Referendum, il successo della firma digitale tra luci e ombre

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La digitalizzazione della raccolta firme rischia di rendere troppo facilmente “attivabile” lo strumento referendario?

Più di cinquecentomila firme con un click, in meno di una settimana. La digitalizzazione incontra la democrazia partecipativa e, a fronte dell’enorme successo della raccolta firme per i referendum su legalizzazione della cannabis e su eutanasia, ci si chiede se lo strumento abrogativo non rischi di diventare troppo facilmente “attivabile”.



“Si tratta di un risultato unico per la sensibilità che si era raggiunta su questi temi”, commenta Gaetano Azzariti, costituzionalista. “Dobbiamo stare attenti a non farci prendere dall’entusiasmo, questa apertura richiede un riequilibrio dell’assetto complessivo, oggi la raccolta firme riguarda la cannabis, domani può riguardare altri temi che possono risultare odiosi”.

“I filtri esistono già” spiega Antonella Soldo, presidente di Meglio Legale. “C’è la Corte Costituzionale, c’è l’esame di merito, inoltre non mi pare che altri referendum siano arrivati all’obiettivo tanto facilmente”. In effetti altre raccolte firme, come quella per l’abolizione della caccia o quella contro il Green Pass, non hanno avuto lo stesso fortunato esito. “C’è anche un costo da affrontare, un euro a firma”, commenta Emma Bonino, “sono oltre 500mila euro, non penso il problema sia il proliferare dei referendum”.