Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sono la punta di un iceberg

Massimo Congiu

È iniziato il processo in cui sono imputate 108 persone, tra agenti della Polizia penitenziaria e funzionari del DAP, per le violenze subite dai detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, ad aprile dell’anno scorso.
Gli imputati, di cui venti ancora agli arresti domiciliari, sono accusati a vario titolo di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine.

Proviamo un attimo a ricostruire la vicenda sulla base delle informazioni a nostra disposizione: è il 5 aprile del 2020 e tra i detenuti della struttura si diffonde la notizia di un caso di Covid-19 in carcere. Alcuni di loro, reclusi nel reparto Nilo, iniziano a percuotere oggetti contro le porte delle celle in segno di protesta, altri si rifiutano di far ritorno nei loro “alloggi”, ma in sostanza gli animi si placano verso sera. Secondo quanto appreso, il giorno dopo arrivano sul posto circa 300 agenti sia interni che esterni al carcere. Tra essi un’unità speciale formata da agenti pronti a intervenire nel caso si riaccendesse la protesta. Il corpo speciale si chiama Gruppo di Intervento Rapido (GIR); la sua istituzione risale al mese precedente ed è motivata dalla necessità di fornire “attività di supporto agli interventi che dovessero rendersi necessari in ambito penitenziario regionale”.

È in quella circostanza che si verificano le violenze: secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti grazie alle videocamere di sorveglianza e alle testimonianze delle vittime, gli agenti fanno irruzione nel reparto Nilo e lì si scatena la loro furia. Si parla di un pestaggio brutale e immotivato. A ciò si aggiunga che gli agenti avrebbero cercato di fabbricare prove false per giustificare il loro operato.

Il gip Sergio Enea ha definito l’episodio “un’orribile mattanza”, e in effetti le riprese filmate dalle telecamere a circuito chiuso mostrano scene di violenza gratuita, di detenuti sottoposti ad abusi e umiliazioni da far rabbrividire.

“Una mattanza di Stato”, secondo il garante campano dei detenuti, Samuele Ciambriello, che con le sue denunce aveva contribuito a far aprire il procedimento e che ha deciso di costituirsi parte civile, assistito dall’avvocato Francesco Piccirillo.

Si tratta di una vicenda di estrema gravità che impone una riflessione sul sistema carcerario del nostro paese senza generalizzazioni e perniciose semplificazioni. L’articolo 27 della Costituzione attribuisce alla pena carceraria una funzione di recupero e riabilitazione del ristretto, ma in troppi casi le condizioni di detenzione sono insostenibili per problemi di sovraffollamento, di carenza quando non assenza di attività trattamentali e di igiene, giusto per menzionare le criticità forse più evidenti. Troppo spesso viene ignorato il criterio di qualità della pena e le carceri divengono una “discarica sociale” come afferma il garante Ciambriello.

L’episodio di Santa Maria Capua Vetere contribuisce a evidenziare il carattere esplosivo di questa situazione e verosimilmente impone di rivedere i criteri di selezione degli agenti di Polizia penitenziaria. Il processo si preannuncia complesso e sarà probabilmente lungo. Si dovranno accertare le responsabilità individuali anche nell’interesse dello stesso corpo da cui ci si aspetta collaborazione per amore di giustizia e per rispetto di sé.

Certo, la vita in carcere è dura, non solo per i detenuti ma anche per chi ci lavora, a maggior ragione nelle condizioni, spesso disperate, in cui versano diversi istituti di pena italiani. Questo però non giustifica l’orgia di violenza contro individui inermi mostrata dalle videocamere di sorveglianza: detenzione non deve significare privazione della dignità dell’individuo e questo sarà bene tenerlo a mente. Il pianeta carcere deve avere centralità nelle riflessioni e nei processi decisionali del mondo politico senza le tentazioni securitarie incoraggiate, sovente a scopo propagandistico, da certa destra che ama rivolgersi alla pancia delle persone. Del resto un paese che voglia dirsi civile non può permettersi un sistema carcerario inevitabilmente votato al fallimento e disumanizzante. Un sistema di cui, l’orrore di Santa Maria Capua Vetere è in fondo la punta di un iceberg.
Si tratta di scegliere, e la scelta è tra civiltà e barbarie.


(credit foto © Fabio Sasso/ZUMA Wire)



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