Viene da lontano l’antiscienza di Trump

Donald Trump ha sempre avuto un rapporto conflittuale con l'expertise scientifico – tanto da renderlo un tratto caratteristico della sua presidenza. Tuttavia, questa peculiare diffidenza negli esperti non è affatto una caratteristica esclusiva di questo governo, ma ha le sue radici in una retorica anti-elitaria che ha caratterizzato i candidati alla presidenza Repubblicani dagli anni '50 ad oggi.

Massimiliano Saltori

(Articolo pubblicato originariamente il 16 ottobre 2020)

All’inizio del mese di ottobre, il New England Journal of Medicine, rompendo una tradizione lunga 208 anni, ha pubblicato un editoriale impietoso sull’approccio dell’amministrazione Trump alla crisi sanitaria che ha colpito il paese1.

A giudicare dagli sviluppi delle ultime settimane, i trentacinque editor che hanno firmato il testo sono in buona compagnia: già il 15 settembre scorso, Scientific American aveva pubblicato in anteprima un altro editoriale, molto più esplicito, in cui dava un vero e proprio endorsment al candidato democratico Joe Biden2.

Anche in questo caso, si è trattato di un’azione senza precedenti, nei 175 anni di storia della rivista.

Non è un segreto che Donald J. Trump sia poco popolare nella comunità scientifica americana – e non solo per via della gestione disastrosa della pandemia3.

Il New York Times tiene al momento una lista online esaustiva sullo stato delle policy ambientali governative modificate o in fase di modifica dall’inizio del 2017. 68 sono già state abrogate, mentre altre 32 sono in fase di smantellamento4.

Queste comprendono regolamentazioni cruciali sulla qualità dell’aria, dell’acqua e delle emissioni, ma anche importanti restrizioni nei confronti delle compagnie che operano nell’estrazione del petrolio e del metano.

Le conseguenze delle scelte dell’esecutivo americano sono già in parte calcolabili, e la loro portata trascende ampiamente i confini nazionali. Secondo un’analisi del Rhodium Group, queste modifiche sarebbero infatti potenzialmente in grado di immettere quasi 2 miliardi di tonnellate ulteriori di CO2 nell’atmosfera nei prossimi quindici anni5.

A questo si aggiungerebbero il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi e i ripetuti tentativi dell’amministrazione Trump di limitare la comunicazione degli scienziati governativi con la stampa e il pubblico.

La crisi sanitaria causata dal Covid19 ha avuto un iter simile. Negli ultimi tre anni, il governo americano ha progressivamente ridotto di oltre due terzi lo staff dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) che avrebbe dovuto monitorare le minacce epidemiologiche provenienti dalla Cina6.

Quando poi il virus ha fatto la sua comparsa negli Stati Uniti, il Presidente e l’establishment Repubblicano hanno subito negato il problema, minimizzando la pericolosità della malattia, sostenendo cure miracolose, proponendo di diminuire il numero di test per tenere le statistiche sui contagi basse e minacciando di licenziare gli esperti governativi in disaccordo con la narrativa ufficiale dell’amministrazione7.

Questo atteggiamento di Trump nei confronti degli esperti non è casuale, ed è perfettamente in linea con quella che è stata la sua storia personale fino alle fatidiche elezioni del 2016. Prima ancora di diventare Presidente, Donald Trump era già noto infatti nella sfera pubblica per la sua adesione a teorie cospirazioniste, come anche per la sua diffidenza verso l’expertise scientifico in generale.

Tuttavia, Trump non è la causa di questa crisi, ma piuttosto il sintomo di una tendenza che ha caratterizzato il partito Repubblicano per buona parte del dopoguerra.

Ad una prima occhiata, gli Stati Uniti sono un paese che apprezza i suoi esperti. Secondo uno studio del Pew Research Center, sei americani su dieci ritengono infatti che gli scienziati dovrebbero avere un ruolo più rilevante nel dibattito pubblico. Ma se si dividono le risposte degli individui in base alla loro affiliazione politica, il risultato cambia radicalmente.

L’elettorato democratico, infatti, sembra riporre maggiore fiducia negli esperti e nel loro giudizio (73%), a differenza di quello conservatore (56%)8.

Malgrado poi quello che si potrebbe pensare, il livello di istruzione non sembra necessariamente giocare un ruolo particolarmente rilevante in questa tendenza – almeno nel caso dell’elettorato repubblicano.

Lo scetticismo dei conservatori nei confronti del tema delle vaccinazioni o del cambiamento climatico pare quindi principalmente legato ad una questione di appartenenza politica, più che fattuale o di comprensione.

Eppure, c’è stato un tempo in cui la statistica sarebbe risultata radicalmente diversa. Nel 1974, erano infatti i repubblicani quelli che riponevano maggiore fiducia nella scienza e negli esperti, mentre i democratici mostravano una maggiore diffidenza9.

Negli anni della guerra fredda, la scienza era un affare governativo – lo strumento attraverso il quale gli Stati Uniti mantenevano il loro primato industriale e bellico sull’Unione Sovietica.

Per questa ragione, ai tempi della corsa allo spazio, mettere in dubbio la competenza degli esperti non era certo patriottico per i conservatori. Al contrario, per i liberali era considerato come un atto di ribellione nei confronti dell’autorità – soprattutto in un’epoca in cui buona parte degli scienziati e dei laboratori nazionali lavoravano con il Pentagono.

Lo status quo cominciò a mutare negli anni ’60, sulla scia dei cambiamenti politici e culturali che stavano attraversando gli Stati Uniti in quegli anni.

Gli scienziati e gli intellettuali stavano diventando sempre più consapevoli del loro ruolo nella società, firmando petizioni per il disarmo o pubblicando opere influenti per il movimento ambientalista, come La primavera silenziosa di Rachel Carson10. In questo nuovo contesto, il Partito Democratico, con la sua attenzione a temi legati all’ambiente, al pacifismo e ai diritti riproduttivi, diventava l’interlocutore più adeguato a questa classe di esperti.

Al contrario, i conservatori raccoglievano sempre più consenso da quell’America preoccupata dal cambiamento – quella che Nixon avrebbe definito come la “maggioranza silenziosa”, nel suo discorso del 3 novembre 1969.

Inoltre, già dagli anni ’50, i politici repubblicani avevano iniziato ad usare una retorica fortemente anti-elitaria, nel tentativo di mostrare una maggiore vicinanza all’elettorato medio.

L’antielitarismo è una particolare forma di pensiero anti-intellettuale, definibile come la diffidenza per l’esperto o la persona competente11. Dwight Eisenhower fu probabilmente il primo a trarre profitto da questa strategia, ponendosi come il proverbiale uomo del popolo, schietto e pragmatico contro il candidato democratico Adlai Stevenson nelle elezioni del ‘52.

Poco contava il fatto che Eisenhower fosse all’epoca il direttore della prestigiosa Columbia University – e che Stevenson non fosse affatto un intellettuale lontano dalla gente comune.

All’atto pratico, questo tipo di retorica non aveva nulla a che vedere con una posizione ideologica – a differenza del presente. Si trattava piuttosto di uno strumento utile a definire due tipi di elettorato – quello conservatore e pragmatico, capace di rapide soluzioni basate sulla morale, e quello radicale e celebrale dei democratici12.

La cosa funzionava, purché continuasse ad essere solo una maschera; di fatto, i presidenti repubblicani che si sono susseguiti fino al 1992 hanno sempre mantenuto l’antielitarismo come uno strumento fine a sé stesso, senza mai realmente negare il ruolo dell’esperto nelle decisioni governative.

Questa è la ragione per cui, ad esempio, i nomi di presidenti storicamente conservatori sono ancora oggi legati a policy e istituzioni per la conservazione dell’ambiente; Richard Nixon fu responsabile della creazione dell’Agenzia per la tutela dell’ambiente (EPA), mentre a Ronald Reagan si deve la firma del Protocollo di Montreal, per il bando dei clorofluorocarburi.

Tuttavia, le conseguenze a lungo termine di questa strategia hanno inevitabilmente presentato il conto. Come molti hanno notato durante la campagna elettorale di quattro anni fa, l’appeal di Donald Trump come candidato era fortemente incentrato sulla sua presunta inesperienza e scarsa familiarità con la politica e l’amministrazione pubblica. Allo stesso modo, fin dall’inizio dell’emergenza Covid19, Trump ha continuato a sminuire il ruolo degli esperti, alle volte suggerendo al pubblico che la sua innata comprensione del problema fosse sufficiente a gestire la crisi.

L’elettorato americano, invece che essere pronto ad un simile attacco alla sua democrazia, ha scelto di fidarsi del candidato populista, senza rendersi conto che, in questo caso, non si trattava di una farsa, ma di una vera e propria dichiarazione d’intenti.

In pratica, anni di banalizzazione del dibattito e di radicalizzazione dell’elettorato hanno aperto la porta a demagoghi pericolosi, inadeguati di fronte a un’emergenza sanitaria come quella attuale, aggravata da una sempre più evidente e preoccupante crisi sociale e ambientale.

Quello che pochi anni fa sarebbe stato considerato uno strumento utile a guadagnare consenso è oggi un pericoloso alibi, che ha portato alla morte di oltre 200 mila persone in meno di un anno – un quinto dei decessi a livello mondiale.

Le elezioni del 3 novembre potranno anche ristabilire momentaneamente l’ordine nel paese, ma resta comunque il pericolo di una nuova escalation. Almeno fino a quando i conservatori americani non smetteranno di normalizzare questo tipo di linguaggio e di strategia retorica.

NOTE

1. Dying in a Leadership Vacuum, The New England Journal of Medicine, 383, pp. 1479-1480, 8 October 2020

2. From Fear to Hope, Scientific American, 323, Issue 4, pp. 12-13, October 2020

3. Temple J., Climate Scientists are Terrified of a Second Trump Term, 24 September 2020, technologyreview.com

4. Popovich N., Albeck-Ripka L., Pierre-Louis K., The Trump Administration Is Reversing 100 Environmental Rules. Here’s the Full List, 15 July 2020, nytimes.com

5. Pitt H., Larsen K., Young M., The Undoing of US Climate Policy: The Emissions Impact of Trump-Era Rollbacks, Rhodium Group, 17 September 2020

6. Milman O., Trump’s staff cuts have undermined Covid-19 containment efforts, watchdog finds, 24 March 2020, theguardian.com

7. Moreno J. E., Trump threatened to fire CDC’s chief of respiratory diseases in February: report, 22 April 2020, thehill.com

8. Kennedy B., Funk C., Democrats and Republicans differ over role and value of scientists in policy debates, 9 August 2019, pewresearch.org

9. Gauchat G., Politicization of Science in the Public Sphere: A Study of Public Trust in the United States, 1974 to 2010, American Sociological Review, 77, pp. 167-187, 2012

10. Chait J., American Death Cult, The New York Magazine, 20 July 2020

11. Hofstadter R., Anti-intellectualism in American Life, Knopf, 1963

12. Shogan C. J., Anti-Intellectualism in the Modern Presidency: A Republican Populism, Perspectives on Politics, Vol. 5, No. 2, pp. 295-303, June 2007



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