Hans Küng: o della teologia intellettualmente onesta

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Intellettuale a tutto tondo e critico serrato del cattolicesimo intransigente, Hans Küng è stato una delle voci più autorevoli ed ascoltate del dibattito teologico del Secondo Novecento.

Ero ancora un giovane studente di filosofia quando una persona a me assai cara, sempre professatasi non credente, mi fece dono di un testo voluminoso e piuttosto impegnativo, dal titolo accattivante per un ventenne sprovveduto e curioso: “Dio esiste?”. In quel libro di straordinaria erudizione, l’autore spaziava con estrema competenza da Feuerbach a Marx, da Freud a Nietzsche, sottolineando l’apporto insostituibile che la “scuola del sospetto” aveva fornito alla nascita di un’indagine critica in ambito teologico. Mi lasciai trascinare da quella lettura appassionante, senza poter sospettare che altre opere dello stesso autore mi avrebbero accompagnato sino ad oggi, consentendomi di acquisire i primi rudimenti di storia delle origini cristiane prima e di teologia delle religioni poi. Hans Küng è stato un intellettuale a tutto tondo che, benché abbia sempre posto il Dio della tradizione ebraico-cristiana al centro della sua vita prima ancora che della sua opera, lo ha fatto senza mai smettere di cercarlo, abbinando in maniera singolare rigore e passione. Entrambe queste caratteristiche animavano la sua prosa quando articolava le sue critiche al magistero pontificio, iniziate nel lontano 1970 con la pubblicazione del celebre “Infallibile?”, nel quale Küng ripercorreva la genesi antimodernista del dogma dell’infallibilità papale, destituendola di senso prima ancora che di valore. Questo, va da sé, gli attirò gli strali dei suoi integerrimi detrattori, nel cui novero, composto dal fior fiore dell’integralismo cattolico, spiccava la Congregazione per la Dottrina della Fede, che sotto il pontificato di Wojtyla stilerà, indirizzandolo all’indomito teologo eterodosso, il primo di una lunga serie di provvedimenti attraverso cui Giovanni Paolo II avvierà un’opera di sistematica delegittimazione e di progressiva demolizione delle istanze di riforma ecclesiale e teologica emerse nel corso del Concilio Vaticano II. Era il 1979: Küng verrà sollevato dall’insegnamento della teologia dogmatica presso la facoltà di Tübingen, dove però manterrà la cattedra presso l’Istituto Ecumenico che egli stesso fondò e diresse, dando vita a uno dei più fecondi centri di ricerca sulla teologia delle religioni. Qui nacque e si sviluppò l’approccio del pluralismo religioso, che consentì alla teologia cristiana (cattolica come protestante) di uscire dalle strettoie di un esclusivismo che, dietro la formulazione di una salvezza vincolata alla confessione di fede, celava in verità l’antica, pervicace convinzione dell’«extra ecclesiam nulla salus». Quest’ultima fu sostenuta da chi fu prima collega di Küng a Tübingen (dal 1966 al 1969), poi Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (1981) e, infine, successore di Wojtyla al soglio pontificio (2005), manifestando con quest’ultimo piena consonanza in ordine alla repressione di ogni liberalismo teologico e di qualsivoglia strutturazione collegiale dell’ecclesiologia cattolica: quel Joseph Ratzinger che nella Dichiarazione Dominus Iesus del 2000 evidenziava sin nel sottotitolo «l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e (come volevasi dimostrare) della chiesa». Küng ne ha costituito il fermo contrappunto, esternando la sua critica serrata al cattolicesimo intransigente e finendo con l’essere vittima di un ostracismo accademico che non è comunque riuscito ad impedirgli di divenire una delle voci più autorevoli ed ascoltate del dibattito teologico del Secondo Novecento. Una voce che, fortunatamente, annovera ancora oggi delle e degli eredi, in cui si radica la fondata speranza di proseguire lungo la via di una riflessione teologica aperta all’indagine interdisciplinare, al confronto interreligioso, al dibattito scientifico, così come Küng l’ha indubbiamente configurata attraverso il suo pensiero e la sua opera.