Venti di guerra e minaccia nucleare

La normalizzazione e la parvente inevitabilità di una guerra estesa oltre il fronte ucraino e mediorientale è preoccupante. Oggi che il clima bellicista sta diventando egemone del discorso pubblico, è forse opportuno ricordare che un futuro conflitto globale sarà inevitabilmente caratterizzato dall’utilizzo delle armi nucleari.

Silvano Fuso

Nel giro di pochi giorni si sono succedute alcune dichiarazioni da parte di importanti protagonisti della scena politica internazionale che dovrebbero allarmare e preoccupare ogni persona di buon senso.
Il 26 febbraio, al termine della Conferenza di Parigi in sostegno all’Ucraina, il presidente francese Emmanuel Macron, rispondendo a una domanda della giornalista politica di Bloomberg (agenzia di stampa americana) Ania Nussbaum, riguardo alla possibilità di inviare truppe occidentali sul terreno in Ucraina, paventata dal primo ministro slovacco Robert Fico, ha dichiarato: “Questa sera si è parlato di tutto in maniera libera e diretta. Non c’è consenso sull’invio ufficiale di truppe di terra. Ma, dinamicamente, nulla è da escludere. Faremo tutto il necessario per garantire che la Russia non possa vincere questa guerra”.
Il giorno dopo, il 27 febbraio, durante la seduta plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha affermato: “Negli ultimi anni abbiamo vissuto nell’illusione di una pace. Putin ha usando questo dividendo frutto della pace per una nuova guerra. […] I rischi di una guerra non dovrebbero essere esagerati, ma bisogna prepararsi. E tutto ciò inizia con l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri. L’Europa dovrebbe sforzarsi di sviluppare e produrre la prossima generazione di capacità operative vincenti. E di garantire che disponga della quantità sufficiente di materiale e della superiorità tecnologica di cui potremmo aver bisogno in futuro. Il che significa potenziare la nostra capacità industriale della difesa nei prossimi cinque anni. […] Negli ultimi due anni, l’Europa ha dimostrato che sosterrà l’Ucraina per tutto il tempo necessario. E abbiamo anche dimostrato che un’Europa più sovrana non è solo un pio desiderio.[…] Al centro di tutto della strategia sulla difesa deve esserci un semplice principio: l’Europa deve spendere di più, spendere meglio, spendere in modo europeo. Nelle prossime settimane presenteremo alcune proposte con la prima strategia industriale europea per la difesa. […] Uno degli obiettivi centrali sarà quello di dare priorità agli appalti congiunti nel settore della difesa. Proprio come abbiamo fatto con vaccini o con il gas naturale”.
Un’altra ciliegina sulla torta è rappresentata dalle parole che Lloyd Austin, segretario alla Difesa Usa, ha pronunciato durante un’audizione al Congresso americano il giorno 29 febbraio: “Se cade l’Ucraina, veramente credo che la Nato dovrà combattere con la Russia. […] sappiamo che se Putin ha successo qui, non si fermerà, continuerà ad adottare altre azioni aggressive nella regione”.
Nello steso giorno, dal canto suo, Vladimir Putin, nel suo discorso annuale alla nazione, ha risposto alle dichiarazioni sopracitate parlando di guerra nucleare come “minaccia reale”, nel caso di un’escalation del conflitto in Ucraina: “Gli occidentali hanno parlato della possibilità d’inviare contingenti militari occidentali in Ucraina, ma le conseguenze di questi interventi sarebbero davvero tragiche. […] Devono capire che anche noi disponiamo di armi in grado di colpire obiettivi sul loro territorio. Tutto quello che stanno inventando adesso, oltre a spaventare il mondo intero, è una reale minaccia di un conflitto nucleare e quindi di distruzione della civiltà. Non lo capiscono?”
Non dimentichiamo inoltre che, nel novembre scorso, anche il ministro israeliano per il Patrimonio culturale (Heritage) Amichai Eliyahu aveva evocato l’eventualità di utilizzare una bomba atomica su Gaza. Eventualità poi fortunatamente smentita dal premier Benjamin Netanyahu che ha definito le parole del suo ministro “fuori dalla realtà” e ha annunciato la sua sospensione dalle riunioni di Gabinetto (anche se pare che il ministro abbia comunque partecipato telefonicamente a una successiva votazione del Gabinetto).
Tutti questi interventi, uniti ai frequenti improperi contro ogni istanza pacifista scagliati fin dall’inizio dell’attacco russo all’Ucraina, creano un preoccupante clima bellicista. Vien quasi da pensare che ci sia il larvato disegno di far abituare lentamente l’opinione pubblica all’eventualità di essere coinvolti in un conflitto.
A tutti coloro che vedono la strada bellicista e militare come unica soluzione ai gravi problemi dell’equilibrio mondiale, vale la pena ricordare che dal 6 agosto 1945 siamo nell’era nucleare e che ogni conflitto su vasta scala non potrà che essere inevitabilmente di questo tipo. Vale anche la pena ricordare quali potrebbero esserne le conseguenze.
Circa due anni fa, il programma Science and Global Security (SGS) dell’università di Princeton ha realizzato una simulazione per prevedere come potrebbe iniziare un conflitto, dove potrebbero essere impiegate le armi e quali potrebbero essere le conseguenze.
È stato ipotizzato uno scenario, chiamato Plan A, diviso in tre fasi, che si scatenerebbe anche dopo un singolo “colpo di avvertimento” tattico lanciato dalla Russia a una qualsiasi base militare Nato europea o statunitense.
Nella prima fase la Russia potrebbe tentare di distruggere le basi Nato europee attraverso l’utilizzo di 300 armi nucleari e l’Alleanza Atlantica risponderebbe con 180 delle proprie armi nucleari. Nelle prime tre ore di conflitto si produrrebbero 2,6 milioni di morti.
La seconda fase, chiamata Counterforce plan, comporterebbe la distruzione della maggior parte delle forze militari europee. Gli Stati Uniti invierebbero 600 missili contro la Russia e tutto ciò causerebbe circa 3,4 milioni di morti in soli 45 minuti.
Nella terza fase, chiamata Countervalue plan, infine, almeno 30 città più popolate verrebbero colpite, ciascuna, da un numero di testate variabile tra cinque a dieci. In altri 45 minuti si produrrebbero altri 85,3 milioni di morti.
Sommando le tre fasi della simulazione, nell’arco di poco più di quattro ore, morirebbero 91,5 milioni di persone.
Riguardo agli effetti sulle singole città, vale la pena considerare le simulazioni che si possono realizzare utilizzando il sito Nukemap. Se immaginassimo di sganciare un ordigno tattico da 50 kilotoni in prossimità del Colosseo, a Roma, avremmo oltre centonovemila morti e oltre duecentocinquaseimila feriti. Piccoli danneggiamenti, quali vetri rotti, si avrebbero fino alla Città del Vaticano. Nella stessa zona prima vi sarebbero ustioni di terzo grado e, prima ancora, si provocherebbero distruzioni moderate e totali. L’esplosione dell’ordigno creerebbe inoltre una nube tossica che, ipotizzando un vento diretto verso Nord Est, si estenderebbe in tempi brevi a tutta l’Italia centrale, fino al mare.
Che dire? Certi dati parlano da soli e ogni commento apparire superfluo. A chi parla di nemici da sconfiggere, bisognerebbe solamente far notare che il vero grande ed esiziale nemico che si dovrebbe sconfiggere è proprio l’eventualità di un conflitto su ampia scala.
Purtroppo molti leader politici e commentatori, magari anche sedicenti progressisti, sembrano non rendersene conto. A tutti costoro è opportuno ricordare la posizione pacifista e antimilitarista del socialista Giacomo Matteotti (1885-1924), che magari gli stessi omaggeranno il prossimo 10 giugno, in occasione del centenario del suo barbaro assassinio per mano fascista.
Nel maggio 1915, in occasione dell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale contro l’Impero Austro-ungarico, dopo molti sforzi di impegno anti-interventista, Matteotti amaramente scrisse: “Doveva finire così. Cioè doveva cominciare così: la povera bestia doveva andare al mattatoio gridando gioiosa […]. I cultori dell’ordine hanno in questi giorni esaltata la piazza […]. I professori in palandrana hanno esaltato il monello che rompeva le vetrine. Il teppista diventa eroe […]. Troppo debole è stato il proletariato italiano […]. Prepariamoci ormai a veder dilagare la menzogna; prepariamoci a leggere vittorie sopra vittorie; i socialisti sotto bavaglio della censura e alla mercé d’ogni revolver di birro non esiteranno più […] Ogni borgo celerà al borgo vicino l’ospedale doloroso che ha raccolto dentro le mura al posto delle scuole […]. Orsù, lavoratori, che fare? Levatevi il cappello, passa la patria, e ormai più non ci sono socialisti; passa la rovina, passa la guerra, e voi date ancora la vostra carne martoriata”.
Nel febbraio 1915 lo stesso Matteotti su Critica sociale aveva scritto: “Il Partito socialista ha il dovere di opporsi continuamente alla guerra, e al suo strumento e creatore, il militarismo, e vota contro le spese militari”.
Ricordiamo infine che le sue posizioni antimilitariste e il suo attivismo antibellicista gli costarono, l’allontanamento da Rovigo (dove era consigliere provinciale) per tre anni e, infine, il confino in una sperduta zona montuosa nei pressi di Messina dal 27 agosto 1916 al 27 marzo 2017: accusato di essere “sovversivo”, “disfattista” e “un pervicace, violento agitatore, capace di nuocere in ogni occasione agli interessi nazionali”. E, naturalmente, accusato di essere filo-austriaco. Nihil sub sole novum.
CREDITI FOTO: ANSA / DMITRY ASTAKHOV / SPUTNIK / GOVE



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