera del governo federale per modificare le leggi relative al voto.

[2] L’era della Ricostruzione è il nome con il quale si indica il decennio della storia Usa successivo alla fine della guerra di secessione.

[3] Una approfondita ricostruzione, a firma di Ari Berman, è disponibile sul sito di Mother Jones al seguente link: bit.ly/3wfCLWP.

[4] Il John Lewis Voting Rights Advancement Act ripristinerebbe invece le tutele del Voting Rights Act del 1965, impedendo quindi che le modifiche alle regole di voto entrino in vigore, non incidendo però sulle legislazioni già approvate. Al proposito si veda: Michael Waldman, “For Millions, Freedom to Vote Depends on Manchin”, Brennan Center for Justice, 8 giugno 2021, bit.ly/3gpvXPr.



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