Mattarella a Trieste: per la pace sul confine orientale

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Mattarella di ritorno a Trieste per continuare un percorso di pace è insediato dalla destra populista e dal presidenzialismo meloniano.

Il presidente Mattarella torna a Trieste per ricevere la laurea honoris causa in giurisprudenza, conferitagli dall’Ateneo tergestino che festeggia anche così i suoi cent’anni di storia. L’avveniristica Aula Magna di Piazzale Europa, comparsa anche nelle scene finali del Ragazzo invisibile (2014), il fantasy di Gabriele Salvatores girato in città, non farà da sfondo a uno dei soliti riti. Il presidente ha ricevuto spesso offerte simili, da parte di atenei più versati nel marketing che nella ricerca. Se stavolta ha accettato è perché ha ottenuto che la laurea venisse conferita, insieme a lui, all’ex presidente della Slovenia Borut Pahor, incontrato nel 2020 in una cerimonia passata alla storia.
Allora i due presidenti si erano recati a deporre una corona alla Foiba di Basovizza, la principale delle cavità in cui, alla fine della seconda guerra mondiale, oltre duemila fra militari e civili italiani erano stati precipitati dai partigiani titini. Ultime vittime, va appena aggiunto, di una lunga catena di orrori iniziata il 13 luglio 1920, con l’incendio da parte dei fascisti del Narodni Dom, la casa della cultura che Mattarella e Pahor, cent’anni dopo, restituirono solennemente alla comunità slovena, la principale delle tante che rendono così viva questa straordinaria città multietnica.
Quattro anni fa aveva fatto il giro del mondo la foto dei due presidenti, mano nella mano, davanti alla Foiba prima e al monumento ai caduti sloveni poi: gesto che avrebbe dovuto chiudere definitivamente ogni disputa fra i due paesi, oggi affratellati nell’Unione Europea. La laurea di domani si celebra nello stesso spirito, ma nel frattempo il clima è di nuovo cambiato. Intanto, da quando il governo Meloni ha proposto una riforma costituzionale che toglierebbe al Presidente molte delle sue prerogative, ogni parola di Mattarella è attesa con ansia: basti ricordare i suoi interventi sulle manganellate di Pisa e il Ramadan a Pioltello.
Poi, e soprattutto, c’è sempre la Memoria, il passato che non passa: soprattutto a Trieste, dove Mussolini annunciò le leggi razziali, e dove anche le pietre ricordano. Qui la Facoltà di giurisprudenza ha conferito un’altra laurea storica, a Liliana Segre, poi nominata da Mattarella senatrice a vita: potere che la riforma costituzionale gli toglierebbe. Qui passa la rotta balcanica, con centinaia di migranti ammucchiati dall’amministrazione comunale in un silos, come fossero granaglie. Qui, ancora questo febbraio, anzi con maggiore enfasi del solito, è stato celebrato il Giorno del Ricordo delle vittime – per citare il sindaco Dipiazza – “delle bestie di Tito”.
Qualche anno fa, ne La terapia dell’oblio (2020), Paolo Mieli ha messo in guardia contro “gli eccessi della Memoria”. Come ci ha raccontato Segre, in effetti, un tempo le vittime preferivano essere dimenticate piuttosto che non essere credute, per la stessa enormità degli orrori che raccontavano. Oggi è esattamente il contrario: mentre il Comune di Genova riesce a celebrare i martiri della Benedicta senza neppure nominare i loro aguzzini nazifascisti, un Comune dello stesso colore politico, quello di Trieste, attizza odi che si credevano sopiti.
Il punto è che oggi governa – non una destra qualunque, bensì – una destra populista, alla quale la storia interessa solo per riscriverla e poi usarla contro gli avversari politici. Certo, sinché ai vertici dello Stato ci sarà una costituzione antifascista e un presidente come Mattarella, possiamo anche stare tranquilli. Ma cosa succederà, un attimo dopo?