Che la voce dei popoli possa sovrastare il fragore delle armi!

Chi non grida per la pace non può salvare l’avvenire nostro e dei nostri figli. Ma finalmente questo grido si sta sollevando in tutt’Europa.

Domenico Gallo

Quattro mesi di guerra e di sofferenze indicibili per i popoli coinvolti nel conflitto e non si vede alcun segnale di stanchezza, nessuna volontà di abbassare le armi da entrambe le parti. Al contrario si punta al rilancio di uno scontro armato, che appare senza limiti di tempo né di pietà per le vittime che produce. Dopo aver perduto il Donbass, quasi completamente occupato dalla Russia a prezzo di combattimenti durissimi, Zelens’kyj ostenta sicurezza e, malgrado le perdite subite, vanta di avere un esercito di un milione di uomini pronto alla riconquista dei territori perduti nei quattro mesi di guerra, e persino di quelli perduti nel 2014, grazie al fatto che presto arriveranno le potenti armi dell’Occidente. A sua volta Putin ostenta spavalderia e minaccia di “fare sul serio”, come se finora avesse scherzato. In realtà non ci sono segnali che la Russia voglia porre un limite temporale o spaziale alle proprie attività militari. Del resto le sanzioni che l’Europa ha inflitto alla Russia stanno provocando molti più danni ai sanzionatori che ai sanzionati. Da gennaio a giugno di quest’anno il saldo attivo con l’estero della Russia ha infatti raggiunto i 138,5 miliardi di dollari (rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso l’attivo della bilancia dei pagamenti è cresciuto del 250%). Tutto questo mentre la Germania paventa un disastro se non verrà riaperto il gasdotto Nord Stream, ufficialmente chiuso per manutenzione, e il resto dell’Europa si trova a fare i conti con i gravi problemi sociali che scaturiscono dalle conseguenze economiche della guerra.

I potenti che hanno in mano le sorti dei popoli non hanno alcuna intenzione di arrestare questo fiume di sangue, non lo vogliono arrestare né i diretti belligeranti né i belligeranti indiretti (Usa, Gb e Paesi Nato, che alimentano il conflitto fornendo il materiale necessario per far continuare il massacro). Come ha osservato Gustavo Zagrebelsky (il Fatto Quotidiano, 8 luglio): “Stiamo parlando delle guerre decise da qualcuno che manda qualcun altro a combattere e morire”. Perché le guerre non si fanno, si fanno fare. Osserva ancora Zagrebelsky: “I capi di Stato, i ministri, gli alti comandi, i sobillatori, i fabbricanti di armi, i giornalisti (a parte gli inviati di guerra) e gli opinionisti al seguito di solito non vanno sul campo, non sparano e non si fanno sparare, non distruggono case altrui e non si fanno distruggere le proprie. Le loro compagne, i loro bambini, i loro vecchi non sono uccisi, non sono buttati in strada tra le macerie. Quelli che fanno fare la guerra giocano con le vite altrui”.

Se per qualunque Stato è lecito resistere a un’aggressione in atto, ciò non toglie che la guerra sia una calamità, una catastrofe provocata dalla politica, che infligge sofferenze indicibili alle popolazioni che ne sono direttamente coinvolte e danni ingiusti agli altri popoli. Il prosieguo della guerra nel teatro ucraino è uno scandalo per la comunità internazionale, che deve intervenire per porre fine al conflitto. La soluzione del conflitto non può essere lasciata al giudizio delle armi, non può essere la violenza il giudice supremo chiamato a dirimere il conflitto fra la Federazione Russa e l’Ucraina. Il nostro Paese, l’Unione Europea e le Nazioni Unite devono avviare un percorso di pace. Bisogna rendersi conto che la politica fin qui seguita (affidare alle sanzioni e alla potenza di fuoco delle armi fornite dall’Occidente la soluzione del conflitto) non ha ottenuto altro risultato che aumentare lo spargimento di sangue, senza aprire la strada ad alcuna prospettiva futura di pace. Parafrasando la celebre espressione di Dietrich Bonhoeffer, riferita alla notte dei cristalli (9 novembre 1938) “Chi non grida per gli ebrei non può cantare il gregoriano”, oggi dobbiamo dire: chi non grida per la pace non può salvare l’avvenire nostro e dei nostri figli. Finalmente questo grido si sta sollevando in tutt’Europa.

Il prossimo 23 luglio è stata lanciata dalla Rete italiana Pace e Disarmo (insieme a una ampia coalizione di reti, movimenti, associazioni, sindacati, studenti e giovani) una giornata nazionale di mobilitazione per chiedere che tacciano le armi e si avvii una conferenza di pace. Osserva l’appello: “Questa guerra va fermata subito e va cercata una soluzione negoziale, ma non si vedono sinora iniziative politiche né da parte degli Stati né da parte delle istituzioni internazionali e multilaterali che dimostrino la volontà di cercare una soluzione politica alla crisi. Occorre invece che il nostro Paese, l’Europa, le Nazioni Unite operino attivamente per favorire il negoziato e avviino un percorso per una conferenza internazionale di pace che, basandosi sul concetto di sicurezza condivisa, metta al sicuro la pace anche per il futuro. (…) Bisogna fermare l’escalation militare. Le armi non portano la pace, ma solo nuove sofferenze per la popolazione. Non c’è nessuna guerra da vincere: noi invece vogliamo vincere la pace, facendo tacere le armi e portando al tavolo del negoziato i rappresentanti del governo ucraino, di quello russo, delle istituzioni internazionali. La popolazione italiana, nonostante sia sottoposta a una massiccia propaganda, continua a essere contraria al coinvolgimento italiano nella guerra e a chiedere che si facciano passi concreti da parte del nostro governo e dell’Unione Europea perché sia ripresa con urgenza la strada dei negoziati. Questo sentimento maggioritario nel Paese è offuscato dai media mainstream e non è rappresentato nel Parlamento. Occorre dargli voce perché possa aiutare il governo a cambiare politica e imboccare una strada diversa da quella attuale”.

Che la voce dei popoli possa sovrastare il fragore delle armi!

(credit foto Paul Zinken/dpa)



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