La comunicazione pubblica privatizzata

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Un potere politico sempre più totalitario ha “delegato” ai re della Rete il monopolio di una libertà di espressione fasulla.

Parto da una recente esperienza personale che mi ha fatto capire in concreto in quale misura le grandi piattaforme social (Facebook su tutte) stiano manipolando la comunicazione pubblica al punto da distorcerne drammaticamente modalità e obiettivi. Da qualche giorno sono impegnato nella campagna elettorale per le elezioni comunali di Milano nel ruolo di capolista per una forza politica che non nomino (credo che molti di coloro che mi leggono sappiano quale sia, ma evito di dirlo perché non si scambi questo intervento per uno spot elettorale).



Questi i fatti. 1) Mentre scrivo un post (senza usare termini che potessero essere definiti “politicamente scorretti” il testo sparisce di colpo, sostituito dalla scritta “errore di sistema”. L’episodio si ripete più volte, finché faccio ricorso all’accorgimento di scrivere il post in word per poi copia-incollarne il testo nello spazio dei post; 2) Un post in cui spiegavo le motivazioni della mia decisione di accettare il ruolo di capolista per un certo partito (scritto e pubblicato con l’accorgimento di cui sopra) raccoglie in breve tempo un consistente numero di like, commenti e condivisioni ma, poco dopo, viene cancellato (senza che avessi ricevuto alcun notifica in merito) per inopinatamente ricomparire qualche ora più tardi; 3) Il giorno dopo nuova stranezza: altro post che riceve rapidamente molti like, commenti e condivisioni ma, quando vado a controllare ore dopo, il numero delle reazioni si è magicamente ridotto di due terzi…

Qualche bug? Segnalazioni di utenti che vogliono sabotarmi segnalando come spam i miei interventi? Risposte che potrebbero forse valere per gli “errori” o per la “sospensione” del post, ma non per il taglio di like, commenti e condivisioni. Ma soprattutto queste spiegazioni non convincono perché so per certo (anche attraverso segnalazioni dirette) che cose analoghe (o peggiori, come provvedimenti di blocco dell’acceso al servizio) succedono sistematicamente a danno (guarda caso) di utenti che si collocano in un’area politico culturale sgradita all’ideologia mainstream, inspirata al pensiero unico liberal-liberista. Certo è noto che Facebook ha recentemente dato una stretta ai criteri degli algoritmi che filtrano – e penalizzano drasticamente – la comunicazione politica, favorendo viceversa quella di natura ludico-consumistica (i cosiddetti influencer vanno bene se parlano di gatti, automobili, viaggi, sesso e quant’altro, non se si azzardano a diffondere idee politiche). Ma la sensazione è che ci sia altro, che, oltre agli algoritmi, siano al lavoro un certo numero di “omini”, i quali, a partire dalle segnalazioni automatiche di determinati termini chiave, mettono sotto osservazione – “attenzionano” – pagine e profili di soggetti classificati come “pericolosi” (per gli interessi delle classi dirigenti).



Siamo, insomma, alla fase tre di un’operazione iniziata negli anni Novanta. Prima si è accreditata l’idea secondo cui solo la comunicazione libera, trasparente ed “aperta” delle piattaforme private era in grado di garantire a tutti una effettiva libertà di esprimere il proprio pensiero e le proprie opinioni. Le sinistre occidentali sono cadute in blocco nella trappola, anche perché coltivavano da tempo un’ideologia antistatalista e antipolitica che le induceva a demonizzare il potere politico in quanto tale, invece di lottare per cambiarne i meccanismi e assumerne il controllo.



Poi si è provveduto a concentrare la proprietà dei nuovi media nelle mani di un pugno di gruppi monopolistici (Facebook, Apple e Google sono oggi i padroni incontrastati della Rete, che regnano su una massa di miliardi di “sudditi”). Infine, un potere politico sempre più totalitario, gestito da élite che controllano industrie, finanza, forza militare e media tradizionali ha “delegato” ai re della Rete il monopolio di una libertà di espressione fasulla, che, grazie ai nuovi strumenti di gestione dei social, definisce a priori chi può prendere la parola e chi no. Riaprire spazi reali di partecipazione democratica sarà impresa ardua, che richiederà, in primo luogo, di costruire un alto livello di consapevolezza critica nei confronti del ruolo delle tecnologie digitali, soprattutto in favore delle nuove generazioni, che oggi si presentano disarmate di fronte alla sfida.