Venezuela: la Corte Suprema conferma l’interdizione per la leader dell’opposizione

Gli accordi tra governo venezuelano e opposizione firmati a Bridgetown per favorire la celebrazione di elezioni democratiche nel 2024 suggerivano l’avvio di un periodo di riconciliazione e di democratizzazione del paese, oltre a un allentamento delle tensioni con gli Stati Uniti. Tuttavia, la Corte Suprema (TSJ) ha rifutiato il ricorso di Maria Corina Machado, leader indiscussa dell’opposizione, all’interdizione da ogni carica pubblica a suo carico dal 2021. Questa decisione manda un segnale forte sia all’elettorato, che alla comunità internazionale. 

Simone Careddu

Cuando el río suena, piedras trae”. Quando il fiume rumoreggia è perché porta pietre, recita un antico proverbio molto utilizzato in Venezuela. In molti lo avranno pensato quando, lo scorso venerdì, è giunta la notizia – dopo mesi di rumors e suspance – che Maria Corina Machado, leader indiscussa dell’opposizione venezuelana, non potrà partecipare alle prossime elezioni presidenziali. A deciderlo è stata la Corte Suprema di Giustizia (TSJ) che ha respinto il ricorso presentato lo scorso dicembre dalla Machado e ha confermato la sua interdizione alle cariche pubbliche per quindici anni, a partire dal 2021. Secondo la sentenza del TSJ, la donna venezuelana – famosa per il suo attivismo a favore dei diritti umani – “ha  partecipato allo schema di corruzione orchestrato dall’usurpatore Juan G. Antonio Guaidò M., che ha portato al criminale blocco della Repubblica Bolivariana del Venezuela, nonché al palese saccheggio delle imprese e delle ricchezze del popolo venezuelano all’estero, con la complicità di governi corrotti”. Il processo con cui si è arrivati a tale decisione è torbido.
Come già scritto, Machado è interdetta da una risoluzione in vigore dal 2021. Ma stando a quanto ha affermato ieri in audizione davanti alla Commissione Esteri e Difesa del Senato italiano, la leader del movimento
Vente Venezuela non ha “mai ricevuto alcun avviso del Controllore generale della Repubblica su un procedimento in corso contro di [lei]”. E la destituzione da cariche pubbliche è considerata una “grave violazione della Costituzione” perché – prosegue – “ non vi è alcuna sentenza della Corte”. Si tratta, dunque, di “delinquenza giudiziaria”, con l’obiettivo di “impedire il mandato dato da quasi 3 milioni di venezuelani [alle primarie dell’opposizione del 22 ottobre 2023, NdA]”, affinché lei sia “la loro candidata”. Inoltre, secondo Machado, la sentenza della Corte è stata preceduta da “pratiche di persecuzione politica”, parlando di “arresti”, “sequestri” e “atti vandalici” da parte della “furia bolivariana” nei confronti del suo staff e di attivisti dell’opposizione democratica.
Nel suo programma settimanale Con Maduro +, il capo dello Stato, in merito alla sentenza ha sottolineato che, “nonostante le minacce e i ricatti dell’impero statunitense, le istituzioni venezuelane hanno funzionato e io dico: l’accordo di Barbados, la Corte Suprema di Giustizia, questo è res judicata e una decisione definitiva”. Dello stesso avviso è stato il Presidente dell’Assemblea Legislativa, Jorge Rodriguez, il quale, rivolgendosi ai rappresentanti dell’opposizione che partecipano al Tavolo di dialogo, ha affermato: “se avete intenzione di firmare qualcosa, rispettatelo, e se non avete intenzione di rispettarlo, ditelo, per non perdere tempo”. Gli accordi a cui si riferiscono Maduro e Rodriguez sono quelli firmati lo scorso 17 ottobre a Bridgetown (Barbados), tra governo e opposizione. Un patto con l’obiettivo di creare le condizioni favorevoli per celebrare delle elezioni libere nella seconda metà del 2024 (dicembre, secondo il calendario costituzionale), partecipate e pacifiche, in un clima democratico.
Le negoziazioni erano ferme da più di un anno e sono state sbloccate a seguito di una serie di colloqui riservati tra Washington e Caracas. Da un lato, la Casa Bianca, anche vista la crisi del chavismo, ha tutto l’interesse che in Venezuela si tengano elezioni libere, perché costituiscono una reale possibilità di porre fine al regime, avere finalmente un governo amico con cui fare affari e fare da cassa di risonanza nella regione (in particolare a Cuba e in Nicaragua). Dall’altra, Palacio Miraflores ha bisogno di scendere a patti con gli USA per allentare le sanzioni che rendono impossibile la vendita del petrolio, da cui dipende gran parte dell’economia venezuelana. Proprio all’interno di questa trattativa, e grazie all’opera mediatrice della Norvegia, ad ottobre le parti avevano accordato una procedura per rivedere l’interdizione di alcuni leader politici a concorrere alle elezioni.
Tale procedura prevedeva che le persone interessate presentassero un “ricorso amministrativo appropriato” presso la Camera politica amministrativa della Corte Suprema di Giustizia e che quest’organo si pronunciasse sull’ammissione della causa e sulla tutela cautelare richiesta.  Dopo il 17 ottobre gli Stati Uniti hanno deciso di allentare temporaneamente le sanzioni petrolifere richieste dal chavismo, facilitando uno scambio di americani imprigionati in Venezuela con l’uomo d’affari Alex Saab, arrestato per riciclaggio di denaro e accusato di essere uno degli operatori finanziari dell’entourage del presidente. Ora, invece, il Dipartimento di Stato degli USA ha fatto sapere che la decisione del tribunale è “profondamente preoccupante” e “incoerente”, aggiungendo che la sentenza contro Machado “manca di elementi fondamentali”, come l’aver notificato alla candidata le accuse o la possibilità di difendersi. Ma la Casa Bianca, ieri sera, dalle parole è passata anche ai fatti: ha deciso di reintrodurre le sanzioni nei confronti del Venezuela. Una misura coercitiva che di certo non aiuterà a placare gli animi e che verrà utilizzata dal chavismo per polarizzare ulteriormente la società venezuelana.
Nel frattempo, Machado non si arrende perché continuerà, nonostante il divieto, a fare campagna per le presidenziali. Lo scenario è incerto. Quello che invece è sicuro è che la giustizia venezuelana, estensione del regime chavista, ha fatto un gran regalo a Maduro, togliendo di mezzo l’avversaria che più concretamente (stando ai sondaggi) poteva batterlo alle urne. E pensare che questo bellissimo Paese sudamericano, ricco di storia, di bellezze naturali, ma soprattutto di risorse minerarie, aveva la possibilità di voltare pagina. Vero, ci sono altri militanti dell’opposizione a cui è stato revocato il divieto. Ma quanto pesa quello di Machado? Parliamo della figura principale dell’opposizione che ha portato alle primarie quasi tre milioni di persone a votare per lei, in un Paese in cui tante persone non votano più. Questo è un dato che non si può trascurare se si vuole veramente ricomporre la frattura politica che immobilizza il Venezuela da un decennio.
CREDITI FOTO: ANSA / MIGUEL GUTIERREZ



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