Vita di Xi, il reietto che ha conquistato la Cina

Nel giorno del settantesimo compleanno del Presidente cinese, ripercorriamo la sua scalata al potere dalle origini di principino rosso fino alla trasformazione in leader incontrastato.

Roberto Rosano

Xi Jinping compie settant’anni. Nato il 15 giugno 1953, ufficialmente a Pechino, o forse in una contea della Cina centrale, in un Paese ancora povero e rurale, con un tasso quasi feudale di analfabetismo, è per norma un Tàizǐ dăng, un principino rosso, erede cioè di quei veterani della rivoluzione che hanno coadiuvato Mao nella fondazione della Repubblica Popolare. Ma agli inizi degli anni Sessanta, cambia il vento: il padre di Xi, Zhongxun, viene accusato da Mao in persona di essere un nemico del popolo e chiuso in carcere. Anche la vita del giovane Xi è travolta dalla rivoluzione culturale: in quella sorta di guerra civile, quasi pirandelliana, tra giovani e vecchi, genitori e figli, maestri ed allievi, sua madre viene costretta ad umiliarlo pubblicamente. Il quattordicenne Xi, come milioni di giovani cinesi, viene mandato nelle campagne per essere rieducato da quelli che Mao considera gli unici depositari della rivoluzione: i contadini.

Il principino decaduto finisce in un villaggio di montagna, nello Shanxi. Vive in una grotta, dorme su uno scomodissimo kang, pascola le pecore, costruisce dighe, ripara strade e sperimenta il concetto di chīkǔ, “mangiare amaro, fare fatica”. Nonostante il suicidio della sorella e la detenzione del padre, Xi torna a Pechino senza essere sfiorato dall’idea della vendetta. Diventa anzi più rosso dei rossi, compiendo ben sette tentativi prima di essere ammesso allo stesso organismo che ha distrutto la sua famiglia, il Partito comunista cinese.  Nel frattempo, arrivano gli anni ’80, la Cina volta pagina: il maoismo volge al termine, comincia l’era delle riforme economiche e delle privatizzazioni, che permette al Dragone di scaldare le froge e dare la scalata alla gerarchia delle potenze.

Xi, come il suo Paese, fa una gavetta molto dura: amministra diverse province della Cina, tra cui una delle più povere e corrotte, il Fujian. Lì conosce la seconda moglie, Peng Liyuan, una delle soprano più famose della Cina, star del Gran Galà del Capodanno, la cui audience sfiora i 900 milioni di telespettatori. Secondo molti osservatori, è Peng l’arma segreta di Xi: oltre ad essere cantante lirica popolarissima, è generale dell’esercito popolare di liberazione e può offrire alla carriera di Xi un abbrivio difficilmente ipotizzabile. Superando varie traversie ed affinando sempre più le sue capacità politiche e strategiche, Xi diventa segretario del Partito a Shanghai, nel 2007: un grande segnale di apprezzamento da parte delle autorità centrali. L’anno dopo, diventa Vicepresidente della Repubblica Popolare Cinese.

Xi piace ai dirigenti del Partito perché riunisce in un’unica figura le doti di un leader aperto alle riforme del mercato e deciso alla trasparenza. Nella primavera del 2012, l’unico altro contendente alla guida del Paese viene coinvolto in uno scandalo e, a quel punto, Xi ha la strada spianata. Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, diventa Segretario generale del Partito comunista cinese (la carica più importante del Paese), Presidente della Commissione militare centrale e poi Presidente della Repubblica Popolare Cinese, accentrando sin da subito i tre poteri supremi. Nel 2016, la sua autorità  viene rafforzata dallo status di core leader (hexin) – attribuito in precedenza solo a Mao Zedong e Deng Xiaoping – e dalla creazione di nuovi gruppi dirigenti ristretti (lingdao ziaozu) da lui presieduti e facenti capo direttamente al Comitato permanente del Politburo.

Nei suoi dieci anni al potere, Xi trasforma la Cina: identifica Partito e Stato, vanificando tutti gli sforzi compiuti nei decenni precedenti per istituzionalizzare la leadership collettiva, elimina il limite dei due mandati dalla Costituzione, aumenta il controllo sui media e sulle università, riducendo sempre più gli spazi di libertà, e rafforza il nazionalismo grazie ai sofisticati strumenti di controllo forniti dalle nuove tecnologie e ad un recupero strategico del confucianesimo.

Mentre Biden lancia l’America is back, al fine di riportare il Paese al centro di una fitta rete di alleanze politiche, commerciali, strategiche tra i Paesi democratici, Xi promuove il Zhōngguó mèng, il Sogno Cinese della grande rinascita nazionale: riportare la Cina al centro del Mondo entro il 2049, recuperando la posizione persa in seguito a quello che i cinesi chiamano il “Secolo della vergogna e dell’umiliazione”, periodo che va dalla metà dell’800 alla metà del ‘900, quando il Paese è stato attaccato e invaso sia dalle potenze occidentali che dal Giappone. A livello internazionale, Xi è il primo leader cinese ad aver lanciato la Cina fuori dai suoi confini. Pensiamo alla Nuova Via della Seta, il progetto di globalizzazione a guida cinese che ha lambito anche noi: una rete di investimenti e cooperazione economica che attraversa tutti i continenti, costruendo infrastrutture, ripartendo merci in ogni angolo del mondo, creando preziose alleanze politiche e commerciali e spesso anche rapporti di dipendenza. Ma pensiamo anche al piano industriale strategico nazionale Made in China 2025, che si propone di trasformare la Cina in una potenza manifatturiera e tecnologica entro il 2025.
Ma che mondo sogna Xi? Come sarebbe un mondo a guida cinese? Non possiamo saperlo, chiaramente. Quello che sappiamo è che la Cina retta dal Partito comunista è un Paese in cui impera una legge fondamentale, quella della coincidenza fra nazione, Partito, società e persone. Un ordine solo all’apparenza stabile e vincente, come abbiamo visto durante i lunghi e difficili anni del Covid.

Per approfondire, leggi su MicroMega+:

Simone Pieranni, “Xi Jinping ottiene il controllo del partito, non del Paese“,

Irena Grudzińska Gross intervista Orville Schell, “La Cina di Xi Jinping: in rotta con la società e con il resto del mondo

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CREDITI FOTO Flickr | MEAphotogallery 



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