In Francia la polizia uccide

Se sei nato in quartieri periferici e degradati come quello di Nanterre, giusto alle spalle del ricchissimo quartiere della Défense, se hai vissuto in una cité, tra violenza, spaccio, assenza totale dello stato, se sei maghrebino o se sei di seconda, terza generazione e il tuo cognome ha consonanze arabe e non francesi e vedi una volante della polizia o dei centauri dalle strisce blu ed il tricolore transalpino che attraversano il quartiere con il motore che romba, significa che la morte è vicina.

Marco Cesario

(Nanterre). “La polizia uccide”. Se sei nato in quartieri periferici e degradati come quello di Nanterre, giusto alle spalle del ricchissimo quartiere della Défense, se hai vissuto in una cité, tra violenza, spaccio, assenza totale dello stato, se sei maghrebino o se sei di seconda, terza generazione e il tuo cognome ha consonanze arabe e non francesi e vedi una volante della polizia o dei centauri dalle strisce blu ed il tricolore transalpino che attraversano il quartiere con il motore che romba, significa che la morte è vicina. Checché se ne dica, in questi quartieri in cui si ammassano generazioni di odio contro la République, c’è una solidarietà inaspettata tra le persone. All’esterno, nella “Parigi bene”, questi luoghi, le banlieues, sono additate per l’evasione scolastica, la disoccupazione, la violenza, lo spaccio e l’islamizzazione radicale. Essere nati qui significa precluderti l’università buona, il lavoro buono, la società buona.

Violenza della polizia francese
Foto di Marco Cesario

Essere nati qui è un’impostura e chiamarsi Nahel o Mohammed lo è ancora di più. La polizia che sbarca nel tuo quartiere per una retata non è una buona notizia ed è sempre meglio fuggire per non fare la fine di quei due ragazzi di Clichy che nel 2005 morirono per elettrocuzione fuggendo dalla polizia e scatenando la più grande rivolta sociale di Francia. Una rivolta passata alla storia come “rivolta delle banlieues”, perché anche quando ci si rivolta occorre mettere i puntini sulle “i”. Non si trattava infatti della rivolta dei bobo’ socialisti anti-Sarkozy o degli anarchici che spaccano le vetrine dei McDonald’s ma hanno i genitori nel XVIème. Si trattava (e si tratta) dei veri proletari della Francia di oggi. Questi qui, questi Mohammed, Yassine, Fatima, Yussuf che ancora oggi continuano a morire per un controllo di polizia.

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Avrà pensato anche questo Nahel, adolescente di 17 anni, vedendo i due poliziotti appoggiarsi al finestrino della sua auto con fare minaccioso e sprezzante. Qui nessuno pensa che la polizia protegga i cittadini. La polizia è il nemico perché è il braccio armato di uno stato che ammassa le persone in ghetti senza storia, dagli interni vuoti di significato, torri sinistre prive di bellezza ed alienanti, scatole vuote dove è impossibile la socialità, loculi nemici dell’umanità. Vivere in una cité è come essere un coniglio in un allevamento intensivo. La luce obliqua che penetra dalle grate ti fa capire che sei all’inferno, alla periferia dell’umanità e solo un gesto estremo può permetterti di sopravvivere in questo buio pesto ed uscirne indenne. Nel tessuto sociale lacerato dall’insipienza di uno stato presente solo militarmente con caserme, prefetture, stazioni di polizia e bandiere della Francia che sventolano sui palazzi, le forze dell’ordine sono una minaccia incombente, un’ombra che si staglia all’orizzonte della tua esistenza. I poliziotti parlano una lingua diverse, ti guardano con occhi diversi. “Tu sei qui perché io te lo concedo”, sembrano volerti dire quando ti fermano per un controllo. Davanti a quest’improvvisa minaccia Nahel ha pensato come ogni buon banlieusard: darsela a gambe. Perché qui la polizia prima ti spezza un braccio o ti spara alle gambe e poi ti chiede i documenti. Nahel è fuggito dal destino che attende questi ragazzi qui, i ragazzi delle cités. Sangue che cola sul cemento delle periferie ghettizzate da pianificatori dell’incubo.

Violenza della polizia francese
Foto di Marco Cesario

Così giovedì 29 Giugno una folla compatta si è riunita per rendere omaggio al ragazzo Nahel, ucciso all’arroganza della polizia. Non esiste un’orizzontalità tra forze dell’ordine e persone che vivono qui. Il concetto di citoyen, così rivoluzionario all’alba della rivoluzione illuminista, non si applica a queste persone qui. Questi sono nemici giurati dello stato, della Francia, delle leggi della République. Per essi si tollera la presenza, perché spesso sono spazzini, carpentieri, metalmeccanici, guidano le metropolitane ed i bus all’alba, spazzano le strade di notte, si spezzano la schiena nelle campagne e senza di loro non c’è verso di far funzionare questo paese. Però accidenti, silenzio. Non siete altro: manodopera, manovalanza, massa lavoro, nessuno di voi entrerà alla Sorbona, al Polytechnique, all’Ecole Normale. Siete cittadini di serie B, ricordatevelo.

In testa al corteo che sfila in prossimità della cité Pablo Picasso (ironia della sorte chiamare queste scatole grigie col nome di un pittore eclettico), dove Nahel è stato ucciso, la madre dell’adolescente alza il pugno alla folla che s’infiamma.. Chi meglio del regista Mathieu Kassovitz, che per primo ha fotografato l’odio che si respira per chi vive qui, può dire senza essere tacciato di opportunismo: “Senza giustizia non ci può essere pace, pace morale o sociale”. Non lontano da qui, in un tribunale, l’agente di polizia sotto inchiesta, 38 anni, viene accusato di omicidio volontario e posto in custodia cautelare. Di lui resta il ricordo di una voce sprezzante che minaccia un minore con un’arma puntata a pochi centimetri: “Ti beccherai una pallottola in testa”. Del suo complice la storia tramanda queste scarne parole: “Sparagli”. È questa la millantata giustizia della République, il paese faro dei diritti umani?

violenza della polizia francese
Foto di Marco Cesario

Altrove lo Stato, temendo una rivolta nazionale, avvia il coprifuoco nelle periferie più sensibili. Intanto la manifestazione volge alla rabbia consueta, alla collera che divampa come il fuoco che ha avvolto in questi giorni Nanterre. La polizia lancia lacrimogeni e granate stordenti sulla manifestazione per disperdere la folla, la risposta dei manifestanti non si fa attendere: l’intifada delle banlieues esplode e succede che coloro che erano vittime, coadiuvate inconsapevolmente dalla grancassa mediatica, diventano carnefici, i nemici della Francia. Quelli che incendiano le macchine, che spaccano le vetrine, che danno fuoco alle caserme, che sfasciano la città. Non sono più gli spazzini, gli operai, i metalmeccanici, gli autisti di bus. Sono i nemici della Francia, con un capovolgimento stupefacente di valori. Ma la loro rabbia non si può contenere. È una rabbia generazionale, una rabbia stratificata per la quale non ci può essere perdono. È una rabbia che deriva da decenni di indifferenza, di ipocrisia, di finto ascolto, di bonario neocolonialismo, di messa con le spalle al muro. Far finta di ascoltare è ancora peggio del non ascoltare. Tu non sei me e non sei nemmeno come me. E allora non ci si ferma davanti a quelli lì, quei nemici di Mohammed, Yusuf, Fatima, Nahel. Quelli che non parlano la nostra lingua, quelli che per noi sono stranieri, colonizzatori come quando strapparono ai nostri trisavoli ed antenati la terra e le risorse spingendoci a venire qui, dove tutti ci odiano. Allora meglio fuggire via verso la libertà come l’homme révolté di Camus, mentre il colpo codardo trafigge il corpo e la vita. E si suona il clacson forte, si va contro un muro e si va dritto verso la morte, per alcuni l’unica vera libertà.

CREDITI FOTO Immagine di copertina di Marco Cesario



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