Vent’anni senza Johnny Cash

Johnny Cash muore il 12 settembre 2003 a Nashville - la capitale del country, ma non solo - dopo aver venduto quasi cento milioni di dischi. Ma uno con una voce così non può morire per sempre.

Giovanni Carbone

“Una persona con una voce così non può essere del tutto cattiva” ed a dirlo è voce autorevolissima, il Tenente Colombo, riferendosi a Tommy Brown mentre se lo portano via dopo che il poliziotto l’ha incastrato per l’assassinio della moglie. E se la donna, bigotta ed insopportabile, la interpreta una magnifica Ida Lupino, Tommy Brown lo fa Johnny Cash, The Man in Black per come ama vestirsi. Johnny è perfettamente calato nella parte, non pare reciti, piuttosto interpreta sé stesso, non certo perché sta nei panni di un’uxoricida, ma a lui viene magnificamente naturale la rappresentazione del talentuoso singer di successo con un’esistenza quanto meno burrascosa.
Johnny Cash muore il 12 settembre 2003 a Nashville – la capitale del country, ma non solo – dopo aver venduto quasi cento milioni di dischi. Dischi country certo, ma anche blues, rock and roll, rockabilly, gospel. Spazia dove gli pare, perché Johnny Cash non è uno cui è possibile mettere limiti, non accetta di essere inquadrato in una precisa categoria. È un ribelle che canta ribellioni, riscatti, dolore, con la sua voce baritonale riconoscibilissima e versatile. Rimane forse l’unico artista ad essere introdotto contemporaneamente nella Country Music Hall of Fame, nella Rock and Roll Hall of Fame e nella Gospel Music Hall of Fame.
Quarto di sette figli, la sua è una povera famiglia contadina dell’Arkansas e a Johnny tocca di aiutare nel lavoro dei campi. Nel 1944 il fratello maggiore muore in un incidente sul lavoro all’età di quindici anni. Il padre, distrutto dal dolore, incolpa Johnny per la disgrazia costringendolo ad un abisso di introspezione che lo spinge, appena può ad andar via, portandosi dietro quel bagaglio pesante di tormenti ed afflizioni. Così, nel 1950, si arruola, va prima in Texas, poi in Germania dove acquista la sua prima chitarra che inizia a suonare da autodidatta e ce la fa a fondare anche una piccola band tutta sua. Durante il servizio militare conosce pure Vivian Liberto che diventa sua moglie nel 1954.
Con Vivian accanto lascia le forze armate e si trasferisce a Memphis, altra città simbolo del nascente rock&roll. La sera si ritrova con gli amici a suonare nei locali della città ed incide con la Sun Records i suoi primi singoli, tra cui Folsom Prison Blues, uno dei brani che forse rappresenta meglio i suoi tormenti e con il quale aprirà spesso i suoi concerti («Sparai ad un uomo a Reno, solo per vederlo morire»). Da qui comincia la folgorante ascesa di Johnny Cash, quella che regalerà al mondo la voce e le suggestioni poetiche a tinte forti di un mito. Le sue canzoni sono così profondamente contaminate da tanti generi da farlo apprezzare da un pubblico vastissimo. Sono canzoni doloranti, i cui testi parlano di amori complessi, di ribelli e fuorilegge, di contrasti tra generazioni. Dentro c’è pure una spiritualità religiosa che Johnny si porta dentro dalla sua infanzia in modo contrastato. Lui stesso dirà: “Credo di essere percepito dalla gente come un cantante country conservatore che vive da qualche parte nel Sud. Il pregiudizio errato è che io sia un provinciale, e a volte dicono persino che io sia un redneck, e, Dio me ne scampi, un bigotto”.
Da stella nascente della musica americana si ritrova a suonare con Elvis Presley, Carl Perkins e Jerry Lee Lewis in una leggendaria jam session che diventa anche una registrazione pubblicata qualche anno dopo con il titolo quanto mai azzeccato di Million Dollar Quartet. Sono gli anni del suo contratto con la RCA, poi, nel 1960, passa alla Columbia. La vita frenetica on the road, i suoi fantasmi, il consumo sistematico di sonniferi per riuscire a dormire, di droghe per dimenticare, per tirarsi su, guai con la legge, sono un vortice che lo costringe ad annullare spesso i suoi concerti.

Johnny Cash perde spesso il controllo, cerca la rissa e la trova, ma quello che gli amici ignari delle sue dipendenze attribuivano a note caratteriali non limitò la sua creatività. Più volte si fa arrestare, trattenuto sempre per poche ore per possesso di droga. È pure costretto a pagare una multa salatissima perché incautamente accende nel suo camper un fuoco per scaldarsi, bruciando centinaia di ettari di bosco in un parco in California.
La dipendenza dall’alcool, le droghe, i suoi continui sbalzi d’umore lo portano, nel 1967, alla separazione da Vivian che lo accusa senza mezzi termini di crudeltà mentale. Le cose paiono precipitare e prova pure a suicidarsi sotto l’effetto delle droghe. È in questo periodo che gli vengono in soccorso June Carter, con la quale si sposa poco dopo, e la fede religiosa. Johnny ce la fa a restare «pulito» per diversi anni. Con June Carter, Johnny Cash abbraccia la causa dei nativi americani, dei loro patimenti, per la segregazione, la repressione. Dice di avere sangue indiano nelle vene e ne ha già parlato diversi anni prima nella canzone Old Apache Squaw, ma la cosa si era spenta lì. Ci ritorna su con l’album del 1964 Bitter Tears: Ballads of the American Indian. È roba forte, diretta, molte canzoni avevano i testi di Peter La Farge, il figlio dell’attivista e premio Pulitzer Oliver La Farge. Il singolo The Ballad of Ira Hayes è un pugno allo stomaco per il pubblico molto “convenzionale” del folk e viene boicottato dalle radio della destra mentre la stessa casa discografica non si spese affatto per promuoverlo. La risposta di Johnny è forte quanto le sue canzoni. Scrive, a proposito della canzone dedicata a Ira Hayes, un nativo americano veterano ed eroe della Seconda Guerra Mondiale: “DJ, direttori, proprietari di radio… dov’è il vostro coraggio? Ho dovuto indietreggiare quando ho capito che così tante stazioni radio erano spaventate da Ira Hayes. Solo una domanda: Perché? Ira Hayes è una medicina potente… come Rochester, Harlem, Birmingham e il Vietnam”.
Johnny non si arrende e si promuove il brano da solo facendolo diventare uno straordinario successo, anche negli ambienti molto mainstream del country di quegli anni.
La fine dei ’60 sono anni intensi, Cash pare voler cambiar vita, mettere i piedi nel piatto delle grandi questioni aperte nella società americana. Suona con Bob Dylan, che di quell’America dilaniata dalle contraddizioni e dalle iniquità era ormai riconoscibilissimo paladino, si esibisce dal vivo nelle carceri pubblicando un paio di dischi tra il 1968 ed il 1969 dai titoli inequivocabili: Johnny Cash at Folsom Prison e Johnny Cash at San Quentin. La critica è entusiasta di quei lavori, il pubblico li premia con vendite incredibili per milioni di copie, supera anche i Beatles in classifica. Torna in “carcere” per esibirsi ancora, in Svezia addirittura e in una prigione del Tennessee.
La sua notorietà è alle stelle, la ABC gli affida sino al 1971 uno show televisivo dove si esibiscono gente come Carl Perkins, Stevie Wonder, Neil Young, Ray Charles e Louis Armstrong solo per citarne alcuni. L’essere star televisiva impone un drastico cambio di look, non vanno più bene brillantina e lustrini, nemmeno i colori sgargianti che ci si aspetta da una star del country. Diventa “The Man in Black” e il perché lo spiega nella canzone Man in Black:
«Indosso il nero per i poveri e gli oppressi,
Vivendo nella parte disperata e affamata della città,
Lo indosso per il prigioniero che ha pagato per troppo tempo il suo crimine,
Ma è lì perché è vittima dei tempi.»
Cash non si fa mancare il cinema. Nel 1971 è a fianco di Kirk Douglas nel western Quattro tocchi di campana, recita in The Gospel Road: A Story of Jesus un film sulla vita di Gesù del 1973, diretto da Robert Elfstrom e scritto dallo stesso Cash insieme a Larry Murray. Insieme a lui sulla scena c’è anche la moglie June.
Sul finire degli anni ’70, per un Johnny Cash ancora giovane inizia il declino artistico. Certo ha ancora un buon seguito, e per tutti gli anni ’80 collabora con Bruce Springsteen, Kris Kristofferson, Roy Orbison, Jerry Lee Lewis, Carl Perkins, incide con loro dei buoni album che hanno un discreto successo. La fine degli anni ’80 sono anche quelli del declino fisico. Johnny Cash è afflitto da innumerevoli patologie, forse conseguenza di una vita di abusi. Ma pare avere sette vite e già nel decennio successivo pare resuscitare. Canta The Wanderer, brano di chiusura dell’album Zooropa degli U2 che finisce nella colonna sonora del film di Wim Wenders Così lontano così vicino. Il produttore discografico Rick Rubin è l’artefice di questa nuova via di Johnny che si afferma con un paio di album anche tra le nuove generazioni. Nel maggio del 2003 muore la moglie June, pochi mesi dopo ha fine anche la tormentata vita di Johnny Cash, è il 12 settembre, ma uno con una voce così non può morire per sempre.
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