Uscire dal labirinto con Cornelius Castoriadis

Pubblichiamo un estratto dall’introduzione di Raffaele Alberto Ventura al volume “Contro l’economia. Scritti 1949-1997” di Cornelius Castoriadis.

Raffaele Alberto Ventura

Alto funzionario dell’OCSE in pieno Sessantotto, incaricato di coordinare gli studi sulla crescita economica che avrebbero guidato la politica dei governi occidentali, Cornelius Castoriadis (1922-1997) nascondeva una doppia vita di militante rivoluzionario nel movimento Socialisme ou Barbarie, da lui fondato nel 1949. Attraverso l’omonima rivista, per vent’anni ha utilizzato clandestinamente quegli stessi studi per sviluppare una critica radicale del capitalismo e della burocrazia, ispirando il pensiero libertario ed ecologista. All’opportunismo dei comunisti occidentali ha opposto una visione senza sconti dell’esperienza russa e cinese, individuando nel socialismo reale un’immagine del futuro del capitalismo mondiale; alle certezze degli economisti liberali ha opposto un’originale teoria della crisi della società moderna come crisi di senso prima ancora che economica. Sempre in anticipo sui tempi, Castoriadis lo è ancora oggi a un secolo dalla nascita, assieme ai concetti che lo hanno reso celebre: la burocratizzazione dell’economia, la centralità dell’immaginario, la critica dello sviluppo e l’autonomia.

“Partiti dal marxismo rivoluzionario, siamo arrivati al punto in cui bisogna scegliere tra restare marxisti o restare rivoluzionari”. Nella sua evoluzione intellettuale Castoriadis è passato dall’ortodossia marxista al revisionismo rivoluzionario degli anni 1950 per approdare al campo più nettamente filosofico attraverso l’addio al marxismo nel decennio successivo, diventando il “cattivo maestro” del maggio francese, forte della convinzione che l’analisi puramente economica non fosse in grado di spiegare la crisi della società.

Insomma Castoriadis passa dalla struttura (rapporti di produzione, realtà materiale) alla sovrastruttura (immaginario), per usare il lessico marxista, rivendicando esplicitamente la priorità della sovrastruttura sulla struttura, dell’immaginario istituente sulla società istituita. In questo senso nessuna riflessione contemporanea su egemonia, populismo e mitopoiesi può prescindere oggi dal confronto con Castoriadis. Allarghiamoci ancora: lo stesso vale per la riflessione sulla “transizione ecologica” e il futuro dell’Antropocene.

Economia ed ecologia

Negli anni 1970 Castoriadis si dedicherà all’esplorazione e alla definizione dell’immaginario del capitalismo moderno, caratterizzato da un ideale di “razionalismo” (che è sempre uno pseudorazionalismo poiché irrazionale secondo i suoi stessi criteri), di progresso tecnologico, di espansione illimitata, di pianificazione burocratica – tutti elementi che Castoriadis traeva evidentemente dalla sua esperienza negli uffici dell’OCSE e che attribuiva anche al marxismo. Questo razionalismo, sviluppismo o produttivismo è il vero e proprio “spirito del capitalismo” che tiene assieme l’intera società e la fa funzionare.

Questo immaginario, o significazione immaginaria sociale, riassumibile nell’idea “che la crescita illimitata della produzione e delle forze produttive sia di fatto lo scopo della vita umana” emerge con la società borghese: studi più recenti e approfonditi, come quello già celebre di Joel Mokyr uscito nel 2016 (Una cultura della crescita. Le origini dell’economia moderna), non fanno che corroborare l’intuizione formulata da Castoriadis quarant’anni prima. Si tratta di un movimento orientato verso l’accrescimento quantitativo: “Più merci, più anni di vita, più decimali nei valori numerici delle costanti universali, più pubblicazioni scientifiche, più dottorandi”. Ma il successo di questo modello appariva irrimediabilmente minato. Da una parte, in quegli anni inizia ad apparire evidente il fallimento delle ideologie di cooperazione internazionale degli anni 1950, di fronte all’allargamento del fossato tra Paesi sviluppati e Paesi detti sottosviluppati. Di fatto, quel modello non era facilmente esportabile – anzi trovava ovunque fortissime resistenze culturali, legate alla persistenza di differenti immaginari sociali.

Dal suo punto di osservazione privilegiato all’OCSE, Castoriadis aveva potuto osservare l’apparizione di effetti collaterali dello sviluppo ben prima degli altri. Come affrontare questi problemi? Castoriadis denuncia l’industria del problem solving generata dal sistema per espandere ancora di più il proprio dominio. Il problema dell’espansione illimitata del dominio razionale non era per Castoriadis un’astratta questione estetica, morale od ontologica, come fu per tanti fumosi critici della tecnica, ma una vera e propria contraddizione logica ingenerata dall’inevitabile decomposizione della razionalità a misura dell’espansione del suo campo di azione. La presunta razionalità era una “finzione”.

Castoriadis anticipa un tema oggi molto attuale, ovvero l’errore di avere a lungo considerato certe condizioni ambientali come un “dono gratuito della natura”, creando ingiustizie ambientali. Il tema dell’ecologia diverrà vieppiù centrale nella sua riflessione degli anni Ottanta e Novanta. Castoriadis manifesta inoltre uno scetticismo radicale riguardo alle categorie economiche fondamentali, che gli appaiono irrimediabilmente soggettive, costruite storicamente attorno a diverse concezioni del valore.

Socialismo, liberalismo e società autonoma

Quale filosofo politico fu Castoriadis? Se l’esperienza di Socialisme ou Barbarie lo ha canonizzato come “marxista eterodosso”, Castoriadis fu anche uno strano tipo di “liberale”, se si ammette che si può essere tali senza niente concedere al proprietarismo, al produttivismo, alla legge del più forte, alla pseudorazionalizzazione della vita sociale. L’unico liberalismo coerente e sostenibile, per Castoriadis, coincide con il contenuto del socialismo. E lo stesso d’altronde vale a parti invertite per il socialismo, che per non essere totalitario deve essere a sua volta “liberale” – nel senso esigentissimo che Castoriadis dà a entrambe le parole.

Gli otto volumi degli Ecrits politiques pubblicati in Francia nell’ultimo decennio, e più in piccolo la nostra antologia, restituiscono di Cornelius Castoriadis un’immagine sfaccettata, che si presta a ricezioni molto diverse: Castoriadis marxista e Castoriadis antimarxista, Castoriadis economista e Castoriadis ecologista, Castoriadis radicale e Castoriadis riformista, e ancora un Castoriadis conservatore e un Castoriadis populista. Non ci si dovrà stupire se il suo nome, nei prossimi anni, andrà a raggiungere quello di altri pensatori radicali del passato recentemente tornati alla moda, da Ivan Illich a Jacques Ellul, da Christopher Lasch a Karl Polanyi, che suscitano oggi un interesse realmente trasversale, non immune da recuperi e “recuperazioni”. Il rischio di tutte queste operazioni è che ognuno tragga da ogni autore solo ciò che gli fa comodo: nel caso di Castoriadis, per esempio, sarebbe assurdo scindere la critica della burocrazia dal progetto rivoluzionario (come tentarono di fare i nouveaux philosophes) ma anche la critica del capitalismo dalla difesa dei principi democratici (come invece è tentata di fare la nouvelle droite). Per questo abbiamo voluto, in questa antologia e in questa introduzione, restituire uno spettro ampio e fedele delle preoccupazioni dell’autore. A un secolo preciso dalla sua nascita, il completamento della pubblicazione degli Écrits politiques (con centinaia di pagine di libri incompiuti) unito alla nostra scoperta dei suoi lavori all’OCSE, ci consegna un Castoriadis nuovo, diverso da quello iscritto da mezzo secolo nel canone filosofico e politico.

In mezzo secolo di riflessione economica, sociologica, filosofica, Castoriadis ha gravitato attorno a una sola e unica idea centrale: l’idea che la divisione del lavoro mette inevitabilmente a rischio il senso dell’esistenza – e quindi la tenuta della società e dell’economia. Per salvarci dalla barbarie, allora, c’è solo la strada del socialismo, inteso nel senso specifico che gli dà Castoriadis, ovvero una società di individui realmente liberi e uguali, liberi in quanto uguali, uguali in quanto liberi. La società autonoma. Questo è tanto più vero nel contesto della crisi ecologica:

A fronte di una catastrofe ecologica mondiale, per esempio, non abbiamo difficoltà a immaginare che dei regimi autoritari possano imporre delle restrizioni draconiane a una popolazione spaventata e apatica. A questo punto diventa urgente inserire la dimensione ecologica in un progetto politico democratico radicale. Ma questo progetto, al fine di rimettere in discussione i valori e gli orientamenti della società attuale, è indissociabile dalla critica dell’immaginario dello “sviluppo” entro il quale viviamo.

Negli stessi anni Castoriadis si chiede infatti se “una qualsiasi catastrofe – per esempio una catastrofe ecologica – potrebbe portare a un risveglio brutale oppure, viceversa, a regime autoritari o totalitari”.[1] Ed è precisamente la domanda che ci poniamo noi oggi. L’alternativa, fissata da Rosa Luxemburg, tra socialismo e barbarie ha vincolato per mezzo secolo la possibilità di realizzare l’utopia alla minaccia di una catastrofe ineluttabile, che dava tanta più forza al progetto rivoluzionario. Ma nel Dopoguerra la cancellazione di ogni prospettiva catastrofica, nell’illusione di un capitalismo che si è creduto invincibile, aveva progressivamente depotenziato anche la rivoluzione. Ora la Storia è tornata e come un cameriere zelante ci porge la catastrofe su un vassoio: ecco la barbarie che avete ordinato. Riaprendosi la prospettiva della catastrofe risorge anche la speranza di una rivoluzione. Ma siamo in grado d’immaginarla?

[1] “Un monde à venir”, cit.

(Credit foto Ansa)



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